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Ottemperanza giudicato di annullamento decreto scarso rendimento

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10309 del 2018, proposto da
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilia n. 81;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’ottemperanza

al giudicato formatosi sulla sentenza TAR Lazio – Sez. 1^ Bis – n. 12785/2017, notificata il 2.1.2018;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2019 la dott.ssa Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 6 settembre 2018 e depositato il successivo 18 settembre 2018, il ricorrente – Primo Caporal Maggiore dell’Esercito – propone azione di ottemperanza in relazione alla sentenza di questo Tribunale n. 12785 del 2017, notificata il 2 gennaio 2018 e, pertanto, passata in giudicato (così come comprovato dalla documentazione all’uopo prodotta in data 7 febbraio 2019).

In particolare, il ricorrente espone quanto segue:

– destinatario del decreto n. DGPM/II/6/1^/115/2005, di cessazione dal servizio permanente del predetto per “scarso rendimento”, proponeva azione per l’annullamento dello stesso con il ricorso R.G. 2414 del 2006, in esito al quale veniva emessa l’ordinanza cautelare n. 5719/2006 di “accoglimento ai fini del riesame”;

– stante il persistente inadempimento dell’Amministrazione, era costretto a notificare “un primo atto di diffida” in data 15 maggio 2013, successivamente reiterato in data 18 luglio 2013;

– con nota in data 8 agosto 2013 l’Amministrazione finalmente comunicava la riapertura del procedimento, per poi rappresentare “di non dover dare seguito al …. procedimento” e disporre – con nota del 19 giugno 2014 – la “riammissione in servizio, con riserva” del predetto in espressa esecuzione dell’ordinanza de qua;

– invitato presso il servizio Sanitario del Comando Militare Esercito della Campania per l’accertamento del “mantenimento dell’idoneità al servizio militare” in data 9 luglio 2014, era giudicato “idoneo al servizio” soltanto in data 13 gennaio 2015;

– proposto ricorso per l’ottemperanza “all’esecuzione del giudicato cautelare”, essenzialmente basato sulla denuncia del comportamento inadempiente dell’Amministrazione circa la sua “effettiva riassunzione”, nel corso del 2015 riusciva finalmente a tornare in servizio;

– a definizione del ricorso n. 2414 del 2006 il Tribunale emetteva, dunque, la sentenza n. 12875 del 29 dicembre 2017, di annullamento del su indicato decreto n. DGPM/II/6/1^/115/2005.

Ciò premesso, il ricorrente denuncia che, ad oggi, tale decisione “è ancora quasi totalmente disattesa”, atteso che l’Amministrazione si è limitata a disporre “la riammissione definitiva …. agli effetti giuridici, matricolari e amministrativi, dal 28 dicembre 2005 fino al 25 giugno 2015” e, dunque, ha omesso di riconoscergli “tutti gli effetti utili discendenti dal giudicato” e, conseguentemente, chiede a questo Tribunale di ordinare al Ministero della Difesa “di eseguire correttamente e compiutamente la sentenza n. 12785/2017 del 15 novembre 2017” e, per l’effetto, di “provvedere alla piena e totale restitutio in integrum” a favore del predetto, disponendo sin d’ora la nomina di un commissario ad acta per il caso di “ulteriore inadempimento” dell’Amministrazione, con condanna, peraltro, di quest’ultima al “pagamento della penalità di mora, ex art. 114, comma 4, D.Lgs. 104/2010” nonché delle spese di giudizio, “da distrarsi ex art. 93 c.p.c.”.

Con atto depositato in data 13 marzo 2019 si è costituito il Ministero della Difesa, astenendosi – nel prosieguo – dal produrre memorie e/o documenti.

Alla camera di consiglio del 20 marzo 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto ai sensi e nei termini di seguito indicati.

2.1. Come si trae dalla narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’omessa piena e compiuta ottemperanza del Ministero della Difesa alla sentenza di questa Sezione n. 12785/2017, passata in giudicato.

In particolare, il ricorrente afferma che l’Amministrazione intimata – essendosi limitata a disporre la sua riammissione definitiva in servizio agli “effetti giuridici, matricolari e amministrativi, dal 28 dicembre 2005 fino al 25 giugno 2015” – ha omesso “di ricostruirgli la carriera giuridicamente, economicamente ed amministrativamente”.

Ciò detto, il ricorrente chiede a questo Tribunale di ordinare alla menzionata Amministrazione di eseguire correttamente e compiutamente la sentenza n. 12785/2017 e, per l’effetto, di provvedere “alla piena e totale restitutio in integrum” del predetto per il periodo in cui è “rimasto illegittimamente privo del lavoro”.

Orbene, la pretesa azionata dal ricorrente è meritevole di positivo riscontro ai sensi e nei limiti in seguito riportati.

2.2. Come pressoché unanimamente affermato dalla giurisprudenza in materia, anche di questa Sezione (cfr., ex multis, 15 marzo 2019, n. 3489), “il dipendente pubblico che sia stato illegittimamente allontanato dal servizio ha diritto all’integrale ricostruzione della carriera, sia economica che funzionale, comprendendo tale diritto anche quello a ricevere la remunerazione relativa al periodo di tempo in cui il servizio non è stato prestato; tale principio, tuttavia, trova integrale applicazione solo quando l’allontanamento dal servizio sia stato tempestivamente impugnato e riconosciuto illegittimo in sede giurisdizionale, poiché una simile pronuncia, da una parte è ricognitiva della imputabilità alla Amministrazione della causa che ha impedito al dipendente di prestare l’attività lavorativa, d’altro canto è idonea a ricostituire ex tunc il rapporto di servizio”.

In altri termini, “l’annullamento dell’atto amministrativo che fa cessare illegittimamente un rapporto di impiego pubblico (o ne ritarda la progressione) determina come conseguenza la reviviscenza del rapporto nella sua pienezza, quale si svolgeva o avrebbe dovuto svolgersi, con tutte le conseguenze di anzianità, di carriera e di retribuzione del ricorrente”, sicché all’impiegato, avente diritto alla riammissione in servizio, spetta anche la liquidazione delle retribuzioni non corrisposte, risalendo “la reviviscenza del … rapporto in caso di annullamento giurisdizionale” del provvedimento che ha inciso su di esso alla data in cui quest’ultimo risulta essere stato adottato e dovendosi, peraltro, considerare inoperante “il principio di corrispettività tra prestazione lavorativa e retribuzione ogni qualvolta la mancata prestazione dell’attività impiegatizia sia stata causata da un provvedimento riconosciuto giudizialmente illegittimo” (a differenza dei casi in cui si tratti, invece, di diniego di costituzione del rapporto stesso – TAR Campania, Sez. V, 8 marzo 2016, n. 1249; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 24 settembre 2007, n. 8274; C.d.S., Sez. V, 16 settembre 2004, n. 6053).

Preso così atto – in sintesi – che “secondo la giurisprudenza consolidata, deve essere distinta l’ipotesi in cui il giudice amministrativo abbia accertato l’illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in corso, da quella in cui sia stata acclarata l’illegittimità della mancata costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione”, posto che solo “nel primo caso la giurisprudenza amministrativa è ferma nel riconoscere la retroattività degli effetti economici a favore del pubblico dipendente”, con connessa insorgenza del diritto del dipendente “di percepire tutti gli emolumenti rientranti nella normale retribuzione” (Cons. St., Ad. Plen., n. 3 del 1999; Cons. St., IV, n. 720 del 2001, VI, n. 1416 del 1998 e IV, n. 1054 del 1996), non può essere – comunque – sottaciuta l’inequivoca rilevanza:

– delle ragioni giuridiche poste alla base della sentenza di annullamento, attesa l’impossibilità di contestare – mediante la proposizione dell’azione di cui all’art. 112 e ss. c.pr.amm. – eventuali, ulteriori valutazioni effettuate dall’Amministrazione in tutti i casi in cui l’accoglimento del gravame originariamente proposto sia stato disposto dal giudice amministrativo esclusivamente sulla base di vizi formali e/o procedimentali (cfr., ex multis, C.d.S., n. 1727 del 2010);

– della mancanza del requisito dell’effettivo svolgimento delle funzioni nel periodo di riferimento, il quale si presenta ostativo all’attribuzione di emolumenti relativi ad avanzamenti di carriera o, comunque, connessi a valutazioni inerenti alla professionalità. Come di recente affermato dal Consiglio di Stato (cfr. dec. n. 6907/2018), eventuali giudizi di valutazione, previsti dalla disciplina normativa che regolamenta la progressione in carriera del dipendente, rivestono, infatti, “un’efficacia costitutiva della conseguente attribuzione patrimoniale” e presuppongono l’effettivo svolgimento delle funzioni nel periodo di riferimento, di modo che è da ritenersi precluso – in tutti i casi in cui che l’interessato non abbia svolto nel periodo di riferimento le proprie funzioni di servizio – qualunque giudizio di valutazione, “e, di conseguenza, anche la ricostruzione di carriera e la corresponsione dei relativi emolumenti sulla base del medesimo”.

2.3. Tutto ciò detto, il Collegio ritiene che – tenuto doverosamente conto delle ragioni poste a fondamento della sentenza n. 12785/2017, di annullamento del provvedimento di “cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento”, atte a palesare l’esistenza di un vizio sostanziale nell’operato dell’Amministrazione (rectius: l’adozione del provvedimento gravato in carenza dei presupposti all’uopo prescritti, ossia il giudizio di “insufficiente, riferito ad un intero anno di servizio), e, comunque, constatata la mancata produzione in giudizio ad opera dell’Amministrazione resistente di elementi validi a confutare i rilievi del ricorrente – sussista, in effetti, inottemperanza a tale sentenza in relazione ai seguenti aspetti:

– il pagamento delle retribuzioni ma anche degli oneri contributivi dovuti per il periodo intercorrente tra l’adozione del provvedimento annullato e la data di riammissione in servizio del ricorrente, con determinazione, tra l’altro, del trattamento economico spettante in applicazione dell’operatività di sistemi di progressione automatici;

– la ricostruzione della posizione giuridica ed economica del ricorrente in termini utili a ovviare al tempo trascorso tra il provvedimento di cessazione e la riammissione di cui si discute.

Ciò detto, va riconosciuto l’obbligo dell’Amministrazione di procedere alla piena e compiuta restitutio in integrum a favore del ricorrente, sopperendo – in particolare – agli aspetti di cui sopra, nel rispetto, peraltro, dei seguenti criteri e modalità:

– in fase di ricostruzione della carriera economica per il periodo interessato, l’Amministrazione è tenuta a maggiorare la “sorte capitale” degli interessi e della rivalutazione monetaria ma, dalla stessa, dovrà comunque detrarre “quanto il ricorrente risulti avere percepito a qualsiasi titolo, per prestazioni o attività svolta nel periodo durante il quale il rapporto è stato interrotto” (TAR Sicilia, Catania, 21 febbraio 2019, n. 289, in cui si richiamano, tra l’altro, C.d.S., Sez. V, n. 1419 del 2017 e C.d.S., n. 616 del 2018; cfr., in termini, C.d.S., Sez. IV, 5 aprile 2018, n. 2114);

– per quanto attiene, ancora, alla ricostruzione giuridica, l’Amministrazione non risulta tenuta a riconoscere al ricorrente progressioni in carriera strettamente dipendenti dal positivo superamento di specifici giudizi di valutazione sulla professionalità del dipendente né, conseguentemente, ad attribuire al predetto emolumenti relativi ad avanzamenti di carriera connessi – appunto – al superamento di valutazioni che – in ragione delle peculiarità che le connotano – necessariamente presuppongono l’effettivo svolgimento delle funzioni nel periodo di riferimento (cfr. C.d.S., n. 6907/2018, già cit.).

A tali fini il Collegio assegna all’Amministrazione il termine di 120 (centoventi) giorni, con decorrenza dalla comunicazione in via amministrativa o, ove antecedente, dalla notificazione, di cui parte ricorrente è espressamente onerata, della presente sentenza.

3. Per quanto attiene alla richiesta di condanna di una somma di danaro a titolo di astreinte, il Collegio ritiene poi di liquidare la somma di € 30,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del giudicato, con decorrenza dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

4. Per il caso di infruttuosa decorrenza del termine di 120 gg. sopra indicato, il Collegio nomina sin d’ora come Commissario ad acta il Segretario Generale del Ministero della Difesa, con facoltà di delega a funzionario sottordinato munito di adeguata professionalità, il quale – su richiesta della parte – si insedierà senza indugio e, previo positivo riscontro dell’inottemperanza dell’Amministrazione, provvederà a tutto quanto necessario per la piena e compiuta ottemperanza al giudicato in questione nel termine di 90 (novanta) giorni dall’insediamento.

A incarico espletato e a seguito di espressa richiesta, sarà liquidato il compenso del Commissario ad acta ai sensi degli art. 71 e ss. e 115 del T.U. n. 115 del 2002, con disposizione fin d’ora dell’obbligo di corresponsione dello stesso a carico dell’Amministrazione resistente.

5. Per le ragioni illustrate, il ricorso va accolto ai sensi e nei limiti di cui sopra.

Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della presente controversia, per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna il Ministero della Difesa a provvedere alla piena e compiuta ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza n. 12785 del 2017 secondo le modalità all’uopo indicate.

Condanna, altresì, l’Amministrazione al pagamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 114, comma 4, così come liquidata in motivazione.

Nomina sin d’ora, per il caso di persistente inottemperanza, commissario ad acta il Segretario Generale del Ministero della Difesa, il quale dovrà provvedere ai sensi e termini fissati in motivazione.

Compensa le spese di giudizio tra le parti, ad eccezione del compenso che eventualmente sarà liquidato e, dunque, dovrà essere corrisposto a favore del Commissario ad acta, il cui obbligo di corresponsione è fin d’ora posto a carico dell’Amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.