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Risarciti i cittadini per la nube di Seveso. Il loro danno morale risulta dimostrato in via indiziaria.

A distanza di trent'anni dalla tragedia di Seveso, che riversò sulla popolazione una nube tossica, ancora la macchina giudiziaria è attiva nel deliberare il diritto dei cittadini al risarcimento dei danni. Stavolta la Cassazione si pronuncia su un'azione giudiziaria promossa da 85 cittadini nel 1995. Dopo 14 anni ognuno di loro avrà diritto ad €. 5000. L'azienda ha cercato di difendersi sostenendo che gli attori non avevano provato che i patemi d'animo subiti dipendessero dalla fuoriuscita della diossina. Rileva, tuttavia, la Suprema Corte, che “La corte d'appello ha dato analiticamente conto (alle pagine 5, 6 e 7 della sentenza impugnata) delle ragioni che avevano indotto il tribunale all'accoglimento della domanda, espressamente riferendo che tutti coloro, come gli attori, che risiedevano nelle zone delimitate come “B” ed “R”, come risulta dalla documentazione prodotta (cosi', testualmente, a pagina 5) vennero sottoposti, in quanto soggetti a rischio, a ripetuti controlli sanitari, sia nell'immediatezza dell'evento sia successivamente, per parecchi anni, almeno fino al 1984. Lo stesso concetto e' nuovamente espresso a pagina 9, capoverso, dove si afferma essere notorio e comunque documentato che i controlli interessarono anche specificamente gli attori/appellati, nessuno di essi escluso (…)Per il resto la sentenza e' del tutto conforme a diritto dove afferma che il danno non patrimoniale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza interna ben puo' essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilita' del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro secondo criteri di regolarita' causale” (Cass. Civ- Sez. 3^ – Sentenza n. 11059 del 13 maggio 2009).