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Silenzio-rifiuto richiesta distacco

SENTENZA

sul ricorso n. 7746/03 Reg. Gen., proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dall’ Avv. Giovanni Carlo Parente ed elettivamente domiciliato presso i medesimi in Roma, via Emilia, n. 81;

CONTRO

Il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro-tempore,  rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato nei cui Uffici in via dei Portoghesi n. 12 è domiciliato ex lege;

per l’annullamento

del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di distacco presentata dal ricorrente in data 10-6-2003,

e per il riconoscimento

del diritto ad ottenere un provvedimento esplicito

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

All’udienza del 24-9-2003 data per letta la relazione del magistrato Consigliere Germana Panzironi e uditi gli avv. Angelica Parente e Guizzi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con ricorso ritualmente notificato l’istante impugna il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza, presentata in data 10-6-2003, volta ad ottenere il distacco, sostenendo di averne diritto, in quanto deve assistere la moglie che, come riconosciuto da certficazione della ASL di Benevento, presenta una minaccia di aborto e, pertanto, abbisogna di assistenza continua.

Sostiene l’istante che il silenzio formatosi sulla propria istanza è illegittimo per violazione di legge ed eccesso di potere poiché a fronte di una richiesta documentata con allegazione di certificato rilasciato da una struttura pubblica, l’amministrazione ha tenuto un comportamento inerte senza adottare alcun provvedimento in risposta all’istanza.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso siccome infondato.

All’udienza camerale del 24-9-2003 la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

Il ricorso è stato presentato ai sensi dell’art. 21 bis, comma 1 della l. n. 1034/1971, introdotto dalla l. n. 205/00, che prevede il rito camerale per le cause relative all’annullamento del silenzio-rifiuto, che vengono decise con sentenza succintamente motivata.

Il Collegio osserva che il rito introdotto dall’art. 2 della l. n. 205/00 si configura come strumento di definizione celere delle istanze volte ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione; la previsione per cui i ricorsi sono decisi con sentenza resa in camera di consiglio, in luogo della pubblica udienza, rende palese l’intento acceleratorio del legislatore che avvicina la decisione resa sul silenzio- rifiuto all’ordinanza cautelare adottata ex art. 21 della l. n. 1034/1971, e consente di “spronare” l’amministrazione inerte a decidere in modo espresso sulle istanze ad essa presentate.

Il presupposto indefettibile per l’esperimento del rito camerale in materia di silenzio- rifiuto è che esista un silenzio-rifiuto legittimamente formato, cioè che sia stato esperito l’iter procedurale di formazione, consistente nella presentazione dell’istanza contenente diffida a provvedere e contestuale assegnazione del termine per evaderla, notifica della stessa a mezzo di ufficiale giudiziario, inerzia della P.A. ed impugnazione entro il termine di decadenza.

Occorre, quindi, indefettibilmente, che si verta in materia di silenzio-rifiuto, sul quale il giudice potrà pronunciarsi in sede camerale, accertando l’eventuale illegittimità dell’inerzia.

Nel caso di specie il ricorso è da accogliere, in quanto risulta formatosi il silenzio-rifiuto, dal momento che l’istante ha presentato all’amministrazione rituale diffida notificata con cui si richiede il distacco in una delle sedi indicate.

Conseguentemente il Collegio dichiara l’obbligo dell’amministrazione di adottare un espresso provvedimento in risposta alle istanze avanzate dal ricorrente.

Sussistono motivi di opportunità per la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto dichiara l’obbligo dell’amministrazione di adottare un espresso provvedimento in risposta alle istanze avanzate dal ricorrente, entro il termine di 30 giorni decorrenti dalla notifica della presente decisione.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24-9-2003.