menu

Silenzio-rifiuto a seguito mancato riscontro richiesta e inviti legali; declaratoria diritto provvedimento esplicito

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7547 del 2017, proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Carlo Parente Zamparelli, Stefano Monti, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Carlo Parente Zamparelli in Roma, via Emilia, 81;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

ex art. 31 c.p.a. del silenzio rifiuto formatosi a seguito del mancato riscontro alla richiesta del 17.4.15, reiterata il 31.5.16 ed il 14.6.16, seguita dagli inviti legali dell’1.3.17 e 12.6.17 e per la declaratoria del diritto della ricorrente ad ottenere un provvedimento esplicito

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2017 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 

La ricorrente premette:

di essere stata nominata Ufficiale in ferma prefissata della Marina Militare, nel grado di Guardiamarina -ausiliario del ruolo speciale del Corpo delle Capitanerie di Porto – con anzianità assoluta dal 29.8.2012 – con DPR4.10.2012;

di aver superato il concorso per il reclutamento di 74 Ufficiali in SPE del ruolo speciale dell’Aeronautica Militare indetto con DD 237 del 20.10.2015;

di aver presentato in data 17.5.2015 alla Capitaneria di Porto di Livorno un`istanza intesa a conseguire il passaggio al grado di Sottotenente di Vascello, in quanto erano passati due anni dal conseguimento del grado di Guardiamarina;

di aver reiterata più volte la predetta domanda – trasmessa al competente Ufficio del Ministero della Difesa, Direzione Generale Personale Militare – senza ricevere alcun riscontro dall`Amministrazione, nonostante i ripetuti solleciti del legale in data 1.3.2017 e 12.6.2017.

Con il presente ricorso la stessa agisce in giudizio per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dal Ministero della Difesa sull’istanza in parola, reiterata da ultimo in data 12.6.2017, nonché per l’accertamento dell’obbligo di provvedere in relazione alla medesima istanza, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, in uno all’accertamento della fondatezza della pretesa (con la conseguente declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere all’iscrizione in ruolo nel grado superiore).

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 2 della Legge 241/1990. Violazione dell’art. 17 co. 1 della legge n. 59/1997; Violazione dei principi di correttezza dell`azione amministrativa, sanciti dalla legge n. 241/90 (nonché dall`art.97 della Costituzione); ingiustizia manifesta; difetto di motivazione.

In sostanza l`istante lamenta l`illegittimità del silenzio della PA, che non le consentirebbe di comprendere le ragioni della mancata promozione e quindi di tutelare in giudizio la propria aspettativa all`avanzamento nella carriera di Ufficiale volontario in ferma nella Marina Militare: chiede pertanto che la PA si pronunci con un provvedimento espresso sull`istanza in parola, rispettando l`obbligo di conclusione del procedimento entro il termine prescritto imposto dall`art. 2 della legge n. 241/90; ricordando che la violazione di tale obbligo comporta il pagamento dell`indennizzo per il ritardo.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, che resiste solo formalmente.

Alla Camera di Consiglio del 13.12.2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Giova premettere un richiamo alla giurisprudenza in materia, come operato da una recente pronuncia della Sezione “il ricorso avverso il silenzio rifiuto, ex art. 117 c.p.a., è diretto ad accertare la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere su un’istanza del privato, volta a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere, così che esso risulta esperibile solo in presenza di un obbligo di provvedere, nascente da specifiche previsioni di legge ovvero dai principi generali ovvero anche dalla peculiarità del caso (ex plurimis: Cons. Stato: Sez. IV, 18.2. 2016, n. 653; Sez. III, 3.11.2015, n. 5015). La tutela contro l’inerzia della pubblica amministrazione trova il suo fondamento sostanziale nell’art. 2, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale prevede che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Sul piano sostanziale, l’inerzia dell’Amministrazione e l’omessa emanazione del provvedimento finale, in tanto rileva quale silenzio rifiuto, in quanto sussista un inadempimento ad un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, mediante avvio di un procedimento amministrativo preordinato all’adozione di un provvedimento amministrativo ovvero di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico. Sul piano processuale, l’azione disciplinata dall’art. 117 c.p.a., ha lo scopo di attribuire al privato un potere strumentale, di natura procedimentale, volto a rendere effettivo l’obbligo giuridico dell’Amministrazione di provvedere mediante l’adozione di un provvedimento espresso, sancito dall’art. 2, l. n. 241 del 1990, sicché tale strumento processuale non può essere considerato compatibile con ogni pretesa avanzata dal privato che solo apparentemente abbia ad oggetto una situazione di inerzia (….)” (TAR Lazio, Sez. I bis, n. 5468/2017).

Tali principi sono ben noti alla ricorrente, dato che la stessa ha ricordato che il giudizio sul silenzio si collega al dovere delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso “nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio”. Ed infattiintanto si può considerare illegittimo il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di un privato in quanto questa sia vincolata a pronunciarsi entro un termine prescritto dalla legge, da un regolamento, da un atto di autolimitazione dell’amministrazione stessa, in corrispondenza ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento. Uguale onere di pronunciarsi incombe sulla PA ove lo impongano, in particolari fattispecie, ragioni di giustizia o di equità (vedi, da ultimo, Cons. St., n. 4235/2016). In tale prospettiva l’esistenza delle condizioni che impongono in capo alla PA l’obbligo di provvedere deve essere allegata dall’istante (tanto che è stato ritenuto ammissibile il ricorso contro il silenzio che non sia riferito a precisi obblighi temporalmente scaduti, vedi TAR Friuli sentenza n.530/2016)

Nel caso in esame la ricorrente fonda la sua pretesa ad una pronuncia dell’amministrazione sul solo fatto giuridico della presentazione di un’istanza e del decorso del tempo senza ottenere alcun riscontro da parte dell’amministrazione, senza diffondersi sulle condizioni giuridiche soprarichiamate che consentono di considerare antigiuridico il comportamento inerte dell’Amministrazione.

Tale comportamento processuale scarica sul Collegio l’onere di ricercare la normativa applicabile alla fattispecie concreta, per verificare d’ufficio quantomeno se trova applicazione il termine per la conclusione del procedimento indicato dalla legge generale sul procedimento amministrativo oppure se sia prescritto un termine diverso previsioni da parte della legge o del regolamento, quanto meno per stabilire se detto termine sia o meno scaduto e se, rispetto a questo, il ricorso sia tempestivo. La ricorrente, infatti, fa riferimento alla legge generale sul procedimento amministrativo, senza precisare se queste trovino applicazione nel caso in esame, in mancanza di diverse specifiche previsioni del codice dell’ordinamento militare e/o del regolamento che disciplina i termini per la conclusione dei procedimenti di competenza dell’amministrazione militare (D.M. 16.9.1993, n. 603 – D.M. 8.8.1996, n. 690 – abrogato dall’art 2269, co. 1, n. 290, COM; ora disciplinato dal Capo II – Sezione I -Disposizioni generali in materia di termini del D.P.R. 15/03/2010, n. 90 Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, che all’art. 1031 “Termini conclusivi dei procedimenti” stabilisce che “1. Nelle sezioni II e III del presente capo sono stabiliti, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge, i termini entro i quali, all’esito del prescritto iter procedimentale, sono adottati i provvedimenti conclusivi di competenza del Ministro, dei Sottosegretari di Stato, per le materie a essi delegate, degli organi centrali, degli organi di vertice delle Forze armate e degli organi periferici”; seguono le previsioni dei termini per i diversi procedimenti).

D’altro canto, l’Amministrazione intimata, seppur costituita in giudizio, non ha eccepito alcunché in merito alla tempistica del ricorso e, nel merito, non ha difeso in alcun modo il proprio operato, non avendo addotto alcuna ragione per cui ha omesso di riscontrare le istanze da tempo reiteratamente e presentate dalla ricorrente.

Il Collegio ritiene che, anche a prescindere dall`eventuale infondatezza della richiesta di promozione al grado superiore nel ruolo ausiliario in diversa Forza Armata, la reiterazione ripetuta dell`istanza in parola avrebbe meritato, nelle specifiche circostanze del caso concreto in esame, una risposta da parte dell`Amministrazione, in virtu` del dovere di correttezza con i propri dipendenti, anche al fine di assicurare il rispetto dei principi di buon andamento dell`Amministrazione.

Appare evidente che, per come si sono sviluppate le vicende nel caso di specie, attesa l`insistenza della ricorrente a sollecitare una risposta alla richiesta di inquadramento nel grado su superiore ed i dubbi da questa ventilati una volta venuta a conoscenza della promozione dei colleghi guardiamarina, l`invio di una nota di chiarimenti costituiva per l`Amministrazione un adempimento poco gravoso, che avrebbe assicurato di definire con immediatezza la vicenda, rassicurando la propria dipendente in merito alla correttezza del proprio operato rispetto ai colleghi promossi. Inoltre, l`adozione di un formale provvedimento negativo le avrebbe consentito di agire eventualmente in sede giurisdizionale per tutelare i propri interessi (cfr.Tar Lazio, sez. I bis, n.712/2017). Per cui il comportamento inerte dell’Amministrazione, nonostante le ripetute sollecitazioni della ricorrente, deve essere ritenuto, nelle particolari circostanze del caso di specie, contrastante con i principi di giustizia ed equità richiamati dalla giurisprudenza in materia (vedi, Cons. St., sez. 4235/2016 cit.).

Non solo, ma vi è di più: l’art. 2 comma 1, L. n. 241 del 7 agosto 1990, nella versione attualmente in vigore a seguito delle modifiche apportate dalla legge 6 novembre 2012 n. 190, sancisce l’obbligo della PA di provvedere – seppur con motivazione in “forma semplificata” con un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo – persino nei casi in cui l’istanza sia inaccoglibile per la “manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda”, superando l’impostazione tradizionale che riteneva, per ragioni di economicità dell’azione amministrativa, che in tali ipotesi fosse del tutto inutile provvedere (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, n. 3827/2016).

In tale nuova prospettiva si è ancor più rafforzata la convinzione che l’obbligo giuridico di provvedere è “rinvenibile anche al di là di una espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento, ovvero tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’amministrazione”. Cosicché non assume nemmeno più valenza giustificativa dell’inerzia serbata dalla PA il fatto che l’istanza non soddisfi i requisiti minimi di contenuto e di forma un tempo necessari per poterla ritenere ricevibile ed ammissibile e, pertanto, per far scattare l’obbligo di pronuncia nel merito da parte della p.a.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, il silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza della ricorrente risulta del tutto ingiustificato e costituisce un comportamento contrastante con l’obbligo di provvedere comunque sancito dal chiaro disposto dell’art. 2 sopra richiamato.

Il ricorso va pertanto accolto esclusivamente ai fini della pronuncia espressa dell`Amministrazione sull`istanza della ricorrente nel termine di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente pronuncia.

Le spese di lite vanno poste a carico della PA, che con il suo comportamento inerte ha determinato l’insorgere (e la protrazione) della controversia, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Condanna la resistente a rifondere alla ricorrente le spese di giudizio nella misura di complessive €. 700,00, più accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.