TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE I PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice della Prima Sezione Penale Dott. Mauro Barbanti G.O.T.), alla pubblica udienza del 25 ottobre 2021 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
OMISSIS, nato a OMISSIS
Libero, presente
Imputato
(allegato)
TRIBUNALE DI ROMA
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
DECRETO PENALE DI CONDANNA
(art. 460 c.p.p.)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice per le Indagini Preliminari
Esaminata la richiesta del Pubblico Ministero formulata in relazione al procedimento nei confronti di:
OMISSIS nato/a OMISSIS residente a OMISSIS elettivamente domiciliato a Roma in via Emilia 81 presso Io studio dell’Avvocato PARENTE Giovanni Carlo
Difeso dall’Avvocato PARENTE Giovanni Carlo con studio a Roma in via Emilia 81, nominato di fiducia.
IMPUTATO
Per il reato di cui all’art. 483 c.p., in relazione all’art. 46 DPR 445 del 28 dicembre 2000, perché, con dichiarazione sostitutiva di certificazione, indirizzata al TAR del Lazio in qualità di titolare dei ricorso n’. 10736/2017 R.G., ai tini del beneficio dell’esenzione dal pagamento del Contributo Unificato, falsamente attestava che il reddito complessivo del nucleo familiare fosse inferiore alla soglia di esenzione stabilita di €34.585,23, risultando viceversa di gran lunga superiore.
Fatto commesso in Roma in data 13/06/2018
RITENUTO
-che la colpevolezza dell’imputato emerga con evidenza dagli atti dell’indagine espletata posto che la comunicazione di notizia di reato e le investigazioni svolte non lasciano dubbi in proposito;
-che può essere applicata 1a sola pena pecuniaria;
-che la pena, richiesta dal Pubblico Ministero, ridotta ex art. 459 n. 2 c.p.p., può ritenersi equa e correttamente quantificata.
RILEVATO
-che il reato come sopra indicato è procedibile d’ufficio ovvero è procedibile a querela e sussiste valida condizione di procedibilità;
-che ricorrono tutte le condizioni di legge:
Visto l’art. 459 e segg.
CONDANNA
L’imputato in ordine al reato sopradescritto alla pena di 1125 euro di multa cosi determinata:
p.b. gg. 45 di reclusione
ridotta, ex art. 62 bis cp, a gg 30 di reclusione;
ulteriormente ridotta ex art. 459 cpp a gg. 15 di reclusione.
Sostituisce la pena detentiva inflitta con la corrispondente pena pecuniaria di euro 1.125,00 in ragione di euro 75,00 pro-die
PM: Dott. A. BECCIA
Difensore: Avv. Giovanni Carlo PARENTE del Foro di Roma, di fiducia sostituito ex art. 102 c.p.p. dall’Avv. Rosario BUCCELLA
Conclusioni
P.M.: assoluzione con formula dubitativa perché il fatto non costituisce reato
Difesa: Assoluzione perché il fatto non costituisce reato; in subordine assoluzione ex art. 131 bis c.p.; in ulteriore subordine minimo della pena e benefici
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il processo si svolgeva nelle forme del rito ordinario a seguito dell’opposizione ritualmente proposta del Decreto di Condanna Penale n. 585/2019 emesso dal G.I.P. del Tribunale di Roma in data 20.6.2019 revocato all’udienza del 25 ottobre 2021.
Durante l’istruttoria dibattimentale venivano acquisite prove documentali, escussi i testi OMISSIS (padre dell’imputato), OMISSIS (convivente more uxorio dell’imputato) e rendeva esame l’imputato. Dall’istruttoria emerge senza alcun dubbio che il OMISSIS ai fini dell’esenzione dal contributo unificato dovuto per un ricorso proposto al T.A.R. Lazio abbia indicato correttamente i componenti del proprio nucleo famigliare indicati in se stesso, il padre OMISSIS, la madre OMISSIS ed il fratello OMISSIS, dichiarando “di essere titolare di un reddito imponibile” inferiore ad euro 34.585,23 mentre dai successivi controlli richiesti dall’ufficio ed espletati dall’Agenzia delle Entrate il reddito complessivo, tenuto conto di quello di tutti i famigliari per l’anno di riferimento risultava di circa 59.000,00 euro, di cui poco più di 39.000,00 del relativi al reddito del padre.
Invero, deve osservarsi che nella prima parte del modulo di autocertificazione ai fini dell’esenzione è scritto “dichiara di essere titolare di un reddito imponibile”, successivamente è presente un riquadro in cui indicare i famigliari conviventi ed in calce si legge in neretto una nota richiamata da un asterisco posto dopo la parola “imponibile” in cui si specifica che deve essere “considerato il reddito imponibile ai fini IRPEF, quale definito dall’art. 3 testo Unico delle imposte sui redditi, integrato dagli altri redditi indicati dall’art. 76 comma 2 del TU. n. 115 del 2002, compresi quindi i redditi dei familiari conviventi”.
Il modulo risulta complessivamente comprensibile, ma non è esente dal poter indurre in errore il dichiarante che lo compili con non sufficiente intenzione oppure operanda errate interpretazioni.
I testi hanno confermato che l’imputato non coabitava con i propri famigliari, bensì in una abitazione di cui è stato prodotto il contratto di locazione regolarmente registrato e l’imputato ha dichiarato che il padre aveva lo aveva sollecitato a presentare il ricorso impegnandosi a sostenerne i relativi oneri.
Pertanto deve escludersi che l’imputato potesse trarre un vantaggio. dalla dichiarazione falsa, adombrandosi l’ipotesi che non abbia agito nella piena consapevolezza di dichiarare volontariamente condizioni reddituali diverse da quelle effettive.
In tal senso lo stesso Pubblico Ministero ha concluso per una pronuncia di assoluzione con formula dubitativa che merita di essere accolta.
Occorre innanzitutto avere riguardo al fatto per il reato di cui in rubrica resta indifferente che il reo nel tragga vantaggio e che comunque: “Nel delitto di falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante non si richiede il dolo specifico, non essendo rilevante il fine perseguito dall’autore della falsità ma è sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa.” (Sez. 5, n. 18476 del 26/02/2016 – dep. 03/05/2016, Livreri, Rv. 26654901)
Ciò nonostante occorre distinguere tra falsa ed erronea attestazione, laddove nel secondo caso il soggetto non ha coscienza e volontà di affermare dolosamente il falso (o peggio ancora come è possibile che accada è indotto in errore) che esclude la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, poiché diverse conclusioni condurrebbero alla abnorme conclusione secondo la quale verrebbe a rispondere a titolo di colpa per il reato di cui all’art. 483 c.p., che contrario richiede il dolo.
Pertanto, deve concludersi che l’imputata non abbia consapevolmente dichiarato il falso, ma semplicemente compiuto un’attestazione erronea o negligente.
P.Q.M.
Visto l’art. 530 secondo comma c.p.p. assolve l’imputato OMISSIS dal reato ascrittogli, perché manca la prova che il fatto costituisca reato. Giorni 90 per i motivi.
Roma, 25 ottobre 2021
Il G.O.T.
Dott. Mauro Barbanti