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Esclusione automatica concorso Guardia di Finanza per guida in stato di ebbrezza

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 8895 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Monti e Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Emilia, n. 81,

contro

il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

nei confronti

dei signori -OMISSIS-non costituiti in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Quarta, -OMISSIS- resa tra le parti, concernente l’esclusione dal concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 1.409 allievi finanzieri per l’anno 2021.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 aprile 2023, in vista della quale la difesa dell’appellante ha chiesto il passaggio in decisione senza previa discussione orale, il Cons. Antonella Manzione.

I. Fatto e svolgimento del processo di primo grado.

1.Con il ricorso in epigrafe il signor -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del T.a.r. per il Lazio, Roma, sez. IV, del -OMISSIS- che ne ha respinto il ricorso avverso la determinazione del 7 marzo 2022 con cui il Capo del Primo Reparto del Comando Generale della Guardia di finanza lo ha escluso dalla procedura concorsuale, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 1409 allievi finanzieri riferita all’anno 2021, perché ritenuto non in possesso dei requisiti di moralità e di condotta previsti dall’art. 2, comma 1, lett. g), del relativo bando di concorso.

In punto di fatto ha dedotto:

– di essersi arruolato il 18 maggio 2017 quale volontario in ferma prefissata dell’Esercito italiano e di essere rimasto ininterrottamente in servizio fino al 9 marzo 2019, conseguendo sempre valutazioni caratteristiche “eccellenti”;

– di essere stato eletto consigliere comunale in una lista civica presso il Comune di -OMISSIS- con conseguente verifica dei previsti requisiti anche morali di candidabilità ed eleggibilità;

– di aver partecipato al concorso per l’arruolamento di 1.409 allievi finanzieri indetto con determinazione n. 245928 del 3 settembre 2021, pubblicata sulla G.U., 4^ serie speciale, n. 72 del 10 settembre 2021, per i posti riservati ai volontari in ferma prefissata – contingente ordinario, senza specializzazione, superando tutte le selezioni e venendo sempre giudicato idoneo;

-di essere infine stato escluso dalla selezione poiché ritenuto carente dei «requisiti di moralità e di condotta previsti dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del bando di concorso», essendo stato emesso nei suoi confronti un decreto penale del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS- divenuto esecutivo il 28 maggio 2015, per il reato di cui agli artt. 186 bis, comma 1, lett. a) e comma 3 in relazione all’art. 186, comma 2, lett. b) e comma 2 sexies («Guida sotto l’influenza dell’alcool per conducenti di età inferiore a ventuno anni, per i neopatentati e per chi esercita professionalmente l’attività di trasporto di persona o di cose») del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (“Nuovo codice della Strada”), commesso in Tortoli (NU) il 29 giugno 2014.

1.2. Ha documentato altresì l’avvenuta dichiarazione dell’estinzione del reato da parte del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 186, comma 9 bis, del richiamato Codice della Strada, all’esito della positiva valutazione del lavoro di pubblica utilità svolto presso la Cooperativa sociale -OMISSIS-dall’8 giugno 2015 al 18 giugno 2015.

1.3. A fondamento del ricorso ha dedotto, con unico e articolato motivo, la violazione della legge 29 ottobre 1984, n. 732 e dell’art. 26 della legge 1 febbraio 1989, n. 53, nonché l’eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione. Ha chiesto altresì una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 6, lettera i), del d.lgs. 12 maggio 1995, n.199, nella parte introdotta dall’art. 33, comma 1, lettera c), punto 1.6, del d.lgs. 29 maggio 2017, n. 95, in relazione agli artt. 1, 3, 4, 27, 35 e 97 della Costituzione, tale cioè da imporre la valutazione in concreto del disvalore sotteso alla condotta ascrittagli, superando qualsivoglia ipotesi di automatismo esclusivo.

2. Il primo giudice ha rigettato il ricorso da un lato richiamando l’ampia discrezionalità della valutazione dell’Amministrazione in ordine al requisito della “incensurabilità” della condotta; dall’altro, tuttavia, sottolineando come nel caso di specie è il legislatore ad avere tipizzato a monte le fattispecie ostative al reclutamento, evidentemente ravvisando nelle stesse un tale disvalore da renderle sempre incompatibili con il tipo di rapporto di pubblico impiego che si vorrebbe instaurare. Ha infine ricordato che la previsione trasfusa nell’art. 2, comma 1, lett. g) del bando di concorso era perfettamente nota al ricorrente, come sostanziato dall’obbligo di dichiarane la conoscenza imposto dall’art. 4 dello stesso. Ridetto bando a sua volta avrebbe solo doverosamente stabilito, «con perfetta corrispondenza alla disposizione sopra citatache “il Corpo della guardia di finanza accerta, d’ufficio, l’irreprensibilità del comportamento del candidato in rapporto alle funzioni proprie del grado da rivestire” e che sono “causa di esclusione dall’arruolamento anche l’esito positivo agli accertamenti diagnostici”, oltre che, come è appunto accaduto al sig. -OMISSIS- “la guida in stato di ebbrezza costituente reato”».

II. Il giudizio di appello.

3. Con il presente appello il signor -OMISSIS- ha formulato in chiave critica le medesime censure già avanzate in primo grado, precisando meglio i profili di ritenuto contrasto della normativa in contestazione con specifici principi costituzionali, e pertanto insistendo per la sua rimessione alla Corte costituzionale. Pur non disconoscendo affatto la specialità degli ordinamenti delle forze armate e di polizia, ha ricordato come la stessa non possa estendersi fino al punto di limitare per i relativi appartenenti l’esercizio dei diritti spettanti a qualsivoglia cittadino (v. Corte Costituzionale n. 120 del 13 giugno 2018, che ha abrogato l’art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare, che vietava per gli appartenenti ai predetti Corpi l’attività sindacale). Ha quindi ripercorso l’evoluzione della disciplina dei limiti di accesso al pubblico impiego, a partire dall’avvenuto superamento del requisito della buona condotta con la legge n. 732 del 1984, richiamando i principi espressi in relazione al suo originario mantenimento nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza al fine dell’esercizio dell’attività di guardia particolare giurata dalla Corte costituzionale nella sentenza del 25 luglio 1996, n. 311, che ne ha stigmatizzato in specie il «carattere indefinito» e la «conseguente larghezza di apprezzamento discrezionale che ne deriva in capo all’amministrazione». Ha individuato una sorta di “fil rouge” tra ulteriori pronunce della Corte costituzionale che a vario titolo hanno espresso contrarietà a qualsivoglia automatismo sanzionatorio destinato ad incidere sulla prosecuzione del rapporto di lavoro, e ciò a far data dalla sentenza del 14 ottobre 1988, n. 971, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 85, lett. a), del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Statuto degli impiegati civili dello Stato, nella parte in cui prevedeva la automatica destituzione del pubblico dipendente all’esito di condanna penale per taluni reati, fino a quella che ha di recente cassato le disposizioni del Codice dell’ordinamento militare che prevedevano la perdita del grado per rimozione, senza giudizio disciplinare, in caso di avvenuta irrogazione della pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici (Corte cost., 19 ottobre-15 dicembre 2016, n. 268). «Una presunzione assoluta (nella specie di incompatibilità con il rapporto di servizio) deve poi essere rispettosa dei canoni esplicitati dalla Corte in proposito. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, “le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”, con la conseguenza che “l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa” (ex multis, sentenze n. 185 del 2015, n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010)». Affermazioni tutte che si attaglierebbero perfettamente anche alla diversa ipotesi in cui venga all’evidenza la mancata instaurazione del rapporto di lavoro, anziché la sua cessazione, come pure riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 agosto 2011, n. 4812).

4. L’art. 6, lettera i), del d.lgs. n. 199 del 1995, nella parte evidenziata si porrebbe dunque in contrasto:

– con l’art.3, sotto vari profili. In primo luogo, rileverebbe la disparità di trattamento che la scelta di requisiti più stringenti per la sola Guardia di finanza pone sia in generale in relazione agli altri dipendenti pubblici, che con specifico riferimento agli appartenenti ad altre Forze di Polizia, e segnatamente all’Arma dei carabinieri. La tipologia di pena sostitutiva accettata, ovvero il lavoro di pubblica utilità, rendendo la condanna inappellabile e inestinguibile, creerebbe a sua volta un regime discriminatorio rispetto a colui che, pur avendo commesso reati ben più gravi, abbia ottenuto la riabilitazione;

– con l’art. 24, secondo comma, Cost., in quanto l’automatismo della esclusione dal concorso impedisce all’interessato qualsiasi difesa in merito, oltre che palesarsi comunque irragionevole alla luce di quanto già affermato dalla Corte con riferimento all’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici;

– con gli artt. 1, 4 e 35 Cost., in quanto la condizione ostativa assoluta crea uno sbarramento all’accesso al lavoro, quand’anche venga ascritto al candidato un episodio marginale, isolato e risalente nel tempo;

– con l’art. 27 Cost., in quanto essa ostacola altresì il reinserimento del cittadino nel mondo del lavoro, compito che non può essere rimesso esclusivamente ai datori di lavoro privati, ma del quale deve farsi carico anche lo Stato, consentendo l’accesso alle pubbliche amministrazioni di coloro che, seppure incorsi in violazioni delle regole dell’ordinamento, meritino una positiva valutazione, tenendo conto del tipo di reato commesso, della inclinazione a delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni correlate alla qualifica da ricoprire;

-con l’art. 97 Cost., in quanto il medesimo automatismo pregiudica pure il buon andamento della pubblica amministrazione, impedendole ogni valutazione sulla convenienza dell’assunzione in servizio e, quindi, sulla possibilità di utilizzazione di valide risorse professionali, già selezionate e idonee, per giunta provenienti da un’altra forza armata, dove prestavano servizio, seppure a tempo determinato.

4.1. Quanto alla immediata lesività del bando di concorso, pure impugnato al T.a.r. in uno con l’atto di esclusione, il mero riferimento alla «guida in stato di ebbrezza costituente reato» in esso contenuta, mutuato dalla norma primaria, in assenza di ulteriori precisazioni, non lasciava affatto presagire la ritenuta inutilità della speciale causa di estinzione del reato di cui all’art. 186, comma 9 bis, del Codice della Strada, che l’appellante si era premurato di ottenere.

5. Si è costituito in giudizio il Ministero delle finanze per chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di prime cure. Con tre successive memorie in controdeduzione ha ribadito la correttezza della scelta dell’Amministrazione, che a fronte della chiara indicazione del legislatore non solo non poteva, ma addirittura non doveva compiere valutazioni aggiuntive riferibili al reato ascritto al ricorrente. La sua avvenuta tipizzazione a monte, nella disciplina del reclutamento dei finanzieri, si inserirebbe del resto nel solco delle scelte che da un lato hanno elevato la soglia di perseguibilità penale della fattispecie (v. art. 33 della legge 29 luglio 2010, n. 120, che ha decriminalizzato l’ipotesi di cui al comma 2, lettera a), della norma, riferita ad un tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 grammi per litro), ma dall’altro hanno accentuato il rigorismo sanzionatorio delle possibili conseguenze di ridette condotte (si pensi all’avvenuta introduzione nel codice penale, ad opera della legge 23 marzo 2016, n. 41, dei reati di omicidio stradale -art. 589 bis– e lesioni personali stradali gravi o gravissime -art. 590 bis, che individuano, quale elemento di colpa specifica, tra le altre violazioni stradali anche l’essersi messi alla guida in stato di ebbrezza alcolica costituente reato). Come affermato dalla giurisprudenza ormai maggioritaria in materia (da ultimo, v. Cons. Stato, 17 gennaio 2023, n. 609) anche un singolo episodio, pur risalente nel tempo, può essere ostativo al reclutamento, avuto riguardo alla peculiarità del ruolo del finanziere, e alla evidente prognosi di inaffidabilità che conseguirebbe alla commissione di tale specifica contravvenzione stradale, giusta la sua codificata gravità.

6. La domanda cautelare, presentata da parte appellante ai fini dell’ottenimento della sospensione dell’esecutività della sentenza gravata, è stata accolta dalla Sezione con ordinanza n.-OMISSIS- ai soli fini di cui all’art. 55, comma 10, c.p.a.

7. La stessa ha quindi depositato istanza di passaggio in decisione senza discussione della causa.

8. Alla pubblica udienza del 4 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

III. Sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale.

9. Ai fini della disamina della rilevanza della questione di costituzionalità posta, va delibato in limine litis il profilo di inammissibilità del ricorso di primo grado adombrato dal T.a.r. e ripreso dalla difesa erariale, seppure senza formulare alcuna esplicita eccezione, in ragione della mancata impugnativa del bando di concorso, che conteneva la chiara indicazione della portata escludente della guida in stato di ebbrezza costituente reato.

9.1. Come rappresentato dall’appellante, la capacità lesiva delle disposizioni in esso contenute si è palesata solo al momento dell’esclusione dalla procedura sull’assunta irrilevanza della dichiarazione di avvenuta estinzione del reato, in quanto quest’ultima «non cancella il fatto criminoso; non elide il pregiudizio derivante dall’accertamento della condotta del soggetto aspirante al reclutamento, potendo l’Amministrazione valutare lo stesso fatto per l’accertamento del requisito della condotta incensurabile; non deve essere necessariamente valutata in termini positivi nell’ambito del bilanciamento che interessa, considerata la sua inidoneità a cancellare comunque il fatto materiale di cui trattasi» (così testualmente nell’atto impugnato).

Al contrario, proprio la specialità dell’istituto richiamato per come disciplinato dall’art. 186, comma 9 bis, del Codice della Starda, ben poteva indurre l’interessato a non sentirsi “toccato” dalla disposizione, sì da non preoccuparsi di dichiarare la previa conoscenza delle condizioni statuite dal bando ex art. 4 dello stesso, pur omettendo, per quanto consta in atti, di fare riferimento al decreto penale del Tribunale di -OMISSIS- evidentemente ritenendolo “superato” dalle sopravvenienze processuali, senza che ridetta omissione informativa gli sia stata in qualche modo contestata.

Ciò comporta l’insussistenza della (pur adombrata) causa di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.

9.2. Il giudice di prime cure ha respinto il ricorso sul rilievo che il quadro normativo vigente rendeva necessitata la scelta dell’Amministrazione, avendo già qualificato come incompatibile con lo status di finanziere l’avvenuta condanna per guida in stato di ebbrezza, che seppure aggravata dalla sua giovane età (da qui, il richiamo nel capo di imputazione all’art. 186 bis del Codice) e dall’avvenuta commissione in orario considerato notturno (ovvero dopo le 22) non ha attinto la fascia sanzionatoria più grave (lett. c) della norma) e non ha causato alcun sinistro stradale, essendo stata accertata nell’ambito di normali controlli di polizia stradale.

9.3. Osserva sul punto il Collegio che effettivamente l’art. 6 del d.lgs. n. 199 del 1995, per come modificato dal d. lgs 29 maggio 2017, n. 95, non lasciava all’Amministrazione operante alcun margine di discrezionalità, sicché il riferimento alla inconciliabilità con i basilari doveri del militare, richiamandone anche i poteri di polizia giudiziaria, economico-finanziaria e di pubblica sicurezza ne costituisce lo stereotipo precipitato motivazionale, a giustificazione formale di una scelta doverosa.

9.4. Sotto tale profilo, dunque, l’atto è esente da qualsivoglia ulteriore censura, il che ne rende rilevante lo scrutinio esclusivamente alla luce della disposizione della cui legittimità parte appellante dubita.

Infatti, solo la disposizione applicata al caso in esame ha determinato l’esclusione dal reclutamento dell’appellante, precludendo qualsivoglia diversa valutazione in ordine alla effettiva portata lesiva in termini prognostici del necessario rapporto fiduciario che prelude ad un proficuo rapporto di servizio. Ridetta valutazione, cioè, è già stata effettuata a monte dal legislatore e il provvedimento impugnato si limita a fornire alla stessa una giustificazione, definendo la «guida in stato di ebbrezza costituente reato», pur commessa anni prima dal candidato, come «inconciliabile» con il reclutamento, oltre che «esplicita causa di esclusione».

9.5. L’eventuale accoglimento della questione di costituzionalità, invece, determinando l’eliminazione della norma dall’ordinamento con effetto ex tunc, farebbe venir meno la causa ostativa al reclutamento nella Guardia di finanza, derubricandola a fattispecie valutabile, alla stregua di qualsivoglia altro episodio idoneo ad impingere l’ “incensurabilità” della condotta del candidato, senza prescindere, peraltro, dalla più volte ricordata avvenuta estinzione del reato sulla base di un paradigma normativo declinato ad hoc (sul quale più avanti nel prosieguo).

IV. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.lgs. n. 199 del 1995.

10. Tanto premesso, va innanzi tutto esaminata la possibilità di una lettura costituzionalmente orientata della norma di legge statale, tale da far venir meno il dovere di rimessione della questione alla Corte costituzionale.

10.1. Ad avviso del Collegio, ad essa si oppone il chiaro tenore letterale della norma, che a tal punto ha inteso dare rilievo alla fattispecie, da averne richiamato sic et simpliciter la rubrica (“guida in stato di ebbrezza”, seppure connotandola con riferimento alle ipotesi costituenti reato), con ciò rischiando di elevare a condizione ostativa finanche il mero accertamento della stessa, giusta l’omesso riferimento all’avvenuta condanna ovvero all’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p.

Essa, cioè, è ineludibilmente indicata come condizione ostativa al reclutamento, in pretermissione dei criteri di razionalità e proporzionalità che costituiscono un limite all’esercizio della discrezionalità del legislatore.

11. Il primo giudice ha giustificato la previsione dell’art. 6, comma 1, lett. i), del d.lgs. 199/1995 quale «espressione di discrezionalità legislativa, cioè dell’esercizio di una potestà che – come ha teorizzato la dottrina pubblicistica – è da considerare libera e incondizionata, cosicché quando un atto legislativo risulti costituzionalmente vincolato al perseguimento di determinate finalità pubbliche (nella specie un’efficace selezione dei finanzieri), la discrezionalità legislativa esprimerà un limite funzionale di natura prevalentemente interna alla produzione normativa». Con ciò avendo presumibilmente a mente le peculiarità degli ordinamenti militari rispetto a quelli civili, tali da legittimare un maggior vaglio qualitativo all’accesso, ma senza fornire alcuna plausibile motivazione della maggior selettività di quello preteso per i finanzieri rispetto alle altre forze di polizia, anche di carattere militare.

11.1. In relazione a tale profilo, in conformità con l’obbligo di interpretazione costituzionalmente conforme quale vaglio preliminare indispensabile per la non manifesta infondatezza di ogni questione di legittimità costituzionale, il Collegio ha esaminato la possibilità di ravvisare la ratio della disparità di trattamento nella tipologia diversificata delle funzioni degli appartenenti ai vari ruoli di polizia.

11.2. Va al riguardo ricordato che il richiamato d.lgs. n. 95 del 2017, in attuazione della delega contenuta all’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha dettato disposizioni riferibili ai ruoli di tutte le forze di polizia. Esso, dunque, ha stralciato dal d.lgs. n. 66 del 2010, abrogandole, le specifiche norme corrispondenti afferenti, in particolare, all’accesso agli stessi. Allo stesso modo, con finalità anche di riassetto organico della materia, ha interpolato le singole disposizioni di settore adeguandole alle indicazioni del legislatore delegante.

11.2.1. Tra i principi e criteri direttivi cui il legislatore delegato doveva attenersi nel dare attuazione al sopra richiamato art. 8 della l. n. 124 del 2015, si rinvengono i seguenti: «razionalizzazione e potenziamento dell’efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali […] modificazioni agli ordinamenti del personale delle Forze di polizia di cui all’articolo 16 della legge 1º aprile 1981, n. 121, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo, anche attraverso: 1) la revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera, tenendo conto del merito e delle professionalità, nell’ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l’eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche, comprese quelle complessive di ciascuna Forza di polizia, in ragione delle esigenze di funzionalità e della consistenza effettiva alla data di entrata in vigore della presente legge, ferme restando le facoltà assunzionali previste alla medesima data, nonché assicurando il mantenimento della sostanziale equiordinazione del personale delle Forze di polizia e dei connessi trattamenti economici, anche in relazione alle occorrenti disposizioni transitorie, fermi restando le peculiarità ordinamentali e funzionali del personale di ciascuna Forza di polizia, nonché i contenuti e i princìpi di cui all’articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, e tenuto conto dei criteri di delega della presente legge, in quanto compatibili».

11.2.2. Il richiamo alle peculiarità ordinamentali e funzionali di ciascuna Forza di polizia può ben spiegare la diversificazione di talune scelte, come ad esempio avvenuto in relazione al limite di età (sul punto, v. Cons. Stato, sez. II, 30 gennaio 2023, n. 1030). Ma non fornisce adeguata giustificazione all’introduzione, solo per il reclutamento nella Guardia di finanza, della guida in stato di ebbrezza costituente reato quale situazione impediente l’assunzione.

V. Sul possibile contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione.

12. La modifica apportata dall’art. 33, comma 1, lett. c), punto 1.6 del d.lgs. n. 95 del 2017 ha introdotto dunque nell’art.6, lett. i), del d.lgs. n. 199 del 1995, esclusivamente per il reclutamento nella Guardia di finanza, specifiche cause ostative, tra le quali, oltre a quelle inerenti l’uso o la detenzione di stupefacenti, il reato di guida in stato di ebbrezza.

La formulazione originaria della norma rinviava assai più laconicamente all’art. 26 della l. 1 febbraio 1989, n. 53, che avrebbe comunque trovato applicazione, giusta la sua dichiarata riferibilità agli appartenenti a tutte le Forze di polizia indicate all’articolo 16 della legge 1 aprile 1981, n. 121 (tra le quali rientra, ovviamente, la Guardia di finanza). Tale ultima disposizione richiama a sua volta il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, ovvero il requisito cosiddetto della “incensurabilità”, di cui all’art. 2, lett. b bis) del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, che ha abrogato la previgente previsione contenuta nell’art. 8 dell’Ordinamento giudiziario. Trattasi, evidentemente, di una formula ampia che, seppure aliena dalle suggestioni, anche moralistiche e ideologiche, della “buona condotta” di un tempo, ben si giustifica in relazione alla delicatezza e significatività sociale del ruolo che si aspira a ricoprire, in riferimento al quale possono assumere rilievo, previa adeguata valutazione e motivazione, singoli episodi sintomatici di ambiguità comportamentali o relazionali, pur al di fuori della sfera del vero e proprio fatto-reato. La loro esemplificazione preventiva, però, nella misura in cui pretende di assurgere a parametro insormontabile e non mero elemento di giudizio, quale presunzione assoluta di inidoneità al ruolo di finanziere, sfugge ai canoni di ragionevolezza cui la loro previsione deve ispirarsi «specie quando limitano un diritto fondamentale della persona» (Corte cost., n. 268 del 2016, cit. sub § 2).

13. La sentenza di primo grado appare peraltro intrinsecamente contraddittoria laddove richiama anche l’insindacabilità ab externo dell’ampia discrezionalità valutativa dell’Amministrazione che si sia motivatamente pronunciata sulla “censurabilità” della condotta seppure concretizzatasi in un episodio isolato e risalente nel tempo. Nel caso di specie, infatti, alla stessa non è concesso alcun margine di discrezionalità, dovendosi essa limitare semplicemente a prendere atto dell’esistenza del fatto-reato, quale che ne sia stata, peraltro, la modalità di accertamento, giusta la già ricordata infelice formulazione della norma anche a tale proposito.

14. In verità, la giurisprudenza richiamata sul punto dal T.a.r. e ripresa dalla difesa erariale, come già consolidatasi prima della novella del 2017, si riferisce esclusivamente ai fenomeni di consumo episodico di sostanze stupefacenti, che per sua natura collide con gli specifici compiti di contrasto allo stesso ed al loro spaccio demandati alla Guardia di finanza, rendendone non illogica la valutazione ostativa, seppure in passato “soppesata” caso per caso. Dopo la modifica all’art. 6, lett. i), d.lgs 199/1995, si è pertanto ritenuto che quel rigoroso accertamento preteso dall’Amministrazione sia stato codificato a monte dal legislatore parametrandolo proprio alla tipologia dei compiti della Guardia di finanza, sì da considerarlo ragionevolmente inconciliabile con l’habitus comportamentale che deve contraddistinguere gli appartenenti al Corpo, anche a prescindere dalla mancanza di conseguenze penali o amministrative e dal fatto che si sia trattato di un episodio isolato. Decisivo rilievo viene cioè attribuito alla circostanza che l’utilizzo di sostanze stupefacenti comporta necessariamente un previo contatto col mondo della criminalità, che dello spaccio di queste sostanze si alimenta, e dunque una contiguità, non importa se solo occasionale, proprio con quei soggetti e con quegli ambienti la cui attività delittuosa la Guardia di finanza ha il compito specifico di contrastare e reprimere (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 17 gennaio 2023, n. 609; id, 10 febbraio 2022 n. 980; 5 aprile 2022, n. 2540; 4 marzo 2021, n. 1848; 12 ottobre 2021 n. 6862; 11 ottobre 2021, n. 6791).

14.1. Si è in sostanza ritenuto che ridetto (già) prevalente orientamento giurisprudenziale in ordine alla natura escludente dell’episodio di detenzione o uso, anche se risalente o occasionale, è stato semplicemente recepito sul piano del diritto positivo, purché ovviamente lo stesso venga rigorosamente accertato in capo all’interessato e non dedotto in via meramente presuntiva o indiziaria, poiché solo nel primo caso è possibile affermare con certezza che il candidato difetta dei requisiti di moralità richiesti per appartenere al Corpo a cui aspira.

15. Non si vede tuttavia come analoghe considerazioni possano essere estese all’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza.

16. Va infatti ricordato che i servizi di polizia stradale, tra i quali figurano in primo luogo la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, competono «in via principale alla specialità Polizia Stradale della Polizia di Stato» (art. 12, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 285 del 1992), ferma restando evidentemente la possibilità che essi vengano svolti anche dal rimanente personale della stessa (lett. b), da quello dell’Arma dei carabinieri (lett. c), dai Corpi e servizi di polizia municipale, nell’ambito del territorio di competenza (lett. e), dai funzionari del Ministero dell’interno a ciò addetti (lettera f), oltre che, ovviamente, dal Corpo della Guardia di finanza (lettera d).

17. Né appare convincente la lettura che della novella all’art. 6 del d.lgs. n. 199/1995 pretenderebbe di dare la difesa erariale, laddove la indica quale punto di approdo del climax ascendente in termini punitivi messo in atto dal legislatore al fine di arginare la drammatica problematica delle morti stradali, soprattutto riferite alle giovani generazioni, ovvero delle conseguenze invalidanti della diffusa sinistrosità stradale, che finisce per impattare negativamente anche sulla finanza pubblica, in termini di aggravio delle spese del servizio sanitario nazionale, come dimostrato dalle statistiche periodicamente divulgate dagli organismi competenti.

Ove, infatti, si fosse voluta imporre una scelta di rigore, anche in funzione preventivo-educativa, avuto riguardo al reclutamento in strutture che saranno comunque chiamate a perseguire tali tipologie di condotte, ciò avrebbe dovuto avvenire in maniera omogenea per tutti i soggetti accertatori, ovvero, volendo operare una scelta distintiva, con priorità per quelli istituzionalmente preposti in maniera esclusiva a ridetta vigilanza sulle strade. Il che, invece, non è.

Quanto previsto, dunque, anche alla luce della sua parzialità ed irragionevolezza, finisce con l’incidere sul principio di eguaglianza, di cui all’art. 3, co. 1, Cost., nonché sul principio di accesso ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza, di cui all’art. 51, co. 1, Cost.

VI. Sul possibile contrasto con l’art. 27, comma 3, della Costituzione.

18. D’altro canto, senza ovviamente impingere nelle scelte di politica criminale in materia di circolazione stradale, la innegabile pericolosità sociale in astratto del reato di guida in stato di ebbrezza non ne esclude addirittura la possibile non punibilità avuto riguardo alla ritenuta particolare tenuità del fatto.

19. Sono noti, infatti, gli ormai acquisiti arresti dei giudici di legittimità in ordine all’applicabilità anche ai casi di specie della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis del codice penale, ivi inserita dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.

Le Sezioni unite della cassazione, cioè, superando le originarie incertezze in merito, hanno già da anni ritenuto non ostativa alla configurabilità, in presenza dei presupposti e nei limiti fissati dalla norma, della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui al richiamato art. 131 bis c.p., della presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica, rapportate ai valori dei tassi alcolemici accertati (Cass., SS.UU., 25 febbraio 2016, n. 13681). Tali soglie, infatti, non impediscono di valutare in concreto la portata offensiva della condotta, avuto riguardo alle circostanze di tempo e di luogo in cui è stata posta in essere, all’entità del tasso alcolemico parametrato alle stesse, alle conseguenze sulla guida, all’entità del pericolo provocato agli utenti della strada, agli eventuali sinistri, con o senza coinvolgimento di persone, che ne siano conseguiti (v. Cass., sez. IV penale, 29 marzo 2021, n. 11655, che ne ha riconosciuto l’applicabilità in un caso per il quale l’accertamento mediante etilometro dava esiti riconducibili per entrambe le prove alla fattispecie di reato più grave di cui all’art. 186, lett. c); nonché id., n. 11699, che è addivenuta alla decisione di segno diametralmente opposto, pur in presenza di un’ipotesi astrattamente meno grave). L’applicazione della causa di non punibilità, peraltro, che prevede comunque che il giudice proceda ad un accertamento sulla commissione del fatto nonché sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, egualmente non farebbe venire meno la portata ostativa della fattispecie, secondo le chiare indicazioni della norma.

20. Occorre a questo punto ricordare la specificità del regime sanzionatorio declinato dal Codice della Strada per il reato di guida in stato di ebbrezza.

20.1. La legge n. 120 del 2010, ricordata dalla difesa erariale avuto riguardo alla decriminalizzazione dell’ipotesi più lieve di superamento del tasso alcolemico, ha infatti anche introdotto nell’art. 186 il comma 9 bis, che prevede la sostituzione delle pene detentive e pecuniarie irrogate con lo svolgimento non retribuito di lavori di pubblica utilità (per non più di una volta, precisa l’ultimo periodo del comma), secondo le modalità di cui all’art. 54 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, ad eccezione del caso in cui il conducente abbia provocato un incidente.

L’istituto del lavoro di pubblica utilità, ispirato al modello anglosassone del community service order, ed inserito per la prima volta nella l. 24 novembre 1981, n. 689 con riferimento alle sole pene pecuniarie, ha, almeno nelle intenzioni del legislatore, un alto potenziale rieducativo e risocializzante. Esso si concretizza nella prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività, da svolgere preferibilmente nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso enti pubblici o associazioni di volontariato o presso centri specializzati di lotta alle dipendenze. Può essere irrogato (come accaduto nel caso di specie) con decreto penale di condanna, non è indefettibile la richiesta dell’imputato, ma è necessario e sufficiente che egli non si opponga, e la sua durata è parametrata sulla pena (detentiva o pecuniaria, convertita ad un tasso di maggiore severità di quello ordinario) in concreto irrogata.

Nell’ipotesi del positivo svolgimento del lavoro sostitutivo, è previsto che il giudice fissi un’udienza ad hoc per dichiarare estinto il reato, per ridurre della metà il periodo di sospensione della patente di guida e per revocare la confisca del veicolo sequestrato. Trattasi di una vera e propria causa di estinzione del reato a valenza premiale, resa tangibile finanche dall’anomalo meccanismo della “revoca” della confisca, la cui giustificazione risiede nella ricordata finalità rieducativa.

20.2. La Corte costituzionale ha avuto modo a sua volta di pronunciarsi su ridetta finalità premiale dell’estinzione del reato in conseguenza del valutato esito positivo dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità, irrogato in sostituzione delle pene previste dall’ art. 186 del Codice della Strada (Corte cost., 30 luglio 2020, n. 179, che ha dichiarato illegittimo l’art. 24 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti» nella parte in cui non prevedeva che nel certificato richiesto dall’interessato non fossero riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 del Codice della Strada che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità).

In tale occasione, richiamando la propria precedente pronuncia n. 231 del 2018, riferita alla messa in prova, la Corte ne ha accomunato l’essenza, ravvisata nel fatto che sono entrambi istituti «orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato». In maggior dettaglio il «lavoro di pubblica utilità, disposto quale sanzione sostitutiva per la contravvenzione di cui all’art. 186 cod. strada […] – proprio come la messa alla prova – comporta per il condannato un percorso che implica lo svolgimento di un’attività in favore della collettività, e dunque esprime una meritevolezza maggiore – in caso di svolgimento positivo dell’attività – rispetto a quella espressa da chi si limiti a concordare la propria pena con il pubblico ministero, ovvero non si opponga al decreto penale di condanna, beneficiando per ciò stesso della non menzione nei certificati del casellario richiesti dai privati». L’irragionevole disparità di trattamento rispetto alle situazioni poc’anzi richiamate è stata ritenuta ancor più grave in ragione del fatto che «in questi casi l’interessato non ha nemmeno la possibilità di ottenere la non menzione per effetto della riabilitazione, che è per definizione esclusa nel momento in cui il reato sia estinto».

21. Con riferimento agli effetti della riabilitazione sulla portata ostativa ad un’assunzione della sottesa condanna, la giurisprudenza, laddove ha manifestato aperture, ha comunque richiesto l’accertamento da parte del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 676 c.p.p. che non siano stati commessi, nel lasso temporale necessario allo scopo – la cui decorrenza è ex se irrilevante- reati della stessa indole (v. Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 2022, n. 320).

Vero si è che con riferimento alla guida in stato di ebbrezza, invece, l’accettazione di un percorso alternativo che ha conosciuto, fino ad oggi, un sensibile incremento casistico legato proprio al suo abbinamento alla stessa, finisce per divenire astrattamente penalizzante non consentendo mai di accedere alla riabilitazione e, con essa, alla possibile valutazione positiva del proprio status.

22. E’ in tale direzione, dunque, piuttosto che nel senso invocato dell’obbligo gravante sulla p.a. di farsi carico del reinserimento nel mondo del lavoro di chi sia incorso in una precedente condanna, che il Collegio ravvisa profili di contrasto con la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma 3, della Costituzione.

Le scelte del legislatore mirate ad ampliare il sistema della sicurezza stradale lato sensu inteso spaziano infatti dalla politica degli investimenti (si pensi alla destinazione vincolata anche a studi, ricerche e propaganda ai fini della sicurezza stradale degli introiti delle relative sanzioni pecuniarie contenuto nell’art. 208 del Codice), a quella del coinvolgimento, non potendo, per essere efficaci, limitarsi all’inasprimento delle sanzioni, a maggior ragione laddove dalla condotta posta in essere non siano concretamente derivati danni a persone o cose. La denegata possibilità per la pubblica amministrazione di “appropriarsi”, quanto meno valutandola, della esperienza lavorativa gratuita effettuata come vera e propria forma di espiazione della pena, pare contrastare proprio con la specifica finalità rieducativa sottesa alla sua introduzione in una modalità peraltro calata sulla specificità del caso e per questo per molti aspetti difforme dal modello generale.

L’apertura fiduciaria verso i condannati, di cui si presuppone l’integrale recupero attraverso la scelta di lavoro a titolo gratuito a favore della collettività offesa, quale evidente segno di riconciliazione sociale, cioè, finisce per perdere qualsivoglia potenzialità attrattiva (solo) per un aspirante finanziere. Ciò a maggior ragione se si considera che nel procedimento de quo il giudice dell’esecuzione non “certifica” solo l’avvenuta decorrenza del tempo in assenza di commissione di nuovi reati, ma anche il buon esito dell’attività, riferito evidentemente non alla sua redditività, ma alla sua rispondenza agli obiettivi rieducativi e risocializzanti che ne hanno comportato l’irrogazione.

VII. Sul possibile contrasto con gli artt. 4, 35 e 97 della Costituzione.

23. Il Collegio nutre dubbi anche in relazione agli adombrati profili di contrasto con gli art. 4, 35 e 97 della Costituzione.

Pur senza attingere alla tematica del divieto di automatismi esclusivi, elaborato dalla Corte in relazione ai procedimenti sanzionatori espulsivi, e non riferibile all’instaurazione dei rapporti di lavoro che il legislatore ha inteso sottoporre a requisiti più stringenti in chiave di ricerca della qualità degli appartenenti alla pubblica amministrazione, a maggior ragione ove ad ordinamento speciale, non può negarsi che l’individuazione degli stessi, per essere razionale, deve rispondere anche a requisiti di proporzionalità rispetto al diritto cui si vanno a contrapporre, negandolo.

Per contro, la focalizzata attenzione su singole ipotesi contravvenzionali riconducibili alle medesime norme, strettamente connesse tra di loro (gli artt. 186 e 186 bis del Codice della Strada), non correlate in maniera indissolubile alle future mansioni da svolgere, finisce per ledere anche il diritto al lavoro, nella sua accezione di diritto alla soddisfazione delle proprie specifiche aspettative professionali.

23.1. Ciò trova indiretta conferma nei principi eurounitari in materia di divieti di discriminazioni all’accesso, seppure in relazione alle specifiche motivazioni enunciate all’art. 1 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (attuata in Italia con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216). Vero è che il punto 18 della premessa della direttiva medesima, infatti, prevede che la stessa «non può avere l’effetto di costringere le forze armate nonché i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere l’insieme delle funzioni che possono essere chiamate ad esercitare, in considerazione dell’obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi». Ma nel caso di specie la ricordata non sussumibilità dei servizi di polizia stradale tra quelli tipicamente ascritti alla (sola) guardia di finanza, diversamente da quanto accade per altre Forze di polizia, che addirittura contemplano al loro interno un’articolazione a connotazione specialistica, non giustifica la preclusione e ancor più i termini assoluti che la connotano. Mutuando infatti le indicazioni della direttiva si può escludere una discriminazione (art. 4, paragrafo 1) solo laddove «per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato» (con riferimento all’età, di cui al successivo art. 6, vedi da ultimo C.G.U.E. del 17 novembre 2022, in causa C-304/21).

24. La circostanza poi che l’introduzione di preclusioni asistematiche operi come sbarramento all’accesso anche per le categorie riservate che le selezioni mirano a reclutare, valorizzando pregresse esperienze professionali evidentemente ritenute affini, laddove egualmente non si giustifichi con riferimento alle specificità settoriali comunque da tutelare, finisce per impattare negativamente sull’economicità di tali scelte procedurali e così anche sull’invocato principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. La ratio, infatti, della diversa valutazione dei medesimi requisiti, in ragione della sua portata escludente, deve comunque essere ravvisata nella finalizzazione della richiesta/verifica aggiuntiva alla peculiarità del (nuovo) ruolo che si vorrebbe ricoprire.

Conclusioni.

25. In sintesi, con riferimento alle questioni di maggior impatto, per le ragioni esposte, la previsione dell’immediata preclusione all’accesso al Corpo della Guardia di finanza in caso di (condanna per il ) reato di guida in stato di ebbrezza, contenuta nell’art. 6, lett. i), del d.lgs. n. 199 del 1995, non appare sorretta da una giustificazione razionale, né tiene conto delle specificità sanzionatorie della relativa fattispecie, che privilegia l’accesso al lavoro sostitutivo di pubblica utilità quale modalità di recupero e di reinserimento, premiandone il buon esito con una particolare ipotesi di estinzione del reato.

La ragione della preclusione, infatti, non si rinviene né nella specificità dei compiti di istituto di tale forza di polizia, che con riferimento all’attività di polizia giudiziaria in ambito di polizia stradale è per così dire recessiva rispetto alla generalizzata competenza della polizia stradale, a livello nazionale e delle polizie locali, con riferimento al proprio territorio; né nel disvalore assoluto attribuito dal legislatore alla fattispecie, giusta la possibilità della gradazione della sua offensività a prescindere dalle fasce predeterminate che trova espressione nella riconosciuta applicabilità della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto.

26. La diversità di ruoli e di carriera non consente di superare il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione, che ha inteso introdurre una specifica ipotesi di reato contravvenzionale quale indice ineludibile di censurabilità della condotta a fini assunzionali.

27. Alla stregua dei rilievi fin qui svolti, devono quindi essere dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le descritte questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 199 del 1995, nella parte in cui prevede quale causa di esclusione dall’arruolamento anche la guida in stato di ebbrezza costituente reato, con riferimento agli artt. 3 e 51, 4 e 35, 27, comma 3 e 97 della Costituzione.

28. Vanno conseguentemente disposte, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, secondo le modalità indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), pronunciando sull’appello in esame, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. i) del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199, nella parte in cui prevede quale causa di esclusione dall’arruolamento anche la guida in stato di ebbrezza costituente reato, con riferimento agli artt. 3 e 51, 4 e 35, 27, comma 3 e 97 della Costituzione.

Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2023 con l’intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente

Dario Simeoli, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Francesco Guarracino, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

 

L’ESTENSORE

Antonella Manzione

IL PRESIDENTE

Oberdan Forlenza

 

IL SEGRETARIO