Con pronuncia n. 379/2022 il Consiglio di Stato ha affermato che in tema di sospensione cautelare dal servizio in relazione ad un reato tentato o consumato “L’art. 4, l. 27 marzo 2001, n. 97 si applica ai delitti ivi previsti, sia nella forma consumata che tentata, nella considerazione che la concezione autonomistica, con la distinzione del tentativo dalla fattispecie consumata, si è sviluppata in ambito penalistico e rileva esclusivamente in tale sede”.
Nel caso in esame, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato il 23 giugno 2021, il ricorrente, ispettore superiore della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del 19 febbraio 2021, adottato dal Questore di Milano, notificato il 25 febbraio 2021, con il quale è stata disposta nei suoi confronti la sospensione cautelare dal servizio, ai sensi dell’art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, in quanto con la sentenza del 13 gennaio 2021, il Tribunale di Milano lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, applicando altresì la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, in relazione al reato (tentato) di concussione (art. 56 c.p. e 317 c.p.).
I Giudici di Palazzo Spada hanno affermato che “se il delitto tentato non fosse costruito come figura autonoma di reato, non sarebbe mai punibile, essendo gli elementi costitutivi di questo del tutto differenti da quello consumato; ciò nonostante, sarebbe improprio utilizzare sul piano amministrativo la concezione penale del tentativo, trattandosi di ambiti completamente diversi sia per ratio che per funzione; pertanto, sotto il profilo amministrativo, il delitto tentato e il delitto consumato non possono che ricevere lo stesso trattamento, atteso che la finalità delle disposizioni recate dagli artt. 3 e 4 della l. n. 97 del 2001 è la tutela del buon andamento della pubblica amministrazione e la necessità di evitare di esporla al cd. strepitus fori, interessi che possono essere lesi in egual modo sia dal reato consumato che tentato”.
Non possono, quindi, applicarsi ad una misura di carattere amministrativo le rigide regole del diritto penale, tanto più che la sospensione dal servizio non ha natura sanzionatoria, neppure in base ai criteri Engel, rivestendo natura cautelare.
Il Consiglio di Stato prosegue affermando che “La sottoposizione a processo penale di un appartenente alla Polizia di Stato per un grave reato in danno della P.A. come la concussione, da un lato mina alla radice la fiducia che l’Amministrazione pone nel dipendente, dall’altro lato genera una lesione del prestigio dell’istituzione tenuto conto del suo disvalore sociale, in quanto vengono lesi il prestigio, l’imparzialità e l’immagine interna ed esterna della pubblica amministrazione: la sospensione dal servizio del dipendente che è stato condannato per tali reati è funzionale al ripristino della legalità, alla tutela dell’immagine dell’istituzione che risulta compromessa dalla permanenza in servizio di un soggetto, autore di gravi condotte di valenza penale, nei confronti del quale, peraltro, si è incrinato il necessario rapporto fiduciario sotteso allo svolgimento del delicato servizio di pubblica sicurezza.
La sospensione obbligatoria dal servizio, quindi, non ha carattere sanzionatorio, ma riveste una finalità prettamente cautelare che è quella, appunto, di garantire – a fronte di reati quali quelli elencati all’art. 3 del d.lgs. 97/01, che destano un particolare allarme sociale e che mettono a serio rischio la credibilità esterna ed interna dell’amministrazione -, il rispetto del buon andamento della P.A. (art.97 Cost.), l’adempimento con disciplina ed onore delle funzioni pubbliche affidate ai dipendenti dell’amministrazione (art.54 c.2, Cost.) e lo svolgimento delle funzioni pubbliche da parte dei dipendenti al servizio esclusivo della Nazione (art.98 co. l Cost.)”.
Essendo questa la ratio e la finalità della norma, non risulta applicabile la giurisprudenza della Corte EDU relativa alle “sanzioni” in quanto la misura, per propria natura transitoria in quanto correlata alla vicenda penale, ha finalità esclusivamente cautelari.
Inoltre, conclude il Collegio, “tenuto conto della suesposta ratio, non assume rilevanza che il proposito criminoso del dipendente sia stato portato a compimento o che per cause a lui estranee lo stesso non si sia realizzato.
In entrambi i casi, infatti, la sua condotta è stata sufficiente a destare l’attenzione e l’allarme della collettività e vi è stata una grave violazione dei doveri attribuiti ai pubblici dipendenti”.
Forte della enorme esperienza maturata negli anni, lo Studio Legale Parente è pronto ad aiutarti nella difesa dei tuoi diritti. Chiamaci anche solo per un consulto. Il nostro Studio punta sempre al raggiungimento dell’obiettivo.
Contattaci: 06.42020421
Scrivici a info@studiolegaleparente.com