Sentenza
sul ricorso n. 3002 del 2004, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Carlo Parente ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, situato in Roma, via Emilia n. 81
contro
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t.,
il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in persona del Capo Dipartimento p.t.,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale ha domicilio legale, in Roma, via dei Portoghesi n. 12
per l’annullamento
- del decreto datato 13 gennaio 2004, notificato all’interessato il 16 gennaio 2004, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Direzione Generale del Personale e della Formazione, a firma del Direttore Generale, di esclusione del ricorrente dall’assunzione nel Corpo di P.P. “in quanto non in possesso dei requisiti di cui all’art. 124, ultimo comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, come richiamato dalla legge 1 febbraio 1989, n. 53 e di cui all’art. 5, comma 2, del Decreto Legislativo 30 ottobre 1992, n. 443”;
- della nota del 19 dicembre 2003 trasmessa al Ministero della Giustizia – D.A.P. – dal Tribunale Ordinario – Ufficio Stralcio GIP Decreti Penali e archiviazioni di Roma, con la quale, in merito al sopraccitato decreto penale di condanna, comunicava erroneamente che lo stesso era divenuto irrevocabile in data 4.12.2003 e che nessuna opposizione era stata proposta;
- di ogni altro atto ad esso presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresa la graduatoria finale generale relativamente alla disposta estromissione e il D.I. 12 novembre 1996 in parte qua;
Visto il ricorso con la relativa documentazione;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti le memorie ed i documenti prodotti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 6 dicembre 2004 il Ref. Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Espone il ricorrente:
– di aver presentato – avendo prestato servizio quale ausiliario di leva nell’Arma dei Carabinieri – istanza di arruolamento nel dicembre 1996 come Agente di P.P., ai sensi del D.L. n. 479/1996, con il quale era stato bandito un concorso a 1400 posti nel ruolo degli agenti ed assistenti riservato agli ex militari;
– di essere stato convocato nel dicembre 2000 – essendosi utilmente collocato in graduatoria – per essere sottoposto ai prescritti accertamenti fisio-psico-attitudinali;
– che, risultato idoneo, era ammesso a frequentare il corso di formazione presso la scuola di Verbania;
– di essere stato ricollocato in graduatoria e, dunque, dimesso dall’assunzione per non trovarsi più in posizione utile perché l’Amministrazione – verificato che aveva riportato una sanzione disciplinare nel corso del servizio prestato quale carabiniere ausiliario – gli aveva detratto 2 punti dal punteggio inizialmente attribuitogli;
– di essere stato nuovamente convocato nel mese di luglio del 2001 per la frequenza del corso di formazione, con una serie di riserve, fra cui l’esito “dell’eventuale procedimento penale ove pendente”;
– di aver superato gli esami finali in data 12 dicembre 2001 e di aver prestato giuramento in data 14 dicembre 2001;
– di essere stato assegnato in data 21 dicembre 2001 in servizio, nella qualità di agente effettivo del Corpo di P.P., presso la C.C. di Monza;
– che, in data 13 gennaio 2004, veniva escluso dall’arruolamento per mancanza dei requisiti in quanto: “visto il decreto penale di condanna in data 29 ottobre 2001, emesso dal Tribunale di Roma (….) con il quale il procedimento penale pendente a carico del -OMISSIS- è stato definito con condanna alla pena di L. 2.250.000 di multa, i quanto resosi responsabile del delitto p. e p. dall’art. 483 c.p. per aver attestato falsamente, nell’autocertificazione presentata al Ministero della Giustizia (….) di non aver riportato sanzioni disciplinari nel corso del servizio di leva in qualità di Carabiniere”.
Avverso tale provvedimento il ricorrente – dopo aver precisato che non ricordava di aver riportato alcuna sanzione disciplinare, che nulla risultava dal “Foglio matricolare e caratteristico”, che il modulo prestampato, fornito dall’Amministrazione, era idoneo a determinare confusione nonché l’erroneità del presupposto, atteso che il procedimento penale è ancora pendente – deduce i seguenti motivi di impugnativa:
Eccesso di potere, in tutte le sue figure sintomatiche ed, in particolare, per manifesta infondatezza del provvedimento gravato, sua illogicità. Carenza di istruttoria, abnormità, inesistenza dell’atto presupposto e connesso. Invalidità e nullità derivata. Il provvedimento è stato adottato su di un atto presupposto invalidato ed annullato dalla competente autorità giudiziaria, perché emesso sulla base di una circostanza inesistente ed inesatta (la definitività del decreto penale di condanna).
Violazione del D.I. 12.11.1996, pubblicato nella G.U. – 4^ S.S. – n. 96 del 3.12.1996, nonché del D.L.vo 13.9.1996, n. 479, convertito con legge 15.11.1996, n. 579; violazione della legge 241/1990; violazione D.L.vo 443/1992; violazione dell’art. 124, comma 3, R.D.- 30.1.1941, come richiamato dalla legge 1.2.1989, n. 53; violazione dell’art. 27 Cost.; Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, sviamento, ingiustizia manifesta; travisamento dei fatti sotto l’aspetto della insussistenza dei motivi ostativi all’assunzione; difetto di istruttoria e carenza di motivazione. L’Amministrazione ha omesso di comunicare l’avvio del procedimento. Nel caso di specie, in realtà, non siamo di fronte ad un’esclusione dal concorso per difetto dei requisiti richiesti per l’accesso: trattasi di licenziamento o destituzione di un agente effettivo del Corpo di P.P.. Nella nota di convocazione per l’ammissione al corso di formazione, L’Amministrazione si autovincolava ad effettuare i controlli dei requisiti prescritti entro e non oltre la fase concorsuale. Pertanto, un provvedimento di esclusione adottato oltre detto limite è illegittimo. E’ precluso all’Amministrazione di dimettere ora per allora il ricorrente per difetto dei requisiti morali e di condotta richiesti all’atto dell’ammissione al concorso. L’art. 1 del bando – D.I. 12.11.1996 – dispone: “le qualità morali e di condotta devono essere possedute alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle domande”. Tale termine era il 31.12.1996. A tale data nessun procedimento penale era stato instaurato a carico del ricorrente. Ma non solo. Il procedimento penale è tutt’oggi in corso.
Violazione del D.L.vo 449/1992, artt. 6, 16 e 17 e ss.; Violazione della legge 241/1990, art. 3, 7 e ss.. Il ricorrente appartiene, a tutti gli effetti, al Corpo di P.P. e, pertanto, può esserne dimesso solo con le procedure espressamente previste e per le cause normativamente e tassativamente indicate. Stante ciò, l’Amministrazione avrebbe dovuto promuovere la procedura di cui agli artt. 6 e ss. del D.L.vo 449/1992, di disciplina della destituzione. Quand’anche fosse stato destituito, la determinazione sarebbe stata illegittima, atteso che il procedimento penale è ancora in corso e non è stato avviato alcun procedimento disciplinare. Non vi sono ragioni per ritenere che, alla data odierna, la condotta del ricorrente abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio. Per mero tuziorismo, si aggiunge che l’Amministrazione non può limitarsi ad affermare che una condanna penale – peraltro non definitiva- è ostativa alla permanenza del ricorrente nel Corpo di P.P..
Il Ministero della Giustizia si è costituito resistendo. In particolare, con memoria depositata in data 21 aprile 2004, ha fatto presente quanto segue: – in data 9.4.1997, a integrazione della domanda di partecipazione, il ricorrente produceva una dichiarazione sostitutiva di certificazione circa l’assenza di sanzioni disciplinari a suo carico durante il precedente servizio prestato in qualità di carabiniere ausiliario, ottenendo così l’attribuzione da parte della Commissione di concorso di punti 2,00; – in virtù della proroga dei termini per l’assunzione di cui all’art. 7 legge 30.11.2000, n. 356, veniva convocato in data 13.2.2001 presso la Scuola di Formazione ed Aggiornamento per l’accertamento dei requisiti previsti agli artt. 122 e 123 d.lgs. 443/1992, venendo giudicato idoneo; – in data 8.2.2001, dopo aver reso dichiarazione sostitutiva di conferma della precedente, veniva convocato, con riserva, presso la Direzione della Scuola di Formazione e Aggiornamento del Corpo P.P. di Verbania per la frequenza del 148° corso d formazione; – in sede di verifica delle dichiarazioni rese, perveniva copia del foglio matricolare del ricorrente dal quale risultava che lo stesso aveva riportato una sanzione disciplinare (la consegna di quattro giorni per fatti commessi in data 9.6.96); – la graduatoria veniva corretta; – non occupando più una posizione utile, con provvedimento del 28.3.2001 il ricorrente veniva dimesso; – al contempo, in data 4.4.2001, gli atti venivano trasmessi alla Procura della Repubblica c/o il Tribunale di Roma per la valutazione, in sede penale, delle false dichiarazioni rese da -OMISSIS-; – il ricorrente veniva a ritrovarsi in posizione utile per l’assunzione, per cui con nota del 10.7.2001, veniva convocato per la seconda volta per la frequenza del corso di formazione, con una serie di riserve tra le quali, esplicitamente, quella relativa alla definizione del procedimento penale pendente; – con decreto penale di condanna, datato 29.10.2001, il ricorrente veniva condannato per il reato di cui all’art. 483 c.p.; – atteso che in data 18.9.2002, il Tribunale ordinario di Roma dichiarava che detto decreto non era ancora da ritenersi irrevocabile, con provvedimento 27.1.2003 il ricorrente veniva nominato, con riserva, agente in prova del Corpo di P.P., nomina confermata, sempre con riserva, con P.C.D. del 19.2.2003; – a seguito di un’ennesima richiesta, il Tribunale di Roma comunicava in data 19.12.2003 che il procedimento penale si era definito in data 4.12.2003; – con P.D.G. del 13.1.2004, a scioglimento della riserva più volte formulata, il ricorrente veniva escluso dal Corpo di Polizia Penitenziaria. In relazione alle censure sollevate, ha ribattuto: – l’Amministrazione non ha fatto altro che prendere atto dell’avverarsi della condizione risolutiva cui era subordinato il protrarsi del claudicante rapporto di lavoro instaurato e troncarlo; – se l’esecutività del decreto penale di condanna, per qualche motivo, è stata sospesa, è onere del ricorrente dimostrarlo e l’Amministrazione non potrà che prenderne atto, riservando, comunque, la propria decisione all’esito definitivo del procedimento penale, perché le riserve circa l’accertamento dei requisiti morali sono state poste fin dal primo “contatto” instaurato con il ricorrente.
Con memoria illustrativa depositata in data 22 aprile 2004, il ricorrente ha evidenziato l’assoluta affidabilità dimostrata nei due anni di servizio prestati.
Con ordinanza n. 588-c/2004 del 26 aprile 2004, questo Tribunale ha chiesto all’Amministrazione di fornire “indicazioni precise in ordine all’irrevocabilità o meno del decreto penale di condanna riportato nel provvedimento impugnato”.
Con nota depositata in data 17 maggio 2004, il Ministero si è limitato a produrre copia della comunicazione del Tribunale ordinario di Roma del 19.12.2003, già agli atti.
Con ordinanza n. 3543/2004, il Collegio ha accolto la domanda incidentale di sospensione e, per l‘effetto, ha riammesso il ricorrente nel Corpo di P.P..
Con memoria depositata in data 29 novembre 2004, il ricorrente ha ribadito l’illegittimità del provvedimento di esclusione impugnato.
Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 6 dicembre 2004.
Diritto
- Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto nei termini e nei limiti di seguito esposti.
- Il ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto con il quale è stato escluso dal Corpo di Polizia Penitenziaria “in quanto, non in possesso dei requisiti di cui all’art. 124, ultimo comma del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, così come modificato dall’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398 e come richiamato dalla legge 1 febbraio 1989, n. 53 e di cui all’art. 5, comma 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443”.
L’esclusione in contestazione risulta essenzialmente fondata sull’intervenuta irrevocabilità – giusta comunicazione del Tribunale Ordinario di Roma in data 19 dicembre 2003 – del decreto di condanna in data 29 ottobre 2001, con il quale il procedimento penale pendente a carico del ricorrente – attivato in seguito alla trasmissione alla Procura della Repubblica, risalente al 4 aprile 2001, delle dichiarazioni, ritenute mendaci, rilasciate dal ricorrente medesimo in data 2 gennaio 1997 (nella domanda di assunzione), in data 25 marzo 1997 (nella prima dichiarazione sostitutiva di certificazione) e in data 8 febbraio 2001 (nella successiva dichiarazione di certificazione) – è stato definito con la condanna di L. 2.250.000 di multa, “in quanto resosi responsabile del delitto p.e.p. dell’articolo 483 C.P. per aver attestato falsamente, nell’autocertificazione presentata al Ministero della Giustizia al fine di essere assunto quale agente della Polizia Penitenziaria, di non aver riportato sanzioni disciplinari nel corso del servizio di leva in qualità di Carabiniere”;
2.1. Varie ed articolate si presentano le censure sollevate.
Si procede alla loro disamina seguendo – per quanto possibile -l’ordine proposto.
2.2. Fondata è la censura attinente all’inesistenza del presupposto del provvedimento impugnato, da identificare con la definitività del decreto penale di condanna.
E’ stato, infatti, depositato da -OMISSIS-, in allegato al ricorso, un provvedimento del giudice dell’esecuzione Dott. Tortora dal quale espressamente risulta che il decreto penale n. 5395 “in realtà non è divenuto esecutivo per mancata opposizione”.
Nel dispositivo di detto provvedimento è prevista, dunque, la sospensione di tale decreto e “la trasmissione degli atti al Tribunale ordinario di Roma in composizione monocratica per quanto di competenza in ordine al giudizio di cognizione conseguente alla valida proposizione di opposizione al suddetto decreto penale”.
Ancorché riporti la data del 24 febbraio 2004, tale provvedimento attesta fatti non sopravvenuti alla comunicazione del Tribunale di Roma del 19.12.2003, bensì antecedenti alla stessa, attinenti – in particolare – alla proposizione avverso il decreto penale n. 5395 di opposizione, con atto depositato in data 2 dicembre 2003 presso la cancelleria del Tribunale Ordinario di Bari.
In base a quanto rilevato, l’esposta circostanza appare idonea a dare atto dell’inesistenza del presupposto del provvedimento impugnato.
Per completezza, si ricorda che il Collegio aveva avvertito l’esigenza di procedere ad un’istruttoria al riguardo.
Con ordinanza n. 588-c/2004, era stata richiesta una relazione all’Amministrazione al fine di acquisire “indicazioni precise” in ordine all’irrevocabilità o meno del decreto penale di condanna.
Dal riscontro fornito in data 17 maggio 2004 non risulta che l’Amministrazione – nonostante il contenuto del ricorso e dei relativi allegati – si sia in alcun modo attivata al fine di verificare l’irrevocabilità o meno del decreto penale di condanna. Si è, infatti, limitata a trasmettere la comunicazione del Tribunale di Roma in data 19 dicembre 2003, già pienamente conosciuta dal Collegio in quanto prodotta agli atti.
Orbene, come già osservato in fase cautelare, tale comportamento assume rilevanza ai sensi dell’art. 116 c.p.c. in quanto sostanzialmente concretizza un rifiuto di espletamento delle indagini disposte in ordine alla circostanza in contestazione.
Tale comportamento può essere, quindi, inteso in termini di ulteriore conferma della fondatezza delle censure formulate in ordine alla carenza dell’irrevocabilità del decreto di condanna, opposta dal ricorrente sulla base – tra l’altro – della produzione di idonea e pertinente documentazione in allegato al ricorso.
Sulla base di quest’ultimo rilievo, può riconoscersi che il ricorrente abbia assolto l’onere di dimostrare l’addotta erroneità del presupposto, identificabile – come già precisato e come confermato anche dal contenuto della memoria dell’Amministrazione – nell’intervenuta irrevocabilità del decreto penale di condanna.
Per contro, l’Amministrazione – a fronte della produzione documentale del ricorrente – non ha fornito alcun elemento a supporto dell’effettivo avverarsi di detta circostanza, contravvenendo a regole di buona amministrazione che avrebbero richiesto ben altro interesse in ordine ad eventi intesi in termini di “condizione risolutiva cui era subordinato il protrarsi del rapporto di lavoro instaurato con il ricorrente”.
In ogni caso, non appare condivisibile il riferimento all’invalidità derivata dell’atto, atteso che il provvedimento del giudice dell’esecuzione risale al 24.2.2004, mentre il provvedimento impugnato è stato adottato in epoca antecedente e precisamente in data 13 gennaio 2004.
Del resto, non si condivide la stessa interpretazione data al provvedimento del giudice dell’esecuzione.
In primo luogo, non si comprende quale sarebbe l’atto presupposto annullato, atteso che la nota del Tribunale Ordinario del 19.12.2003 non ha contenuto provvedimentale e, dunque, deve essere intesa in termini di mera comunicazione.
Il disposto del provvedimento in esame – rectius: provvedimento del giudice dell’esecuzione – attiene all’esecuzione del decreto penale sulla base della presa d’atto di circostanze, comunque, precedenti al provvedimento impugnato, risalenti – come già precisato – al 2 dicembre 2003.
In definitiva, ciò che rileva è la proposizione dell’opposizione entro i termini di legge perché ostativa all’irrevocabilità del decreto di condanna.
Sulla base di tale precisazione, è possibile affermare che i presupposti del provvedimento impugnato non sono venuti meno, bensì non sono mai esistiti.
Del resto, non possono assumere rilevanza imprecisioni od errori nella ricostruzione delle fattispecie giudiziarie perché debbono essere sempre considerati gli sviluppi effettivi che caratterizzano l’iter processuale del caso concreto.
Dall’esame di tali sviluppi si trae la conclusione che il decreto penale di condanna non è divenuto irrevocabile perché è stata proposta rituale e tempestiva opposizione in data 2.12.2003. Il provvedimento del giudice dell’esecuzione prende atto di tale realtà, già sussistente anche al momento in cui ha avuto luogo la comunicazione del Tribunale ordinario di Roma – Ufficio Stralcio GIP Decreti penali e archiviazioni, risalente al 19.12.2003.
Ribadendo la necessità di prescindere da eventuali errate comunicazioni in ordine alla realtà dei fatti, merita, dunque, di essere condiviso l’assunto, riportato nel ricorso, in base al quale il provvedimento impugnato è stato adottato “sulla base di una circostanza inesistente ed inesatta (definitività del decreto penale di condanna)”.
Quanto riportato è influente anche da un ulteriore angolazione.
Stante il motivo dell’esclusione, identificabile non con la condotta in sé ma con la rilevanza penale della condotta stessa (sulla base della quale si giustifica, del resto, la condizione risolutiva di cui parla l’Amministrazione, desumibile dalla riserva della definizione dei procedimenti giurisdizionali pendenti a carico, tra gli altri, del ricorrente – vedasi all.to 15 alla memoria depositata in data 21 aprile 2004), l’illegittimità del provvedimento impugnato si desume anche dal disposto dell’art. 27, comma 2, della Costituzione.
In carenza di un decreto penale di condanna irrevocabile deve, infatti, trovare piena applicazione il principio di non colpevolezza.
Ne consegue che le sentenze ovvero gli altri provvedimenti di condanna emessi dal giudice penale non possono assumere rilevanza ai fini della valutazione dell’irreprensibilità della condotta sino a che la condanna penale non divenga definitiva.
2.3. Per le peculiarità che caratterizzano il provvedimento impugnato, la censura relativa alla violazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241/90 non può essere condivisa.
In base al contenuto di tale provvedimento ed all’iniziative pregresse che sono intervenute nella fattispecie de qua, da identificare essenzialmente con la previsione di espresse “riserve” nella convocazione per la frequenza del corso di formazione e negli atti di nomina, appare che sussistano tutti gli elementi per poter qualificare il provvedimento impugnato come un provvedimento di esclusione del ricorrente dal concorso, disposto a causa del mancato possesso dei requisiti di cui all’art. 124, ultimo comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12.
Ciò premesso, ritiene il Collegio di poter affermare che, in tali ipotesi, l’Amministrazione non sia tenuta a dare comunicazione dell’avvio del procedimento in quanto non è configurabile un procedimento di secondo grado, ad iniziativa d’ufficio, diretto alla revisione di un anteriore provvedimento definitivo (cfr. C.d.S., sent. n. 6566 del 12 dicembre 2000).
2.4. La ricostruzione giuridica del provvedimento in questione introduce, comunque, la problematica del corretto esercizio da parte dell’Amministrazione del potere di esclusione dai concorsi pubblici per carenza dei requisiti prescritti.
Al riguardo, il ricorrente:
– individua un limite, coincidente con il superamento degli esami di fine corso e la successiva immissione in servizio;
– afferma che al 31.12.96, data di scadenza del termine utile per la presentazione delle domande, nessun procedimento penale era stato instaurato a suo carico e che, quindi, a detta data era in possesso di tutti i requisiti prescritti. In altri termini, sostiene la rilevanza di tale riferimento temporale per la verifica dei requisiti.
Al fine del decidere, riveste valore essenziale la previsione dell’art. 1 del bando – D.I. 12.11.1996 – il quale così dispone: “le qualità morali e di condotta devono essere possedute alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle istanze”.
In considerazione di tale previsione – in linea, tra l’altro, con l’art. 124 del R.D. n. 12/1941, di disciplina, appunto, dei requisiti per l’ammissione al concorso – appare necessario procedere ad alcune precisazioni, dirimendo dubbi che la condotta in sindacato può aver sollevato.
Il concorso è una procedura selettiva che, in genere, tende al reclutamento di personale dipendente.
Al fine di garantire certezza nelle situazioni giuridiche, nel rispetto, tra l’altro, della par condicio dei concorrenti, tale procedura si articola in una serie di atti, cadenzati nel tempo.
L’attività che l’Amministrazione è tenuta a svolgere al fine di pervenire alla selezione dei concorrenti investe anche l’accertamento dei requisiti di ammissione, il quale spesso non viene realizzato nei giusti limiti temporali bensì risulta rinviato ad un momento successivo, utilizzando lo strumento delle cd. “riserve”.
In ogni caso, tale circostanza non incide sul riferimento temporale fissato in relazione al possesso dei requisiti, il quale permane quello previsto dal bando di concorso o, in via suppletiva, dalle norme di legge.
In ragione di tale precisazione, è da ritenere che l’Amministrazione non possa escludere un concorrente sulla base di eventi e/o circostanze sopravvenute.
Non si intende affermare che la pendenza di un procedimento penale alla data di riferimento per il possesso dei requisiti sia ininfluente (cfr. C.d.S., sent. n. 5729 del 7 novembre 2001). Del resto, la pendenza del procedimento implica che il concorrente abbia già posto in essere la condotta delittuosa, il che induce ad escludere che tale soggetto possa avvantaggiarsi dei tempi della giustizia.
Si tende, invece, a porre in evidenza che la pendenza del procedimento penale – come già accennato – deve ricorrere alla data di riferimento fissata per il possesso delle qualità morali e di condotta.
In relazione al disposto del bando, si ritiene, dunque, di poter sostenere la rilevanza soltanto dei procedimenti penali già pendenti alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle istanze.
L’ipotesi in esame presenta – in verità – delle peculiarità: l’illecito penale e l’apertura del consequenziale processo sono connessi al concorso in quanto vanno rapportati – come risulta dal provvedimento impugnato – a fatti commessi in occasione della partecipazione al concorso e più precisamente alla produzione da parte del ricorrente di autocertificazioni riportanti attestazioni false in ordine alla pregressa applicazione di sanzioni disciplinari.
E’ innegabile che tale peculiarità si presti ad incidere sul requisito dell’irreprensibilità della condotta ma, in considerazione di quanto già esposto e, in particolare, delle esigenze di certezza che debbono caratterizzare l’espletamento dei concorsi, non consente di superare il limite temporale prescritto per il possesso dei requisiti morali e di condotta.
In definitiva, la censura sollevata dal ricorrente merita di essere condivisa: al 31 dicembre 1996 – termine utile per la presentazione delle istanze – la circostanza ritenuta menomante del requisito dell’irreprensibilità della condotta e, dunque, incidente sul possesso dei requisiti di cui all’art. 124, ultimo comma, del R.D. n. 12/1941 era insussistente.
Come già accennato, l’Amministrazione può rinviare – in virtù della previsione di “riserve” – l’accertamento dei requisiti di ammissione al concorso.
Va, però, precisato che lo strumento della riserva non consente l’esercizio di un potere in spregio del principio di legalità che presiede l’attività amministrativa.
Il potere di esclusione in questione è connesso al negativo accertamento del possesso delle qualità morali e di condotta alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle domande.
Ne consegue che riserve del tipo di quelle richiamate dall’Amministrazione non potranno che essere riferite sempre e comunque al possesso dei suddetti requisiti a tale data.
Ed, anzi, può inequivocabilmente affermarsi che le riserve previste nella convocazione al corso di formazione in data 10 luglio 2001 e nei provvedimenti di nomina del 27 gennaio 2003 e 19 febbraio 2003 ben si prestano ad essere interpretate in tali termini.
Il richiamo alle riserve ed al carattere risolutivo che le connota, operato dall’Amministrazione nella memoria prodotta in giudizio, non sono idonee, dunque, a legittimare l’operato in contestazione.
In conclusione, la censura attinente alla possibilità di escludere un concorrente soltanto a causa del mancato possesso dei requisiti di condotta già all’atto di presentazione dell’istanza è fondata.
2.5. Non è possibile pervenire alla medesima conclusione ove si valuti la doglianza incentrata sulla sussistenza di un limite temporale in relazione all’esercizio stesso del potere di esclusione, identificato con il superamento degli esami di fine corso e con la successiva immissione in servizio.
Ammettendo che – in linea con il principio di buon andamento che deve caratterizzare l’attività amministrativa – l’Amministrazione non è libera di esercitare il potere di esclusione sine die e che, se lo esercita con ritardo, deve dotare il provvedimento di una particolare motivazione, oltre che in ordine alle ragioni del ritardo, sull’interesse pubblico all’esclusione, stante lo stato di affidamento che il tempo generalmente ingenera, rileva il Collegio che sussistono casi in cui il limite individuato dal ricorrente può non essere rispettato per cause non imputabili all’Amministrazione.
Tali casi vanno, peraltro, identificati proprio con la pendenza di un procedimento penale, la cui conclusione è connessa all’attività del giudice penale e, quindi, è estranea all’Amministrazione.
Come già accennato, la pendenza di un procedimento penale può costituire una circostanza che induce all’ammissione con riserva dell’aspirante (C.d.S., sent. n. 5729 del 2001, già citata), sempre che risalga alla data fissata per il possesso dei requisiti di condotta.
La riserva potrà, dunque, essere sciolta all’esito di siffatto procedimento.
Atteso che il procedimento penale può concludersi ben oltre l’immissione in ruolo, è evidente che il potere di esclusione potrà essere legittimamente esercitato oltre detto limite.
2.6. In termini di stretta consequenzialità rispetto a quanto già rilevato, devono essere ritenute pertinenti e condivisibili anche le argomentazioni del ricorrente relative all’obbligo per l’Amministrazione di interrompere il rapporto instaurato attraverso la procedura di cui agli artt. 6 e ss. del decreto legislativo n. 449/1992, di disciplina della destituzione.
Definito l’ambito di applicazione dell’esclusione dal concorso e, più precisamente, l’obbligo per l’Amministrazione di valutare il possesso delle qualità morali e di condotta “alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle istanze”, deve, infatti, ritenersi che qualsiasi comportamento successivo a tale data – ininfluente rispetto all’accertamento dell’irreprensibilità della condotta, qualificata dall’art. 124 del R.D. n. 12/1941 come un requisito di ammissione al concorso – sia valutabile in sede disciplinare, nel rispetto delle garanzie all’uopo prescritte.
Si è già avuto modo di porre in rilievo le peculiarità del caso in esame.
Si è, dunque, pervenuti alla conclusione che, nel rispetto del dettato del bando, avvenimenti sopravvenuti alla data di presentazione dell’istanza non possono essere posti a fondamento di provvedimenti esclusione.
Ciò, però, non può equivalere all’introduzione di uno stato di immunità e/o di esenzione da qualsiasi responsabilità.
Ne consegue la necessità di ricondurre tali avvenimenti sotto il regime che presiede i rapporti tra le Amministrazioni pubbliche ed il personale dipendente.
2.7. Come già precisato, il provvedimento impugnato deve essere qualificato come un provvedimento di esclusione.
Richiamando una specificazione del ricorrente, si avverte la necessità di precisare che, quand’anche si ritenesse di qualificarlo come un provvedimento di destituzione, sarebbe, comunque, illegittimo per violazione dell’obbligo di attendere la definizione del procedimento penale e della normativa che regolamenta i procedimenti disciplinari.
2.8. Per completezza, si osserva che i fatti in ordine ai quali il ricorrente ha reso le dichiarazioni ritenute mendaci non erano idonei a determinare l’esclusione dal concorso.
A causa di detti fatti è stato, infatti, meramente corretto il punteggio attribuito. Come risulta dagli atti, al ricorrente sono stati attribuiti punti 2,50, anziché 4,50.
Premessa l’irrilevanza di tali fatti ai fini dell’assunzione della determinazione impugnata, deve formare oggetto di valutazione la mendicità delle dichiarazioni.
Orbene, tale comportamento non appare – di per sé – di particolare gravità in quanto costituisce un fatto isolato, riconducibile – in effetti – ad un errore del ricorrente, indotto dai contenuti del foglio matricolare allegato al ricorso e dalla formulazione del modulo fornito dall’Amministrazione.
A ciò va aggiunto che non ha ricevuto conferma alcuna nella condotta mantenuta dal ricorrente nei due anni di servizio già espletati.
- Il ricorso è inammissibile in relazione alla nota del 19 dicembre 2003 del Tribunale ordinario in quanto trattasi di una mera comunicazione, resa, tra l’altro, da un un’autorità estranea all’Amministrazione.
L’inammissibilità dell’impugnazione deve essere riconosciuta anche per la graduatoria finale generale e per il D.I. 12 novembre 1996:
– per quanto attiene alla prima, si ravvisa una carenza di interesse, atteso che ricorrono fondati elementi per ritenere che la graduatoria approvata riporti anche il nominativo del ricorrente, tornato in posizione utile in data 10 luglio 2001;
– in relazione al secondo, assoluta è la genericità del ricorso.
- Per le ragioni illustrate, il ricorso è fondato nei termini esposti.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro 1.500,00 a favore del ricorrente, oltre IVA e CPA nei termini di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I quater, accoglie il ricorso n. 3002/2004 nei termini e nei limiti esposti in motivazione e, per l’effetto, annulla il decreto in data 13 gennaio 2004, notificato il 16 gennaio 2004, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Direzione Generale del Personale e della Formazione, di esclusione del ricorrente dall’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria.
Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del ricorrente in Euro 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.