SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 4808 del 2003, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Ministero Giustizia -Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in persona del titolare pro-tempore;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
della decorrenza giuridica dell’inquadramento nell’organico della polizia penitenziaria.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 maggio 2010 il dott. Giorgio Giovannini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe l’istante impugna l’atto di suo inquadramento nel Corpo della Polizia penitenziaria, nella parte in cui ne determina la decorrenza giuridica a far tempo dal 4 ottobre 1999.
Egli rileva che con d.l. 5 luglio 1995, n. 269, successivamente reiterato e convertito nella l. 15 novembre 1996, n. 579, veniva aumentato l’organico del Corpo di Polizia penitenziaria di 1.400 unità nel ruolo degli agenti ed assistenti, disponendosi anche che per la copertura del 50 per cento dei suddetti posti si sarebbe provveduto mediante assunzione dei volontari e degli ausiliari in congedo dell’Arma dei C.C., delle FF.AA. e delle altre Forze di polizia, congedati senza demerito ed in possesso dei requisiti, anche psico-fisici, richiesti per l’assunzione nel Corpo della polizia penitenziaria.
Il ricorrente, in qualità di ex appartenente all’Arma dei C.C. congedato senza demerito, presentava quindi domanda di partecipazione alla selezione, ma veniva giudicato non idoneo in sede di visita medica.
Avverso tale provvedimento egli si gravava dinanzi al tribunale amministrativo regionale della Campania il quale, prima, accoglieva l’istanza cautelare e poi, con sentenza 26 aprile 2001, n. 3286, accoglieva parimenti il ricorso.
L’Amministrazione procedeva quindi al suo inquadramento in ruolo – peraltro con riserva “sino all’esito del giudicato amministrativo” – disponendone la decorrenza giuridica dal 4 ottobre 1999.
Impugna l’interessato tale provvedimento, deducendo i seguenti motivi di gravame:
I) Violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alle norme sul procedimento amministrativo di cui alla l. n. 241 del 1990, nonché agli artt. 1175, 1375 e 1218 cod. civ., anche con riferimento agli artt. 2, 3, 4, 36, 97 cost..
II) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per illogicità, contraddittorietà, sviamento, difetto ed insufficienza di istruttoria, ingiustizia manifesta.
III) Violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, eccesso di potere per disparità di trattamento.
IV) Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 443 del 1992 e norme successive, in particolare della l. n. 395 del 1990.
Con il descritto suo operato l’Amministrazione ha cagionato illegittimo nocumento al ricorrente, sia attraverso l’esclusione dal concorso, adducendo l’assunzione da parte sua di sostanze stupefacenti, poi smentita nell’istruttoria esperita in sede giurisdizionale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, sia disponendone l’inquadramento con riserva fino all’esito dell’appello, che in realtà non è stato mai proposto. In particolare, il negativo esito della visita medica effettuata nell’ambito della selezione, successivamente riconosciuto errato dal Tribunale regionale, ha comportato il ritardo nell’assunzione nel Corpo di Polizia penitenziaria con le pregiudizievoli conseguenze consistenti nel mancato riconoscimento (dal 1998 al 2000) dell’anzianità di qualifica e di servizio, nel mancato versamento (dal 1998 al 2000) degli emolumenti pensionistici e connesso slittamento in avanti dell’età pensionabile, nel ritardo nell’avanzamento di carriera.
Poiché le norme hanno configurato la posizione degli aspiranti all’assunzione in questione come un vero e proprio diritto soggettivo condizionato soltanto dalla presenza dei requisiti richiesti, una volta riconosciuta l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione, il ricorrente ha titolo ad ottenere l’inquadramento giuridico a far data dall’avvenuta esclusione dalla procedura (1998) e, in generale, al ripristino ex tunc della sua posizione giuridica. A lui spetta inoltre, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della ritardata assunzione in servizio, per retribuzioni non percepite, lucro cessante e mancata regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale.
L’istante ha quindi così concluso: accogliere il ricorso e, per lo effetto, accertata la responsabilità dell’Amministrazione resistente per aver provocato ingiustamente un inescusabile ritardo nell’arruolamento del ricorrente, riconoscere in capo al medesimo il diritto al ripristino ex tunc della posizione giuridica ed economica in virtù del principio della retroattività del giudicato (cd. diritto alla ricostruzione della carriera)…; condannare il Ministero della Giustizia a provvedere tempestivamente in favore del ricorrente: 1) alla retrodatazione dell’immissione nell’organico del Corpo di p.p. e, quindi, all’inquadramento ed alla nomina ad “agente del Corpo di p.p.” a far data dall’avvenuta esclusione dal concorso per difetto dei requisiti fisici datato 21 dicembre 1998 nonché dal completamento e pubblicazione della relativa graduatoria generale da cui, conseguentemente, è stato estromesso ovvero da quando questo Tribunale crederà giusto ed opportuno; 2) alla retrodatazione dell’anzianità di qualifica e di servizio a decorrere dall’avvenuta esclusione, da far coincidere come sopra, con tutti i conseguenti benefici come esposti in narrativa e, in particolare, economici, assistenziali, pensionistici e previdenziali; 3) alla corresponsione di tutte le spettanze economiche dovutegli già dal 1998 e non corrisposte a causa della illegittima esclusione dal concorso, in virtù del principio della retroattività del giudicato, previa consulenza tecnica circa la relativa quantificazione. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.
Per il Ministero intimato si è costituita l’Avvocatura Generale dello Stato, senza peraltro nulla dedurre nel merito della controversia.
Alla udienza del 12 maggio 2010 la causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
Nei sensi e nei limiti di seguito indicati il ricorso merita accoglimento.
Come rilevato nella pregressa esposizione in fatto, il ricorrente, già appartenente all’Arma dei C.C., partecipò alla selezione indetta, in applicazione del d.l. 5 luglio 1995, n. 269, successivamente reiterato e convertito nella l. 15 novembre 1996, n. 579, per l’assunzione di 1.400 unità da inserire nel Corpo della Polizia penitenziaria.
L’assunzione era riservata agli ex volontari delle Forze armate e delle Forze di polizia, purché regolarmente congedati alla fine del periodo di ferma volontaria; era poi previsto, quale ulteriore presupposto, il possesso dei requisiti psico-fisici richiesti, da accertarsi mediante visita medica.
Senonché la visita cui l’interessato venne sottoposto ebbe esito negativo, essendo stato dichiarato non idoneo “per presenza di sostanze cannabinoidi ai cataboliti urinari art. 123, lettera b) del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443”.
Avverso il conseguente provvedimento 21 dicembre 1998 di esclusione dalla procedura egli propose allora ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale della Campania, il quale, preso atto della esistenza di certificazioni mediche rese da strutture pubbliche recanti risultanze tossicologiche negative, dispose in via istruttoria una verificazione tecnica a cura dell’Ospedale militare di Caserta.
Quest’ultimo con nota 27 aprile 1999, n. 575/anc esprimeva il parere che l’interessato potesse essere considerato consumatore soltanto occasionale di cannabinoidi, come anche emergente dalla negatività della ricerca di cannabinoidi su formazioni pilifere in precedenza eseguita presso la cattedra di tossicologia forense.
Con sentenza n. 3286 del 2001 il ricorso è stato quindi accolto ed annullato il provvedimento di esclusione dalla selezione.
Per l’effetto il ricorrente è stato quindi immesso in servizio con decorrenza dal 4 ottobre 1999, con riserva peraltro del giudicato amministrativo, nell’assunta avvenuta proposizione di appello avverso la predetta sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania.
Ciò stante, il provvedimento impugnato va anzitutto annullato nella parte concernente detta riserva, atteso che, giusta attestazione dell’Ufficio ricorsi del Consiglio di Stato, alla data dello stesso l’appello non risultava proposto. Né d’altro canto l’Amministrazione ha comprovato in giudizio di averlo esperito successivamente.
Circa poi gli altri profili della vicenda, si rende anzitutto applicabile l’orientamento giurisprudenziale, al quale il collegio ritiene di aderire, secondo cui in caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego, conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all’interessato il riconoscimento della medesima decorrenza giuridica attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente (Cons. di Stato, sez. IV, 3 ottobre 2005, n. 5261; sez. VI, 4 aprile 2005, n. 1477; sez. VI, 5 agosto 2004, n. 5467; sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7292). Spetta, inoltre, l’attribuzione di ogni beneficio legato a detta decorrenza, derivante da meri automatismi di carriera.
Secondo la stessa giurisprudenza non può viceversa riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione, atteso che tale diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio.
Relativamente a detto periodo va invece liquidato il risarcimento del danno.
Al riguardo è anzitutto da osservare non essere dubbio che la situazione pregiudizievole lamentata dal ricorrente sia conseguita alla riconosciuta illegittimità del provvedimento di esclusione dalla procedura di assunzione e che, pertanto, la sua cognizione rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, comma terzo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 7, comma 4, della legge 21 luglio 2000, n. 205.
Non è, d’altra parte, neppure dubbio che nella fattispecie l’operato dell’Amministrazione sia, oltre che legato da sicuro nesso di causalità con il pregiudizio sofferto dal ricorrente, anche connotato dall’elemento della colpa. Le chiare risultanze degli esami eseguiti dalla c.m.o. di Caserta con le garanzie proprie delle funzioni strumentali all’attività giurisdizionale e, prima ancora, quelli dalla c.m.o. stessa richiamati effettuati presso la cattedra di tossicologia forense, concomitantemente escludenti la causa di inidoneità allegata in sede di visita medica concorsuale, non possono che far ritenere gravemente carenti gli accertamenti svolti in quest’ultimo ambito. Quivi, in particolare, risulta omesso il dovuto approfondimento dei primi riscontri fatti, onde addivenire con certezza, attraverso analisi più appropriate, ad una diagnosi tossicologica effettivamente rispondente alla causa di inidoneità sancita dall’invocato art. 123, lettera b) del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443.
Circa il quantum del risarcimento, esso va determinato in misura pari: a) alle retribuzioni perse, ivi comprese le quote di trattamento di fine rapporto a carico dell’amministrazione, con detrazione in via equitativa di una percentuale pari al 50 per cento, tenuto conto che in concreto l’interessato nel periodo considerato, privo degli impegni derivanti dal lavoro de quo, ha fruito della possibilità di un positivo diverso utilizzo delle proprie energie per la cura di interessi personali e familiari (in questo senso Cons. di Stato, sez. V, 25 luglio 2006, n. 4639; sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5174); b) al valore delle corrispondenti contribuzioni previdenziali che in relazione agli importi sub a) l’amministrazione sarebbe stata tenuta a versare all’Ente di previdenza obbligatoria; c) alla rivalutazione monetaria sulla base degli indici ISTAT ed agli interessi nella misura legale dalle singole scadenze e fino al soddisfo. In ordine a quest’ultima voce va rimarcato come ad essa non sia applicabile il divieto di cumulo degli interessi legali e della rivalutazione sancito dall’art. 22, comma 36, della l. 23 dicembre 1994, n. 724 e dall’art. 16, comma 6, della l. 30 dicembre 1991, n. 412, atteso che la somma capitale spettante ha natura non retributiva né previdenziale ma risarcitoria.
Non possono viceversa liquidarsi gli ulteriori danni prospettati dal ricorrente, stante la mancanza di alcuna prova circa la loro effettiva sussistenza (v. sul punto, Cons. di Stato, sez. V, 28 maggio 2010, n. 3397)..
La parziale reciproca soccombenza tra le parti giustifica la integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Dispone l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.