SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7710 del 2009, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Carlo Parente e Stefano Monti, con domicilio eletto presso Giovanni Carlo Parente in Roma, via Emilia n. 81;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Questura di Roma, in persona del Questore p.t.;
per l’annullamento
– del provvedimento della Questura di Roma datato 8 maggio 2009, notificato in data 26 maggio 2009, con cui è stata respinta l’istanza del ricorrente volta ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di fucile da caccia;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2012 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 21 luglio 2009 e depositato il successivo 2 ottobre 2009, il ricorrente impugna il provvedimento con cui, in data 8 maggio 2009, la Questura di Roma gli ha negato il rinnovo della licenza di porto di fucile, chiedendone l’annullamento.
In particolare, il ricorrente espone che:
– nel lontano 1999, per una lite di confine con un vicino, era da questi denunciato “in quanto, brandendo un bastone, lo aveva minacciato ed offeso cercando di impedirgli il passaggio sul proprio fondo, da questi arrogantemente preteso..”;
– l’ipotesi accusatoria trovava conferma nella sentenza del Tribunale di Terracina, il quale – pur irrogandogli la pena di otto mesi di reclusione, con benefici di legge – “rivelasse che non vi fosse … alcun atteggiamento di fatto .. concretante minaccia”;
– in sede di appello non riusciva a rovesciare l’avversa sentenza ma, comunque, otteneva la conversione della condanna “in una multa di mille euro”;
– detta condanna era, poi, confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza depositata in cancelleria il 9 marzo 2007;
– in ragione di tali accadimenti, con decreto in data 8 maggio 2009 la Questura di Roma respingeva l’istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia dal predetto presentata, per carenza dei “requisiti soggettivi richiesti dalla normativa in materia di armi” (rectius: artt. 1, 5, 11 e 43 del T.U.L.P.S.) “e ravvisata la necessità di assicurare la tutela preventiva della sicurezza pubblica e della incolumità dei cittadini”.
Avverso tale provvedimento il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:
ECCESSO E SVIAMENTO DI POTERE, ILLOGICITA’ ED IRRAGIONEVOLEZZA MANIFESTE; DIFETTO ASSOLUTO DI MOTIVAZIONE. ERRORE NEI PRESUPPOSTI E TRAVISAMENTO DEI FATTI. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 24, 27 E 97 DELLA COSTITUZIONE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1, 5, 11 E 43 DEL T.U.L.P.S., APPROVATO CON R.D. N. 773 DEL 18.6.1931. VIOLAZIONE DEI PRINCIPI ENUNCIATI DALLA CORTE COSTITUZIONALE NELLA SENTENZA N. 440/1993. Posto che il caso del ricorrente non è riconducibile ad alcuno di quelli espressamente previsti nelle disposizioni sopra richiamate del T.U.L.P.S., il diniego opposto dall’Amministrazione non può che farsi ricadere “nella generica previsione della buona condotta”. Ciò detto, anche in applicazione dei principi fissati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 440 del 1993, un giudizio prognostico negativo non può farsi discendere – come nell’ipotesi in esame – in via automatica dall’esistenza di una condanna penale, pena il difetto di apposita istruttoria.
Con atto depositato in data 10 ottobre 2009 si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale – in medesima data – ha prodotto documenti, tra cui una nota dell’Ufficio Porto d’Armi, caratterizzata – in sintesi – dal seguente contenuto: – da nota inoltrata dal Commissario Primavalle risultano diverse segnalazioni, da cui emerge che, nel corso degli anni, il ricorrente ha avuto con concittadini contrasti sul diritto di viabilità di una strada, mostrando sempre un atteggiamento aggressivo e minaccioso; – i continui contrasti sono stati anche oggetto di ordinanze del Comune e di interventi della Polizia Municipale per la rimozione di ostacoli posti sulla strada dal ricorrente e dai suoi familiari per impedirne l’accesso ad altri; – i giudizi già espressi trovano conferma nei certificati del casellario giudiziale, da cui risulta una sentenza di condanna per i reati di minaccia ed ingiurie; – la pena comminata è, comunque, ininfluente “ai fini del giudizio in ordine al possesso del requisito soggettivo della buona condotta e della capacità di abuso delle armi”.
All’udienza pubblica del 29 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
1.1. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile impugnato in quanto sostiene che l’Amministrazione ha fatto discendere la decisione assunta in via automatica dall’esistenza di una sentenza di condanna e, quindi, non ha effettuato un’adeguata istruttoria.
Tale censura è meritevole di condivisione.
1.2. In linea con quanto rilevato nel ricorso ma, poi, confermato anche dall’Amministrazione resistente, il provvedimento impugnato risulta adottato precipuamente in ragione della mancanza del requisito soggettivo della buona condotta e di un giudizio negativo sull’affidamento di non abusare delle armi, ai sensi dell’art. 43, u.c., T.U.L.P.S., entrambi originati dall’emissione – in passato – di una sentenza penale di condanna al pagamento di una multa.
Anche sulla base di quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza in materia, appare opportuno ricordare che:
– nell’ordinamento vigente, non sono previste e tutelate posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e porto di armi, costituendo anzi tali situazioni delle eccezioni (ad apposito divieto previsto dall’art. 699 c.p., e dall’art. 4, comma 1, L. n. 110 del 1975) circondate di particolari cautele;
– ai sensi dell’art. 39 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, alle persone ritenute capaci di abusarne; parimenti, ai sensi degli articoli 11 e 43 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, la licenza di porto d’armi può essere ricusata dal Questore a coloro che non danno affidamento di non abusare delle armi. Tale disciplina è diretta al presidio dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi da indebito uso ed inosservanza degli obblighi di custodia, nonché della commissione di reati che possano essere agevolati dall’utilizzo del mezzo di offesa;
– i provvedimenti concessivi dell’autorizzazione alla detenzione e del porto di armi postulano, quindi, che il beneficiario di esso sia indenne da mende, osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile, sì che non possano emergere sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati;
– i provvedimenti di ricusazione, avendo finalità preventive, non richiedono che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente un’erosione anche minima del requisito della totale affidabilità del soggetto, fermo restando in capo all’amministrazione l’onere di esternare non solo il presupposto di fatto che l’ha indotta ad intervenire, ma anche le ragioni per le quali il soggetto viene ritenuto capace di abusare delle armi e munizioni medesime.
In definitiva:
– la valutazione di affidabilità espressa dal Questore costituisce l’esito di un giudizio sintetico-valutativo che deve investire nel complesso la condotta di vita del soggetto interessato, con riguardo all’osservanza sia delle comuni regole di convivenza sociale che di quelle tradotte in precetti giuridici a salvaguardia dei valori fondamentali dell’ordinamento, con la conseguenza che – come, tra l’altro rilevato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 331 del 1996 – “alcun carattere immediatamente ostativo, ai fini del rilascio o del rinnovo delle licenze di p.s.,” può riconoscersi “al fatto di aver riportato una condanna in sede penale” (e ciò anche qualora si tratti delle ipotesi delittuose espressamente contemplate dalla legge), attesa la necessità “di procedere ad una concreta prognosi” che tenga conto di una serie di circostanze, quali l’epoca a cui risale la condotta contestata, i reiterati rinnovi del titolo di polizia nel frattempo intervenuti, la condotta tenuta successivamente al fatto di reato e fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 25 settembre 2012, n. 5095; C.d.S., Sez. III, 3 agosto 2011, n. 4630; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 20 novembre 2012, n. 2808; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 21 marzo 2012, n. 1402; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 1 marzo 2012, n. 1069; TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 11 gennaio 2012, n. 7);
– in ragione di quanto esposto, chiaro è anche l’obbligo dell’Amministrazione di procedere ad una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dare conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere – sulla base di considerazioni probabilistiche – il soggetto pericoloso o, comunque, capace di abusi (cfr. C.d.S., Sez. VI, 22 ottobre 2009, n. 6477; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 7 dicembre 2012, n. 5039; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 6 novembre 2012, n. 4424).
1.3. Tutto ciò premesso, il provvedimento impugnato – da valutare ex se, ossia in ragione esclusivamente del contenuto che lo caratterizza, senza poter tener conto di ulteriori informazioni eventualmente fornite dall’Amministrazione di sede di espletamento della propria attività defensionale – risulta carente, atteso che ricollega la perdita del requisito soggettivo della buona condotta ed il rischio di abuso semplicemente alla sentenza di condanna emessa in data 14 giugno 2006 dalla Corte di Appello di Roma per i reati di minaccia ed ingiuria, in relazione a fatti, tra l’altro, risalenti all’anno 1999.
Posto che la formulazione del provvedimento de quo non dà, pertanto, conto dell’espletamento da parte dell’Amministrazione di specifici accertamenti sul comportamento del privato, atti a rivelare che quest’ultimo ha impostato la propria condotta secondo uno schema contrastante con i doveri di correttezza sociale e con le norme che regolano la convivenza civile, rifacendosi ad un unico episodio, non connotato, tra l’altro, da estrema gravità, lo stesso provvedimento è da ritenere illegittimamente adottato.
2. Per le ragioni illustrate, il ricorso va accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del ricorrente in € 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7710/2009, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di giudizio, così come liquidate in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.