SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 184 del 2008, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Giovanni Carlo PARENTE e Donatella PARENTE presso il cui studio in Roma, Via Emilia, n. 81 è elettivamente domiciliato;
contro
il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in persona dei legali rappresentanti p.t., il Ministero della Difesa in persona del Ministro legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12 ex lege domiciliano;
per il risarcimento
del danno determinato nella misura di Euro 500.000,00 per danni patrimoniali e di Euro 500.000,00 per danni non patrimoniali da determinarsi nella misura ritenuta giusta dal Tribunale o in via equitativa;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Ministero della Difesa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2010 il dott. Pierina Biancofiore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato alle Amministrazioni in epigrafe indicate in data 21 dicembre 2007 e depositato il successivo 9 gennaio 2008 il ricorrente chiede il risarcimento del danno per una vicenda occorsagli e che vede coinvolti sia il Ministero della Giustizia, sia il Ministero della Difesa.
Espone che, aspirando ad espletare il servizio di leva in qualità di agente ausiliario di leva nel Corpo di Polizia Penitenziaria, non era ritenuto idoneo con giudizio in data 23 giugno 2004 agli esami clinici generali ed alle prove di laboratorio, a causa di “scoliosi destro convessa”, giudizio del tutto contrastante con quello del Consiglio di Leva presso il Distretto Militare di Caserta che invece sei mesi prima, in data 12 dicembre 2003, lo aveva ritenuto idoneo al servizio di leva.
Da tale contrasto aveva origine tutta la vicenda giudiziaria ed amministrativa meglio nel prosieguo esposta ed in esito alla quale, mentre sembrava che egli potesse essere infine essere avviato al corso di formazione per allievi agenti nell’ottobre 2005 (nota del 31 ottobre 2005), la stessa Amministrazione della Giustizia, nella considerazione che nel frattempo la leva era stata interrotta a decorrere dal 1° gennaio 2005, comunicava al ricorrente che, avendo richiesto alla D.G. Leva presso il Ministero della Difesa il rilascio della cartolina precetto, quest’ultima si era espressa, con nota datata 27 dicembre 2005 nel senso di “non potere disporre la precettazione dello -OMISSIS-, essendo per i motivi nella stessa specificati, venuti meno i presupposti”. La nota del Ministero della Giustizia in data 28 dicembre 2005 e il precedente sul quale essa si fondava e cioè la nota della D.G. Leva presso il Ministero della Difesa in data 27 dicembre 2005 venivano impugnati dal ricorrente in data 23 febbraio 2006.
Espone, altresì, di avere tentato anche di partecipare ad un concorso pubblico per titoli per l’assunzione di n. 494 unità nel ruolo degli Agenti Assistenti riservato agli agenti ausiliari di leva arruolati nel Corpo di Polizia Penitenziaria con scadenza il 30 aprile 2007, ma che anche tale domanda veniva respinta per mancanza del requisito del servizio. Rappresenta di avere impugnato con ricorso straordinario anche tale diniego, oppostogli con nota del 10 maggio 2007.
Conclude quindi articolando la richiesta di risarcimento del danno, come in epigrafe indicato, adisce i poteri istruttori del TAR e chiede, infine, l’accoglimento del ricorso, con riserva di motivi aggiunti qualora dalla eventuale istruttoria dovessero emergere documenti lesivi.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio ed ha contestato anche con memoria per l’udienza pubblica tutte le pretese del ricorrente, concludendo in maniera completamente opposta.
Il ricorso, infine, è stato trattenuto per la decisione alle Camere di Cosniglio del 21 gennaio 2010 e del 18 marzo 2010.
DIRITTO
1. Il ricorso è in parte fondato e va accolto come nel prosieguo verrà precisato.
Con esso il ricorrente, esponendo la articolata vicenda meglio in narrativa descritta, chiede il risarcimento del danno, sostenendo la sua pretesa con le seguenti argomentazioni.
Egli pone in rilievo la responsabilità dell’Amministrazione Penitenziaria per l’inerzia con la quale ha attivato il meccanismo di incorporazione, a partire dal momento in cui la competente Commissione ne ha rilevato la non idoneità al servizio con giudizio 23 giugno 2004, del tutto in contrasto con il giudizio espresso appena sei mesi prima in data 12 dicembre 2003 dal Consiglio di Leva di Caserta.
La illegittimità dell’operato delle due Amministrazioni della Giustizia e della Difesa è pure dimostrata dalla circostanza che esso non trova alcun valido appiglio giuridico nella legge 23 agosto 2004, n. 226 che, a differenza di quanto sostenuto dalla Difesa, ha previsto soltanto la sospensione della leva obbligatoria a decorrere dal 1° gennaio 2005, successivamente prorogata con D.L. n. 155 del 30 giugno 2005, sino al 1° luglio 2005. E neppure nel D.M. 20 settembre 2004, con il quale, nel disciplinare le operazioni di chiusura della leva, il Ministero della Difesa ha disposto che la data dell’ultima chiamata alla visita di leva per gli appartenenti alla classe 1985 e precedenti è fissata al 30 settembre 2004, sicchè se non si fosse verificato il contrasto tra giudizio di non idoneità della Commissione medica presso la Polizia Penitenziaria in data 23 giugno 2004, rispetto a quello di idoneità degli organi di leva della Difesa in data 12 dicembre 2003 egli sarebbe rientrato perfettamente nell’ultimo scaglione utile ai fini dell’avviamento.
Sostiene che ben poteva essere ammesso al corso per l’anno 2004 onde egli potesse poi figurare nella graduatoria degli ex ausiliari di leva dell’anno 2004 anche in considerazione del decreto cautelare n. 6497 del 2004 e dell’ordinanza n. 1761 del 2005 tutte favorevoli al ricorrente.
Conclude ritenendo, quindi, nella condotta dell’Amministrazione una negligenza ed imperizia, prima nella adozione del provvedimento con cui la Commissione Medica lo ha giudicato non idoneo all’arruolamento e poi nella pervicacia con la quale ha, sino ad oggi negato giustizia, sicchè il danno risarcibile va qualificato più propriamente come danno da ritardo.
Quanto alla colpa, sostiene poi il ricorrente che le ripetute violazioni di legge e l’ostinato rifiuto di adempiere alle statuizioni del TAR sono indici di imperizia e negligenza non scusabili. In particolare nel caso in esame occorre far riferimento ad una nozione di colpa di tipo oggettivo che tenga conto del complessivo operato dell’Amministrazione, in ordine alla gravità delle violazioni commesse.
In conseguenza di tali osservazioni l’interessato quantifica il danno patrimoniale occorsogli in Euro 500.000,00 come esposto in epigrafe e determinato dall’illegittimo provvedimento con il quale è stato ingiustamente giudicato non idoneo all’arruolamento nel Corpo di P.P.; dalla privazione dello stipendio e dal connesso disagio economico che ne è seguito; dalle spese di giustizia che è stato costretto a sostenere; dalla perdita definitiva della possibilità di svolgere la leva a causa della novella legislativa intervenuta oltre che dalla lesione della professionalità derivante per il periodo di forzata inattività; egli quantifica altresì il danno non patrimoniale, morale, biologico ed esistenziale nella misura di Euro 500.000,00 da determinarsi anche in via equitativa a causa delle sofferenze psico fisiche patite, avuto riguardo all’incidenza sul sereno svolgimento delle relazioni familiari e al turbamento dell’equilibrio esistenziale; dalla lesione all’onore, alla reputazione ed all’immagine lavorativa e dal danno alla vita di relazione.
2. Le tesi possono essere condivise nei limiti di cui appresso secondo la seguente ricostruzione.
2.1. Il ricorrente, appartenente ai fini della leva alla classe 1985, aspirando a svolgere la professione di allievo agente di polizia penitenziaria, veniva avviato alla leva del 4° trimestre 2003 con incorporazione entro nove mesi a decorrere dal 1° gennaio 2004 a seguito di riconosciuta idoneità del Consiglio di Leva di Caserta conseguita in data 12 dicembre 2003.
Ottenuta l’idoneità alla leva egli chiedeva di effettuarla in qualità di Agente Ausiliario nel Corpo di Polizia Penitenziaria, ma sottoposto nuovamente agli esami clinici generali ed alle prove strumentali veniva giudicato non idoneo per “scoliosi destro convessa”, con atto del 23 giugno 2004.
Poiché la norma che consente l’effettuazione della leva presso il Corpo di Polizia Penitenziaria prescrive che possano accedervi i candidati “sempre che siano in possesso dei requisiti richiesti” (art. 100 d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443) tale giudizio inibiva l’avvio alla leva del ricorrente, che quindi lo impugnava dinanzi al TAR col ricorso n. 9883/2004.
Nel frattempo subentrava la sospensione della leva obbligatoria disposta con legge 23 agosto 2004, n. 226 stante il cui articolo 1: “Il comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, è sostituito dal seguente:
“1. Le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva sono sospese a decorrere dal 1 gennaio 2005. Fino al 31 dicembre 2004 sono chiamati a svolgere il servizio di leva, anche in qualità di ausiliari nelle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e nelle amministrazioni dello Stato, i soggetti nati entro il 1985. La durata del servizio di leva è quella stabilita dalle disposizioni vigenti”.
Poiché il ricorrente apparteneva alla classe 1985 e veniva anche raggiunto dalla cartolina precetto che gli intimava l’incorporazione nell’Esercito a decorrere dal 9 dicembre 2004, nell’ambito dello stesso ricorso e con motivi aggiunti egli impugnava la cartolina precetto, che a sua volta gli inibiva lo svolgimento della leva nel Corpo di Polizia Penitenziaria.
Le istanze cautelari proposte col ricorso principale e con i motivi aggiunti venivano accolte con decreto presidenziale che testualmente motivava “Constatata la “singolare contraddizione” tra la non idoneità al servizio quale ausiliario di leva presso l’Amministrazione Penitenziaria per le ragioni indicate in epigrafe e la idoneità all’arruolamento disposto con la “cartolina precetto” intervenuta successivamente;
Rilevato che, – a prescindere dall’originaria preferenza dello -OMISSIS- ad essere arruolato nella Polizia Penitenziaria – occorrerà disporre in sede collegiale nuovi e autonomi “accertamenti sanitari” che smentiscano (in negativo o in positivo) il dedotto travisamento dei fatti nonché un ipotetico sviamento di potere in un contesto normativo che vede eliminati gli obblighi di leva;”, (decreto n. 6497 del 7 dicembre 2004) disponendo la sospensione della cartolina precetto ed il rinvio alla successiva Camera di Consiglio per l’effettuazione di un nuovo giudizio medico.
Si tenga sempre presente il dato temporale offerto dalla norma di cui all’art. 1 della legge n. 226 del 2004 e che cioè “Fino al 31 dicembre 2004 sono chiamati a svolgere il servizio di leva, anche in qualità di ausiliari nelle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e nelle amministrazioni dello Stato, i soggetti nati entro il 1985”; questo perché, contrariamente a quanto opposto dalle resistenti Amministrazioni, la sopravvenienza della detta norma non poteva nuocere al ricorrente, come sostenuto, rendendone impossibile l’incorporazione, atteso che comunque entro il 31 dicembre 2004 egli poteva essere avviato alla leva ancorchè nelle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e nelle amministrazioni dello Stato, in quanto appartenente alla classe 1985.
Tuttavia a tale possibilità per il ricorrente, a questo punto della vicenda, ostava il giudizio negativo della Commissione ex articolo 106, comma 4 del d.lgs. n. 442 del 1992, che l’interessato non ha ritenuto di impugnare con ricorso ex articolo 107 del medesimo decreto legislativo, con conseguente sua mancata sottoposizione al giudizio di seconda istanza (art. 107, comma 4 del d.lgs. n. 442 del 1992), proponendo, invece, il ricorso al TAR a n.reg. 9883/2004. Ma anche in tale mancato ricorso amministrativo non può riscontrarsi alcuna illegittimità, come adombra l’Avvocatura generale pure nella memoria per l’udienza pubblica, dal momento che, per come si esprime la norma testè citata, essa è affidata ad una facoltà dell’aspirante. Né potrebbe essere diversamente dopo l’entrata in vigore della legge istitutiva dei TAR.
In data 30 dicembre 2004, dunque, il Collegio conferma la cautelare presidenziale di accoglimento della richiesta di sospensione della cartolina precetto e dispone la sottoposizione del ricorrente a nuova visita medica. (ordinanza n. 1715 del 30 dicembre 2004).
Ora, in presenza della norma che consentiva l’incorporazione anche nelle Forze di Polizia Penitenziaria entro il 31 dicembre 2004, in presenza di un decreto cautelare in data 7 dicembre 2004, che sospendeva la cartolina precetto relativa alla incorporazione nell’Esercito ed in presenza di una cautelare collegiale in data 30 dicembre 2004 che confermava i provvedimenti adottati in sede presidenziale, l’Amministrazione è rimasta inerte.
Ma è rimasta inerte pure dopo la pronuncia della Camera di Consiglio del 10 marzo 2005 depositata il 30 marzo successivo, con la quale la sezione, prendendo atto delle eseguite verifiche mediche, rilevava che la perizia cui era stato sottoposto il ricorrente aveva dato come esito il giudizio di “atteggiamento scoliotico ds. convesso, assenza si segni di scoliosi strutturata destro convessa – gibbo assente”.
Dopo sei mesi di attesa senza che l’Amministrazione adottasse alcun provvedimento, il ricorrente era costretto a diffidare il Ministero della Giustizia in data 28 settembre 2005, essendo venuto a conoscenza che nella prima decade di ottobre 2005 avrebbe avuto inizio presso la Scuola di Aversa un corso di formazione per allievi – agenti. Ma soltanto in data del 31 ottobre 2005 il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria riconosceva il diritto del ricorrente ad essere avviato “alla specifica esperienza formativa”.
Il prosieguo della vicenda assume profili sconcertanti, nel continuo rimbalzo tra l’Amministrazione della giustizia e quella della Difesa, trincerata dietro una sorta di puntiglioso non possumus a causa della soppressione della leva, quando in realtà, come sopra accennato la norma di cui all’articolo 1 della legge n. 226 del 2004 non impediva l’incorporazione del ricorrente e questa a maggior ragione non era impedita dalle prime due pronunce del TAR, pure esse citate sopra.
2.2 Vanno dunque riconosciuti nella vicenda in parola tutti i presupposti per la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da ritardo.
Ancorchè molto discussa la categoria del danno da ritardo oramai ha trovato pieno riconoscimento nel nostro ordinamento con la legge 18 giugno 2009, n. 69 il cui articolo 7 ha riscritto l’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella sua ennesima modificazione all’insegna del recepimento di principi di civiltà giuridica.
Che la norma si applichi alle situazioni in discussione nel presente giudizio è fuor di dubbio, in base ai principi che regolano lo jus superveniens, atteso che la fattispecie non si è ancora conclusa.
La difesa delle resistenti Amministrazioni, che, invece, contesta che nel caso in esame ricorrano i presupposti del danno da ritardo, per questa ragione non fornisce dimostrazione di avere in corso la redazione di regolamenti che disciplinino i procedimenti di cui sia attributaria, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della legge n. 241 del 1990 che, novellato dalla anzidetta legge n. 69 del 2009, comunque prevede la conclusione di essi entro novanta giorni.
Ma sia che si voglia considerare il termine di trenta giorni, riportato dal novellato articolo 2, comma 2 a quello della stesura originaria della legge n. 241, termine ancora vigente all’epoca in cui è sorta la fattispecie, sia che si voglia considerare il nuovo termine di novanta giorni previsto dal successivo comma 3 ed al quale presuntivamente devono attenersi le Amministrazioni per determinare il termine di conclusione dei vari procedimenti, tutti e due i termini non sono stati rispettati dalle Amministrazioni in questione.
Quanto al momento di inizio del ritardo, valido ai fini della attribuzione della responsabilità alle Amministrazioni resistenti, premettendo che l’art. 1 della legge n. 226 del 2004 non inibiva l’accesso alla leva del ricorrente che poteva essere incorporato entro il 31 dicembre 2004 perché appartenente alla classe del 1985, è da ritenere che l’interessato, a seguito della cautelare presidenziale n. 6497 del 7 dicembre 2004 confermata dalla cautelare collegiale n. 1715 del 30 dicembre 2004 avrebbe potuto essere avviato alla leva presso il Corpo di Polizia Penitenziaria a decorrere dal 31 dicembre 2004 con riserva dell’esito del giudizio del TAR, da adottarsi anche in via amministrativa, come sopra accennato.
E però pure se si volesse riconoscere che, in presenza del giudizio di inidoneità espresso dalla competente Commissione presso il DAP, il ricorrente non poteva essere incorporato, perché tale giudizio con quelle due cautelari, citate sopra, non era stato sospeso dal TAR e quindi rimaneva ostativo alla incorporazione, dal momento che, in sostanza, il ricorrente risultava sprovvisto del requisito previsto dagli articoli 100, 122 e 123 del d.lgs. n. 443 del 1992, tuttavia l’Amministrazione, una volta sospeso dal TAR tale giudizio di inidoneità con l’ordinanza del 30 marzo 2005, non adottava alcun provvedimento, ma attendeva la diffida in data 28 settembre 2005 con la quale il ricorrente richiedeva l’incorporazione per il prossimo corso a partire da ottobre 2005, per comunicare con nota a prot. n. 0376066 del 31 ottobre 2005 che l’interessato poteva essere avviato alla “specifica esperienza formativa”, interponendo così un ulteriore lasso di tempo alla conclusione della vicenda, vieppiù illegittimo perché il ridetto giudizio di inidoneità era stato oramai rimosso, seppure cautelarmente.
E che il danno potesse essere limitato con una soluzione in via amministrativa della vicenda, mediante l’ammissione con riserva almeno al corso dell’ottobre 2005, se non a quello precedente se esistente, è pure dimostrato dall’accoglimento, infine, del ricorso sul quale si sono avute le tre cautelari, intervenuto con sentenza n. 8711 del 2 ottobre 2008, nelle more del presente giudizio. Con essa la sezione ha rilevato che, come risultante dal nuovo giudizio medico disposto dal TAR, “il riscontro istruttorio appare escludere il giudizio di non idoneità per “scoliosi dorsale destro convessa” sulla quale fonda l’atto impugnato”, laddove l’Amministrazione al riguardo nulla ha opposto, sicchè la sezione ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento del giudizio di non idoneità del ricorrente espresso in data 23 giugno 2004, come se non fosse mai stato adottato.
La memoria di difesa della resistente Amministrazione penitenziaria e della difesa per l’odierna udienza è sintomatica della circostanza che la prima non sta affatto eseguendo la anzidetta sentenza del TAR, ma nell’osservazione che la presente non è la sede giurisdizionale adatta alla valutazione più approfondita di tale problematica, interessa porre in risalto la sanzione di illegittimità dell’operato della Amministrazione, con conseguente assolvimento, anche per la fattispecie che ne occupa, della cd. pregiudiziale amministrativa, ritenuta necessaria, pure dalla giurisprudenza antecedente alla legge n. 69 del 2009, ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno da ritardo (TAR Lazio, Latina, 22 marzo 2005, n. 228).
In conseguenza di tale osservazione, altresì, perde anche di efficacia l’affermazione delle resistenti Amministrazioni che non vi è stato alcun ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza n. 1761/2005, dal momento che si è provveduto a verificare la presenza dei requisiti attitudinali “già in data 16 maggio 2005”,(pag. 16 della memoria per l’udienza pubblica) laddove ciò dimostra che, invece, l’Amministrazione, tenuta per legge ad eseguire l’ordine del giudice, ancorchè cautelare, si è inopinatamente ed ingiustificatamente attardata, ricevendone in tale suo operato un sostegno argomentativo dalle sibilline note dell’Amministrazione della Difesa – LEVADIFE a protocollo n. 0020091/0445000264/REA/5 del 25 maggio 2005 e n. 0034873 del 27 dicembre 2005.
A tal riguardo, che il danno vada ripartito tra entrambe le Amministrazioni in egual misura, secondo una valutazione della responsabilità da ciascuna ricoperta nella vicenda di che trattasi oramai in applicazione dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 come novellata dalla legge n. 69 del 2009, va osservato che emblematica dell’atteggiamento di rimbalzo delle competenze, di cui si è accennato sopra, è l’uso dell’espressione “presa d’atto” adoperato dal DAP nella nota del 28 dicembre 2005, con la quale appunto l’Amministrazione penitenziaria ha “preso atto” delle determinazioni assunte dalla Direzione Generale della Leva nel foglio del 25 maggio 2005, con il quale tale superiore ufficio statuiva che ”ove si rendesse necessaria l’ottemperanza alle statuizioni giurisdizionali ovvero si optasse per una definizione in via amministrativa della controversia, la scrivente D.G. non poteva che prenderne atto…” che, al di là del linguaggio burocratico usato, suona come la presa d’atto – da parte dell’Amministrazione penitenziaria – di una futura presa d’atto – da parte dell’Amministrazione della difesa -, senza addivenire mai ad una reale conclusione del procedimento.
E l’ingiustizia del danno da ritardo così riverberatosi sulla posizione del ricorrente è ancora di più dimostrata dalla circostanza che, non avendo potuto essere avviato a nessuna specifica attività di formazione per almeno un anno, egli non ha maturato il requisito del servizio per poter partecipare al concorso pubblico bandito nel 2007, con la conseguenza che va anche riconosciuto il danno per perdita di chance.
3. In conclusione, per le considerazioni di cui sopra, la presenza dei presupposti del danno da ritardo nella fattispecie in esame si rende palese per l’atteggiamento dilatorio dell’Amministrazione penitenziaria, non assistito da alcun problema interpretativo delle norme sopravvenute che suffraghi il ritardo nella conclusione del procedimento, ma anzi confortato dall’analogo quanto soprassessorio operato dell’Amministrazione della Difesa, oltre alla mancata ottemperanza, anche solo in via temporanea, al dictum del giudice, unitamente all’assolvimento della cd. pregiudiziale amministrativa.
Poiché la sanzione di illegittimità del giudizio di inidoneità del 23 giugno 2004 pronunciata dal TAR con la sentenza n. 8711 del 2 ottobre 2008, allo stato non appellata, è destinata a riverberare i suoi effetti solo ed esclusivamente nel procedimento di incorporazione del ricorrente quale allievo – agente di polizia penitenziaria, il danno da ritardo va commisurato agli emolumenti fissi e continuativi che sarebbero spettati all’interessato per i primi sei mesi del corso di formazione, che ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 443 del 1992 si svolge per dodici mesi, diviso in due semestri e che va determinata in Euro 37.907,28 in base agli stipendi previsti per il V livello dalle Tabelle allegate al d.lgs. n. 193 del 30 maggio 2003.
Gli emolumenti vanno limitati ad un solo semestre, atteso che la norma ora citata prevede un esame intermedio tra i due semestri, del quale il secondo, qualora il candidato superi l’esame, è costituito dalla applicazione a servizi particolari, sicchè non avendo potuto effettuare l’esame, poiché il ricorrente non è stato ammesso al corso, non è dato formulare alcun giudizio prognostico sul suo superamento o meno da parte dell’interessato e quindi sulla sua prosecuzione per l’ulteriore semestre conclusivo.
La circostanza che il ricorrente, non avendo potuto partecipare al corso annuale quale agente ausiliario di leva, è sprovvisto del requisito del servizio ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici nella medesima carriera, consente anche di riconoscere a favore dell’interessato il danno per perdita di chance, che, nella considerazione per la quale egli aveva la stessa probabilità di superare o di non superare l’esame finale pure relativo al secondo semestre del corso di formazione e, quindi di essere immesso in ruolo, va, pertanto, limitato alla misura del 50% degli stipendi di cui egli avrebbe goduto, se fosse stato ammesso al più tardi al corso iniziato ad ottobre 2005, del quale fornisce sicura dimostrazione, pure riscontrata dall’Amministrazione. La giurisprudenza, infatti, riconosce che nella determinazione del danno da perdita di chance occorre basarsi su concreti elementi forniti dal danneggiato, (TAR Lazio, sezione III bis, 17 novembre 2009, n. 11220), quale è appunto il predetto corso dell’ottobre 2005.
Per quanto sopra, il periodo da prendere in considerazione ai fini della determinazione del quantum parte dal termine finale presuntivo del corso ad ottobre 2006, e poiché il ricorso è stato instaurato in data 21 dicembre 2007, va riconosciuto al ricorrente, a titolo di danno per perdita di chance, il 50% degli stipendi di cui avrebbe goduto dal 1° novembre 2006 al 20 dicembre 2007 per una somma pari ad Euro 44.225,16, sempre in base al trattamento economico fisso e continuativo previsto per un V livello dalle Tabelle allegate al d.lgs. n. 193 del 30 maggio 2003.
4. Ma il ricorrente chiede pure la condanna delle resistenti Amministrazioni al risarcimento dei danni non patrimoniali come individuati nei danni morali, biologici, esistenziali per un ammontare di Euro 500.000,00, da liquidarsi anche in via equitativa.
Premesso che in ordine alla liquidazione di tale cespite di danno si procederà in via equitativa, esso va riconosciuto soltanto sotto il solo profilo richiesto del danno esistenziale e morale.
La giurisprudenza riconosce nel danno esistenziale quello conseguente alla lesione di beni non patrimoniali di rango costituzionale appartenenti alla sfera dell’interessato (Consiglio di Stato, sezione V, 18 gennaio 2006, n. 125). Da ultimo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono venute a precisare che “Costituendo il danno non patrimoniale una categoria ampia ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sotto-categorie, esso comprende il c.d. danno esistenziale, inteso quale “pregiudizio alle attività non remunerative della persona” causato dal fatto illecito lesivo di un diritto costituzionalmente garantito: quest’ultimo, non costituendo una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno morale, non può essere liquidato separatamente solo perché diversamente denominato.” (Cassazione civile, Sezioni Unite, 16 febbraio 2009, n. 3677).
Specifica poi la Suprema Corte che, per potersi dar luogo alla sua liquidazione, occorre che sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio e, nel caso in esame, la articolata vicenda sopra riportata ed anche confermata dalla ricostruzione effettuata dall’Amministrazione, seppure per trarne opposte conclusioni, porta a sostenere che il diritto al lavoro, posizione di rilevanza costituzionale stante l’art. 4 Cost., è stato nello specifico, conculcato, anziché promosso, come propugna la Costituzione.
Le osservazioni da ultimo dispiegate valgano anche ai fini della quantificazione di tale tipo di danno, per il quale la giurisprudenza civilistica pretende, altresì, che essa non possa tradursi in una somma meramente simbolica, fermo restando il dovere del giudice di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e dell’iter logico che lo ha condotto a quel determinato risultato, come appunto testè poste in evidenza.
Per le superiori considerazioni si ritiene equo condannare le Amministrazioni della Giustizia e della Difesa al pagamento della somma del 20% di quella disposta a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e cioè pari a Euro 16.426,48.
Gli altri profili di danno non patrimoniale, quali il danno biologico, il danno alla vita di relazione ed il danno all’immagine, non possono essere riconosciuti, poiché non sono sufficientemente provati dal ricorrente, il quale, nello specifico avrebbe dovuto “dimostrare nel processo « i concreti» cambiamenti che l’illecito ha prodotto, in senso peggiorativo, nella qualità di vita” (TAR Lazio, sezione I, 10 maggio 2007, n. 4251), ma al riguardo l’interessato non produce certificazioni mediche o altre dimostrazioni né dello stato bio – fisico – psicologico in cui si sia trovato a causa dell’operato dell’Amministrazione, né consente al TAR di ricavare aliunde in via presuntiva tali stati, con conseguente rigetto di tale parte della domanda.
5. Per le superiori considerazioni il ricorso va pertanto in parte accolto e per l’effetto il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Difesa vanno condannati al pagamento della somma di Euro 49.279,46 ciascuna (totali Euro 98.558,92) a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali a favore del ricorrente, come in motivazione precisato e per il resto va respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Prima quater definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto condanna il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Difesa al pagamento della somma di Euro 49.279,46 ciascuna (totali Euro 98.558,92) a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali a favore del ricorrente, come in motivazione precisato e per il resto lo respinge.
Condanna il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di giudizio ed onorari a favore del ricorrente per l’ammontare di Euro 4000,00 ciascuna (Totale Euro 8000,00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.