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Esclusione concorso Aeronautica per stato di imputato in procedimento penale

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3453 del 2015, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Carlo Parente Zamparelli, Stefano Monti, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Carlo Parente Zamparelli in Roma, via Emilia, 81;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento del Ministero della Difesa, Direzione generale per il Personale Militare in data 16 ottobre 2014, notificato il successivo 20 ottobre 2014, con cui il ricorrente è escluso dal concorso per l’ammissione al 5° corso Allievi Ufficiali in ferma prefissata dell’Aeronautica Militare, per mancanza del requisito di cui all’art. 2, comma 1, lettera g, in uno con l’art. 16 del bando di concorso;

di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ai provvedimenti impugnati, ivi espressamente compreso il bando di concorso, indetto con decreto n. 110/13/lD, del 28.8.2013, per l’arruolamento di complessivi 30 allievi ufficiali in ferma prefissata dell’Aeronautica Militare, nella parte in cui, all’art. 2, comma 1, lettera g), prevede tra i requisiti di partecipazione non essere “imputati in procedimenti penali per delitti non colposi” ;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 maggio 2017 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il presente ricorso, originariamente avanzato innanzi al TAR Puglia, è stato, nei termini normativamente previsti, riassunto presso il Tar Lazio-Roma.

Il ricorrente ha partecipato e vinto il concorso per l’arruolamento di trenta ufficiali in ferma prefissata nell’Aeronautica Militare.

Al termine del corso di formazione lo stesso prestava giuramento ed era assegnato, dal 27 giugno 2014, all’aeroporto di Amendola.

Successivamente la p.a. ha comunicato all’attuale ricorrente di aver avviato un procedimento amministrativo volto all’esclusione, ora per allora, dal concorso per l’ammissione al 5° corso Allievi Ufficiali in ferma prefissata, per difetto dei requisiti di partecipazione.

In particolare la p.a. contestava al ricorrente lo status di imputato in un procedimento penale perché lo stesso è risultato rinviato a giudizio, con citazione diretta, già a far data dal 26 marzo 2009 e tale evenienza non era stata neppure indicata al momento della domanda.

Pertanto, alla luce di tale pregiudizio, il ricorrente risultava privo, ab origine, del requisito richiesto dall’art. 2, comma 1, lettera g, in uno con l’art. 16 del bando.

Lo stesso depositava le previste controdeduzioni, cui seguiva il provvedimento di esclusione dal concorso e dalla ferma.

Avverso tale negativa determinazione reagiva il ricorrente con ricorso giurisdizionale e contestuale istanza per l’adozione di misure cautelari.

In data 19 febbraio 2015 il Tribunale di Chieti assolveva il ricorrente dal reato ascritto per non aver commesso il fatto.

La decisione veniva, in prossimità dell’udienza camerale e con successiva memoria, partecipata al Tribunale.

Alla camera di consiglio del giorno 31 marzo 2015 il Collegio, con Ordinanza n. 1444/2015, respingeva la chiesta misura cautelare.

Il Consiglio di Stato, con Ordinanza cautelare n. 2296/15, respingeva l’appello avverso la citata Ordinanza, rinviando al merito ogni decisione circa la legittimità, anche costituzionale, dell’art. 635 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66.

Alla udienza pubblica del 31 marzo 2017, previa produzione documentale della resistente e di una memoria conclusionale della parte ricorrente, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Osserva il Collegio.

La questione sottoposta allo Scrutinio del Tribunale, invero, coinvolge una pluralità di questioni, anche di rilevanza costituzionale : dal principio di non colpevolezza, alla ragionevole durata del processo, della pari dignità sociale ed alla tutela del lavoro.

Il quesito che, in buona sostanza, emerge dai motivi di gravame è quello se la successiva e piena assoluzione del ricorrente in un procedimento penale possa assumere positiva valenza in un contesto concorsuale già definito ed in cui il predetto, a mente della legge speciale di concorso, espressione di una norma primaria, non avrebbe avuto titolo per partecipare alla selezione proprio in relazione al suo status di imputato.

L’attuale sistema processuale amministrativo, anche alla luce delle norme del codice di rito e, segnatamente, proprio dalla dizione dell’art. 1 cpa. vigente, vive un momento di trasformazione ontologica che, dal tradizionale giudizio sulla legittimità dell’atto, passa al giudizio sul rapporto.

Invero si tratta di un processo ancora in divenire, ma che ha assunto connotati ben definiti già in alcuni arresti giurisprudenziali adottati proprio per garantire al cittadino una tutela effettiva e conforme alla Carta ed alle norme del diritto europeo.

Ora, tale evenienza si è presentata proprio nelle situazioni analoghe a quella oggetto del presente scrutinio ove si sono confrontate diverse ed antitetiche posizioni giurisprudenziali che hanno portato, in alcuni casi, ad una minuziosa e certosina ricostruzione del dato fattuale proprio per risolvere, nel senso anzidetto, la questione processuale.

La Sezione ha, in più occasioni statuito che, la sentenza di assoluzione sopravvenuta, comporta il venir meno del difetto del requisito previsto per la partecipazione al concorso, qualora intervenga prima della conclusione della procedura concorsuale e, comunque, sino all’approvazione della graduatoria o comunque prima dell’adozione del provvedimento di esclusione dal concorso e/o di decadenza dalla graduatoria concorsuale e/o di decadenza dalla ferma , “atteso che appare irragionevole impedire ad un soggetto non più imputato al momento della definizione della procedura concorsuale l’immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito una volta superata positivamente la procedura selettiva propedeutica all’immissione in ruolo” (TAR Lazio, sez. I bis, n. 11864 del 26/11/2014 e n. 7760 del 21/07/2014; 770/2013; 4497/2011).

Con un orientamento ancora più sostanzialistico il Consiglio di Stato ha ritenuto che : “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso – come nella specie – sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa” ( Cons. St., Sez. IV, n.965/2015), insegnamento questo ripreso anche da questa Sezione : “Al riguardo, va richiamato l’opposto orientamento dell’ormai consolidata giurisprudenza in materia, che ritiene che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 635 non consenta di configurare alcun “automatismo espulsivo”, con efficacia vincolante per l’autorità procedente, la quale è tenuta a prendere in considerazione il complesso di circostanze intervenienti ed anche successive, in particolare l’assoluzione dell’interessato, ancorchè successiva al provvedimento impugnato (TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 9953/2016).

In tale prospettiva è stato sostenuto o che, anche una lettura costituzionalmente orientata all’art. 3, 27 e 97 Cost. delle disposizioni concorsuali, delle direttive ministeriali nonché della normativa regolatrice del concorso (id est, art. 4 della legge 23/8/2004, n. 226 ed art. 635 del c.o.m.), comporta che, nel caso in cui l’Amministrazione si è determinata con provvedimenti esclusivi, comunque successivi alla sentenza assolutoria del ricorrente, difettasse, in concreto, il presupposto di fatto e di diritto indicato nelle citate fonti per disporre, nei confronti del militare, ogni decadenza.

Di contrario avviso sono, invece, alcuni arresti del giudice di appello e di questa Sezione in cui la prevalenza del principio della par condicio competitorum comporta che i previsti requisiti di partecipazione al concorso devono sussistere al momento della presentazione domanda, e vanno perciò verificati anche successivamente alla definizione del concorso, così che la successiva assoluzione dalla contestazione penale costituisce une mero dato fattuale irrilevante ai fini della rimeditazione della esclusione e valutabile solo ai fini di una eventuale autotutela discrezionale per una successiva ammissione del candidato ai successivi concorsi (TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).

Ciò detto, ritiene il Collegio che la questione in esame vada rimeditata alla luce delle previsioni costituzionali, ma non nel senso proposto dalle decisioni sopra riportate che, in definitiva, hanno comportato una interpretatio abrogans dell’art. 635 e 638 del D.L. cit., ma operando una interpretazione coerente e penetrante del dettato normativo nel suo contesto sistematico.

L’art. 635, co. 1, lett. g) del d.lvo n. 66/2010 – così come riprodotto nell’art. 2, comma 1, lettera g, in uno con l’art. 16 della lex specialis, prevede, tra i requisiti generali per il reclutamento nelle Forze Armate, anche quello di “non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi”.

L’art. 638 del d.lvo n. 66/2010 recepisce un principio generale in materia di concorsi pubblici che prevede, nell’ipotesi di mancanza dei requisiti successivamente accertata, la decadenza di diritto.

Ora, il concetto di imputato è mutuato dalla previsione di cui all’art. 60 del c.p.p. che è rubricato, proprio : “ assunzione della qualità di imputato” ed il cui articolato prevede sei ipotesi in cui tale status si acquista.

In realtà la finalità e la funzione dell’istituto nel contesto processual penalistico ha una propria logica e puntuali scopi che non possono essere, per le ragioni che di seguito si esporranno, trasferiti sic et simpliciter nel contesto amministrativo.

La connotazione prevalente e prioritaria dell’istituto in ambito penale non è solo quella morfologica e/o formalistica, ma assume un peculiare significato in termini di garanzia e di salvaguardia dei diritti della persona.

Infatti, è lo stesso art. 61 del codice di rito che, estendendo tali garanzie e diritti all’indagato, implicitamente riconosce la esistenza di tali posizioni giuridiche in capo all’imputato.

In altri termini allo status di imputato inferiscono peculiari e significative tutele inderogabili e non comprimibili.

Trasferire nel contesto amministrativo l’istituto in questione in forza del solo aspetto nominalistico, costituisce, a parere del Collegio, una forzatura sistematica.

I diversi interessi, anche di natura costituzionale, coinvolti nella vicenda amministrativa impongono, proprio per una lettura della norma teleologicamente orientata, adeguati adattamenti ermeneutici funzionali alla ratio della norma che è quella di impedire l’ingresso nella compagine militare di aspiranti i cui precedenti comportamenti sono connotati da sicuro disvalore sociale (condanna penale), ovvero da probabile valenza penalistica ( imputati).

Ora, la disamina dell’art. 635 cit. evidenzia che il legislatore, consapevole dei delicati interessi in gioco, non si è accontentato della mera iscrizione del fatto reato nel registro di cui all’art. 335 cpp, ma ha richiesto l’esistenza di fatti di rilevanza penale aventi una obiettiva consistenza debitamente documentata.

La evenienza paradigmatica e di sicura portata escludente è la condanna penale, proprio perché il giudizio è un actus trium personarum, in cui la imputazione, nei termini formulata dal pubblico ministero, è vagliata e ponderata da un soggetto terzo.

Ora, anche lo status di imputato quale condizione escludente, deve, nel contesto amministrativo, seguire tale prospettiva.

La disamina delle sei ipotesi indicate dall’art. 60 c.p.p., consente di formulare alcune essenziali osservazioni proprio in relazione al modello di processo penale sopra riportato.

Infatti, ad eccezione della prima e della quarta ipotesi, le altre prevedono l’acquisizione dello status di imputato senza la intermediazione ed il vaglio del fatto asseritamente reato da parte del giudice.

In realtà, anche la prima e la quarta ipotesi, invero, risentono della precipua funzione di garanzia dell’istituto perché anticipano l’acquisto dello status di imputato ad una fase antecedente allo scrutinio del giudice.

In particolare nella prima ipotesi ( assume la qualità di imputato … la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio…), la successiva valutazione del giudice può condurre anche alla dichiarazione di non luogo a procedere ( art.425 c.p.p.), così che l’originaria qualifica di imputato si estingue prima e fuori dal processo.

Lo stesso dicasi anche nella ipotesi di applicazione della pena a norma dell’art. 447.

In tal caso il dissenso del giudice comporta la caduta dell’imputazione, così che gli atti tornano al requirente ed il soggetto riacquista lo status di indagato, impregiudicato ogni successivo esito del procedimento.

Allora, l’interpretazione corretta e sistematica dell’istituto in questione come trasportato nel contesto amministrativo, non può prescindere dalla disamina del fatto asseritamente reato ad opera di un soggetto terzo che preliminarmente valuti le prove al riguardo raccolte come idonee a sostenere l’accusa ( art. 425 c.p.p.).

Quindi il concetto di imputazione utilizzabile in ambito amministrativo è necessariamente diverso, o meglio, ridotto rispetto a quello penale, proprio perché in tale ambito risultano significativi i principi costituzionali sopra ricordati che possono essere compressi, nel necessario bilanciamento dei contrapposti interessi, solo quando il fatto contestato ed oggetto di scrutinio penale, è stato preventivamente valutato da un giudice terzo che ha ritenuto sussistente il fumus del commissi delicti da parte del candidato.

Allora la previsione normativa di cui all’art. 635 D.L. cit. risulta, nei termini ermeneutici sopra ricordati, da un lato coerente con il sistema, dall’altro, però, non tiene in debito conto delle evenienze cautelari disposte dall’A.G., ovvero da questa validate in caso di arresto in flagranza o fermo di p.g., proprio perché tali evenienze non comportano, a differenza dell’art. 78 del codice di procedura penale del 1930, l’assunzione della qualità di imputato, malgrado il fatto reato sia stato, sia pure interinalmente, scrutinato da un giudice terzo.

Quindi, a prescindere dalla rilevata lacuna sistematica, che in mancanza di una puntuale previsione normativa non può assumere alcuna valenza giuridica per la esclusione di un candidato, l’asserita mancanza dei prescritti requisiti e, segnatamente quello di essere imputato, può intervenire solo quando l’imputazione è conseguente allo scrutinio del fatto da parte di un giudice terzo.

Pertanto, nel caso di specie, il ricorrente risulta imputato a seguito di Decreto di citazione diretta a giudizio ( art. 550 c.p.p.) da parte del pubblico ministero.

Si tratta, cioè, di una ipotesi accusatoria soggetta al solo vaglio dell’ufficio inquirente senza alcuna mediazione del giudice, il quale interloquisce nella sola fase dibattimentale.

Sul punto un’ultima considerazione.

Il codice di rito del 1989 ha sensibilmente ed incisivamente modificato la tradizione struttura inquisitoria del processo penale trasformandolo in una articolazione accusatoria : un processo di parti contrapposte ed equiordinate.

L’Ufficio del pubblico ministero è, nell’attuale sistema, uno dei soggetti del processo e, contestualmente, una parte dello stesso, cui sono assegnati significativi e singolari poteri finalizzati a sostenere l’accusa in giudizio.

Inoltre, la struttura gerarchica ( attenuata) dell’Ufficio mal si concilia , pertanto, con la funzione di valutazione dei fatti secondo parametri di terzietà.

E’ significativo che sinanche la posizione dei rispettivi banchi ( accusa e difesa) ha subito, nella scenografia dell’aula di udienza, una metamorfosi imponendo soluzioni simmetriche ( art. 146 disp. Att.).

Allora, il concetto di imputato, cui consegue la esclusione del candidato, richiede una più attenta valutazione e deve essere attestato solo quando sul fatto è intervenuto il giudizio di un giudice terzo.

Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere accolto ed annullato l’atto escludente in questa sede contestato e meglio in epigrafe indicato.

La peculiarità della vicenda convince il Collegio a compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto escludente in questa sede contestato e meglio in epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.