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Diniego accesso documenti Polizia di Stato per procedimenti penali pendenti

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 6114 del 2009, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso Giovanni Carlo Parente in Roma, via Emilia, 81;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento della nota n. 307/1 del comando della regione carabinieri campania – stazione di caiazzo del 3 giugno 2009 con riferimento alla parte in cui ha espresso diniego di accesso ai documenti di cui all’istanza del ricorrente datata 8 maggio 2009 “ai sensi dell’art. 24 l. 241/90. riunendo questa/e i requisiti del d.m. 14 giugno 1995, n. 519 e specificatamente indicate nell’allegato n. 1 punto 13 e 14 del medesimo d.m.”;.

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2009 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori Stefano Monti, con delega per parte ricorrente, e l’avv. dello Stato Verdiana Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente – previa prospettazione, allegazione e comprova del proprio interesse personale azionato in giudizio in via strumentale alla tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti – chiede l’accesso agli documentazione relativa alle comunicazioni effettuate al Comando resistente da parte delle Forze di Polizia (o da altri organi a ciò preposti) ed aventi ad oggetto procedimenti penali pendenti nei suoi confronti.

Il ricorso è fondato.

Il Collegio ritiene che ai sensi dell’art. 24, c. 7 della L. 241/90, ogni qual volta l’accesso sia richiesto allo scopo di curare o di difendere propri interessi giuridici, lo stesso deve trovare un riconoscimento tendenzialmente pieno, incontrando il solo limite della secretazione laddove si tratti di documenti contenenti dati giudiziari, nel qual solo caso vigono regole più restrittive.

Con riguardo a tali regole, la giurisprudenza ha chiarito che “Se la pubblica amministrazione che trasmette all’autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall’ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329, c.p.p. e conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24, l. n. 241 del 1990”. Ed ancora: “Non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all’autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all’accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329, c.p.p.; tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette all’autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall’ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24, l. n. 241 del 1990” (C.d.s. sez. VI, 9 dicembre 2008, n. 6117).

Nel caso di specie, non consta che gli atti inerenti ai divisati fascicoli (a) siano stati secretati dall’autorità giudiziaria (b) siano stati fatti oggetto di sequestro giudiziario (c) rientrino nelle categorie per le quali l’art. 24 della L. n. 241 del 1990 abbia escluso l’accesso.

Neppure il Collegio ritiene che sussistono i presupposti per fare applicazione, nella fattispecie, dei punti nn. 13 e 14 dell’allegato 1) al D.M. 14 giugno 1995, n. 519. ciò in quanto:

-non si tratta di atti e documenti relativi alla concessione di nulla osta di segretezza (punto 13, citato decreto);

-non si tratta di rapporti informativi ma di mere informazioni di polizia attinenti a fatti specifici e determinati di cui il militare ha diritto di avere cognizione per la tutela dei propri diritti (punto 14, citato decreto).

Sotto il profilo oggettivo, a motivo della illegittimità dell’opposto diniego, non è di poco conto la circostanza per cui la detenzione sia, nel caso di specie, “qualificata” nel senso che degli atti e dei documenti in parola l’amministrazione della Difesa ne farà o potrà fare uso per la sua attività amministrativa funzionalizzata (interesse pubblico) ai propri compiti istituzionali (id est, disciplinari, di trasferimento, curriculari, matricolari).

Sotto il profilo soggettivo, è indubitabile che il ricorrente – necessitato a svolgere la propria difesa in ogni più opportuna sede e, comunque, legittimato a pretendere l’accertamento della verità dei fatti per le conseguenze che ne possono derivare alla propria sfera giuridico/patrimoniale – sia portatore di un interesse giuridicamente rilevante all’accesso di natura concreta, personale ed attuale.

In conclusione, il Collegio è dell’avviso che la mera inerenza degli atti richiesti in visione ad indagini di polizia, ma potenzialmente idonei ad incidere sul rapporto di servizio del militare ovvero a fondare nei confronti di questi l’avvio di un procedimento amministrativo di carattere sanzionatorio, non vale a sottrarre la relativa documentazione al diritto di accesso.

Ne consegue, per quanto sin qui argomentato che l’intimata amministrazione è tenuta all’ostensione degli atti chiesti in ostensione. Prima di procedere in tal senso essa, però, dovrà avere cura di integrare dapprima il contraddittorio procedimentale nei confronti del controinteressato, informandolo sulla pendenza dell’istanza avanzata in tal senso dal ricorrente.

C’è forse un controinteressato? Nell’affermativa, sorge dubbio sulla ammissibilità del ricorso.

 

In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi e precisazioni di cui sopra, mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio accoglie il ricorso meglio in epigrafe specificato.

Condanna il ministero della difesa alla refusione delle spese processuali che liquida in € 1.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.