SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7072 del 2012, proposto da
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Monti e Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Carlo Parente Zamparelli in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’accertamento
del diritto alla “restitutio in integrum” ai fini giuridici ed economici alla data dell’illegittima esclusione dal concorso per l’arruolamento di n. 814 vigili del fuoco e il conseguente risarcimento dei danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 24 settembre 2021, mediante collegamento da remoto in videoconferenza, la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe Federico Bussolini ha chiesto l’accertamento del diritto alla ricostruzione della carriera, sotto il profilo giuridico ed economico, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato che, in riforma della sentenza di primo grado emessa da questo Tribunale, ha annullato il provvedimento di esclusione, per difetto dei requisiti psico-fisici, dal concorso per l’arruolamento di 814 VV.F..
Il ricorrente ha esposto di avere impugnato il provvedimento di esclusione innanzi al Tar, che aveva respinto il ricorso; la sentenza era stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato che, espletata la verificazione, aveva accolto il ricorso con la decisione n. 2411/2012.
Di conseguenza il ricorrente poteva vantare il diritto alla piena restitutio in integrum dell’anzianità di grado (atto di inquadramento), ai fini sia giuridici che economici, dalla data in cui avrebbe dovuto essere immesso in ruolo se non fosse intervenuta l’esclusione, nonché al risarcimento dei conseguenti danni, patrimoniali e non patrimoniali.
A sostegno del ricorso sono state formulate, in unico motivo, le censure di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alle norme sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/90 nonché agli artt. 1175, 1375, 1218, 2909 del c.c., anche con riferimento agli artt. 2,3, 4, 36, 97 Cost., violazione del principio di retroattività del giudicato, violazione dell’art. 2908 c.c.., eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, e in particolare per illogicità, contraddittorietà, sviamento, difetto ed insufficienza di istruttoria, ingiustizia manifesta, violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, eccesso di potere per disparità di trattamento.
Si è costituito il Ministero dell’Interno resistendo al ricorso.
All’udienza straordinaria del 23 settembre 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto per quanto di ragione.
Lo sviluppo della vicenda evidenzia la sussistenza dei presupposti per l’affermazione della responsabilità dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c. con riferimento alla valutazione di inidoneità impugnata con ricorso innanzi al TAR.
Com’è noto, e ribadito anche dalle più recenti pronunce in materia, “ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; da ciò deriva che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal giudice comunitario, può affermare tale responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato; il giudice può negarla, invece, quando l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art. 2043 cod. civ.) della Pubblica amministrazione per danno, devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità” (Consiglio di Stato, sez. IV, 1/8/2016, n. 3464; sez. V, 18/01/2016, n. 125).
L’apprezzamento della colpa, in tale contesto, deve essere effettuato alla luce delle motivazioni che, in sede giurisdizionale, hanno condotto all’accertamento della illegittimità del provvedimento e al suo annullamento, motivazioni che costituiscono l’unico parametro obiettivo per valutare, ai fini della loro eventuale qualificazione come colpose ex art. 2043 c.c., le modalità di condotta dell’amministrazione.
Nel caso di specie all’esito della verificazione disposta dal Consiglio di Stato il ricorrente è stato ritenuto, dalla Commissione medica del concorso riunitasi in diversa composizione, idoneo all’assunzione, tanto che il giudice d’appello ha ritenuto sussistenti, con riferimento alla determinazione di esclusione impugnata, i vizi di eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del d.m. 11 marzo 2008, n. 78, accogliendo l’appello.
Gli accertamenti effettuati hanno quindi evidenziato che la prima verifica è stata condotta in modo non accurato e conforme alle specifiche della materia, concretizzando una condotta colposa.
Sulla base di tali considerazioni deve ravvisarsi la connotazione colpevole della condotta dell’Amministrazione stessa nell’avere negato all’interessato la nomina.
Tale aspetto rientra nella cognizione del presente giudizio avendo il ricorrente lamentato tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti dalla ritardata assunzione, e ricorrendo una ipotesi di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. i) c.p.a..
Ciò premesso in ordine alla sussistenza della responsabilità dell’Amministrazione, sulla determinazione del danno deve condividersi il principio espresso in giurisprudenza secondo cui, in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale, occorrendo invece, caso per caso, individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta del datore di lavoro (TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 2 luglio 2015 n. 8831; Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1944).
Ne consegue che il danno risarcibile per effetto della ritardata assunzione, tenuto anche conto del peculiare svolgimento della vicenda, deve essere liquidato equitativamente, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2056, commi 1 e 2, e 1226 c.c., per il periodo dal 5 dicembre 2005 al 27 agosto 2007, in una somma pari al 50% delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte al ricorrente in caso di intervenuta assunzione fin dai primi accertamenti, tenuto conto del fatto che il ricorrente è stato poi assunto con decorrenza giuridica dal I dicembre 2011 ed economica dall’8 aprile 2013, mentre i colleghi di concorso hanno preso servizio il 27 aprile 2011.
Dall’importo così determinato andrà decurtato il cd. aliunde perceptum, id est le somme che risultino a qualsiasi titolo percepite dall’interessato nel medesimo periodo.
Sulle somme riconosciute, come sopra determinate, devono essere computati sia la rivalutazione monetaria che gli interessi nella misura del tasso legale, da calcolarsi sulle somme via via rivalutate anno per anno (da ultimo Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2017, n. 25099, che richiama Cass. civ., SS.UU., n. 1712/1995), fino al saldo effettivo.
L’Amministrazione provvederà poi a regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale dell’appellante.
Quanto al danno non patrimoniale, questo è stato dedotto genericamente e non è stato dimostrato, di tal che la relativa domanda non può essere accolta.
In conclusione, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere parzialmente accolto, nei termini indicati in motivazione.
Le spese di lite seguono la prevalente soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, condanna l’Amministrazione resistente al risarcimento del danno nei confronti del ricorrente nei termini di cui in motivazione.
Condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 1500,00, oltre iva e cpa come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.