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Limiti per la eccezionale riapertura del procedimento disciplinare nei confronti di un militare.

Con sentenza n. 1141/2022 il Consiglio di Stato ha affermato che “non è consentita la riapertura, per qualsivoglia ragione, di un procedimento disciplinare che sia stato archiviato”.

Nel caso in esame, nel 1996, la Procura della Repubblica aveva sottoposto a procedimento penale un Brigadiere Capo della Guardia di Finanza.

Il GIP, con decreto del 13 ottobre 2000, comunicato in data 24 ottobre 2000, ha archiviato il procedimento.

Con provvedimento del 10 gennaio 2001, il Comandate provinciale comunicava al Comando Regionale la propria proposta di archiviazione della vicenda anche sotto il profilo disciplinare, mutuando la motivazione del provvedimento del GIP.

A seguito di nuove testimonianze, la Procura ha riaperto le indagini che si concludevano con una nuova archiviazione in data 23 maggio 2019.

Tuttavia, con atto del 9 ottobre 2019 il Comandante Generale della Guardia di Finanza ordinava la riapertura dell’inchiesta formale disciplinare contestando al Finanziere, nei medesimi termini, gli addebiti già contestati.

All’esito del giudizio svolto la Commissione ha giudicato il Finanziere “non meritevole di conservare il grado”.

Il Finanziere proponeva, prima, ricorso al TAR competente che lo rigettava e, di conseguenza, appello al Consiglio di Stato.

I Giudici di Palazzo Spada hanno accolto il ricorso e per l’effetto annullato il provvedimento impugnato.

Secondo il Collegio “Ai sensi del codice dell’art. 1393 del Codice militare non è consentita la riapertura, per qualsivoglia ragione, di un procedimento disciplinare che sia stato archiviato – fuori dai casi di modifica in bonam partem del suo esito, evidentemente non di archiviazione, allorché le sopravvenienze probatorie possano dar adito a un più mite esito disciplinare rispetto a quello già applicato – se non che nel solo caso in cui sia sopravvenuto il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna del dipendente: solo in tale ipotesi, il procedimento disciplinare può (ossia deve) essere riaperto, per adeguarne l’esito al giudicato penale sopravvenuto (e quand’anche in malam partem)”.

Infatti, tale principio risulta violato nella vicenda esaminata, avendo l’Amministrazione riaperto – perciò illegittimamente – il procedimento disciplinare (e peraltro a distanza di anni) sul rilievo che in sede penale, a seguito di nuove indagini non seguite però da alcun giudicato di condanna, fossero emersi ulteriori elementi probatori a riprova della colpevolezza del dipendente, anteriormente non valutabili; laddove invece, come si è chiarito, siffatta sopravvenienza non è normativamente idonea a consentire la riapertura in malam partem del procedimento sanzionatorio amministrativo.

A sostegno di siffatta conclusione – conclude il Collegio – basta la piana considerazione del dato normativo applicabile; nondimeno, a suo ulteriore fondamento, merita aggiungersi il rilievo che, diversamente opinando, risulterebbe del tutto eluso non solo il principio del ne bis in idem che permea di sé il diritto sanzionatorio, ma anche e soprattutto l’esigenza, più volte rimarcata anche dalla giurisprudenza costituzionale, che il procedimento de quo debba concludersi entro termini perentori dal suo avvio (salve le tassative ipotesi di sospensione), che non potrebbero mai esser tali ove si ammettesse la reiterabilità del suo dies a quo per mero effetto della riapertura (sempre possibile in ogni momento) dell’indagine penale e della sua successiva archiviazione”.

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