SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1103 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Carlo Parente Zamparelli, Stefano Monti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Carlo Parente Zamparelli in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Elisa Secci e Rossy Carolina Silverio non costituite in giudizio;
per l’annullamento
con il ricorso introduttivo:
del decreto del 15.12.2017 notificato in pari data di esclusione dalla assunzione straordinaria nel Corpo di P.P.; di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale al provvedimento impugnato, ivi compreso il provvedimento di inidoneità deliberato in prima istanza dalla Commissione di cui all’art. 106, c. 3, del D.Lgs 443/1992 impugnato con ricorso gerarchico
e con i motivi aggiunti presentati in data 02.03.2018 :
del decreto del 26.2.2018 con cui è stata formalizzata l’esclusione dall’assunzione straordinaria nel Corpo di Polizia Penitenziaria
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2019 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe OMISSIS espone di aver partecipato al concorso a n. 80 posti di agente femminile del Corpo di polizia penitenziaria indetto con PDG 29 novembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – 4” Serie Speciale – Concorsi ed Esami 13 dicembre 2011, n. 98, classificandosi al posto n. 298 e quindi in posizione non utile per l’assunzione relativa alle facoltà assunzionali dell’anno 2012. In particolare, la predetta risultava inserita in graduatoria con riserva dell’accertamento del possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali previsti dal bando.
Successivamente, in virtù dello scorrimento della graduatoria autorizzato ai sensi dell’articolo 1, commi 1 e 2 del D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, convertito con Legge 27 febbraio 2017, n. 19, commi 2 e 2, la ricorrente veniva convocata in data 3 ottobre 2017 per detti accertamenti, risultando non idonea a causa della riscontrata presenza di un tatuaggio – di dimensioni cm 6 x 5, posto in parte visibile sul dorso del piede dx, ancorché in fase di rimozione- e in particolare “per esiti incompleta rimozione tatuaggio esimenti per sede art. 123, co. 1, lett. c)” dlgs 30 ottobre 1992, n. 443.
L’interessata proponeva ricorso ai sensi della normativa vigente chiedendo di essere sottoposta ad ulteriore accertamento da parte della Commissione medica di seconda istanza che in data 15 dicembre 2017 confermava il giudizio di non idoneità per “tatuaggio esimente per sede art. 123 co. 1, lett. c)”.
L’amministrazione si è costituita in giudizio per avversare il ricorso, evidenziando la legittimità del provvedimento impugnato in quanto anche la Commissione di seconda istanza all’atto della visita rilevava un “… residuo di tatuaggio (in via di rimozione) nel contesto di una cicatrice ..non stabilizzata in esito a trattamento laser, visibile …”. Inoltre, ha rammentato che le tabelle 1, 2,6, 12, 20, 23, 24, 25, 29 bis, 39 bis etc., con le quali si disciplina l’utilizzo della “gonna”, quale del capo di vestiario della divisa da parte del personale femminile del Corpo di polizia penitenziaria sono richiamate dall’art.4 del decreto del Ministro della Giustizia 24 gennaio 2002 recante Disposizioni concernenti l’uso, in durata e la foggia del vestiario e dell’equipaggiamento in dotazione al Corpo di polizia penitenziaria, e che pertanto il tatuaggio della ricorrente è ben visibile indossando l’uniforme femminile.
Con ordinanza cautelare n.1013/2018 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare, “considerato che dalla documentazione fotografica depositata in atti dal Ministero della giustizia emerge che il tatuaggio all’atto della visita del 3 ottobre 2017 era ancora visibile su parte del corpo non coperta dall’uniforme”.
Detta ordinanza è stata riformata con ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 02084/2018 in considerazione “delle caratteristiche oggettive del tatuaggio (dimensioni, consistenza e posizionamento) e, per un altro verso, del positivo andamento delle operazioni di rimozione chirurgica dello stesso, tuttora in corso di fattivo svolgimento, tale da denotare – parrebbe – un residuato di natura meramente cicatriziale”.
Nell’odierna udienza, in cui il difensore di parte ricorrente ha depositato documentazione che attesta l’ammissione alla frequentazione del corso, la causa è stata trattenuta in decisione.
Tanto premesso, il ricorso deve essere accolto.
La controversia in esame verte sulla legittimità dei provvedimenti in epigrafe di accertamento di prima istanza e di seconda istanza che hanno dichiarato la ricorrente “non idonea”, a motivo rispettivamente della presenza di “Tatuaggio esimente per sede non completamente rimosso. Art. 123, comma 1, lett. c”.
Al riguardo va evidenziato che l’art. 123 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria), stabilisce che “costituiscono cause di non idoneità per l’ammissione ai concorsi di cui all’articolo 122 le seguenti imperfezioni e infermità: …c) le infermità e gli esiti di lesione della cute e delle mucose visibili: malattie cutanee croniche; cicatrici infossate ed aderenti, alteranti l’estetica o la funzione; tramiti fistolosi, che, per sede ed estensione, producano disturbi funzionali; tumori cutanei. I tatuaggi sono motivo di non idoneità quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”; a sua volta, l’Amministrazione competente con la circolare GDAP 0219217 – 2007, riguardante “Uso dei tatuaggi del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria” ha rilevato che, alla luce della predetta normativa, “non costituisce causa di inidoneità, sia all’ingresso che alla permanenza nel Corpo , l’esistenza di tatuaggi che siano coperti dall’uniforme, sia essa invernale che estiva, maschile o femminile (salvo il caso disciplinato dal citato art.123, comma 1, lett.c) , d.lvo 443/1992: presenza di tatuaggi deturpanti o indici di personalità abnorme riscontrata in sede di assunzione)”.
Dalla lettura della predetta disposizione e dell’interpretazione amministrativa emerge che il presupposto di fatto costituito dalla presenza di tatuaggi è, di per sé, circostanza neutra, che acquista, tuttavia, una sua specifica valenza, ai fini della esclusione dall’arruolamento, quando essi siano collocati “sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme”, ovvero siano per natura o sede “deturpanti” o “indice di personalità abnorme”.
Si tratta, come ha osservato la giurisprudenza, di due distinte fattispecie di inidoneità, la prima di carattere autonomo, la seconda composta da due diverse categorie (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2012, n. 3525; Tar Lazio, Roma, sez. I quater 15 maggio 2012, n. 4354 e n. 4357).
La detta visibilità deve presentare una certa evidenza, ovvero deve determinare l’impossibilità del tatuaggio di essere coperto indossando la divisa (cfr. Cons. Stato, sez.VI, 13 maggio 2010, n. 2950).
Applicando le predette coordinate normative ed ermeneutiche al caso di specie, il ricorso risulta fondato.
Nel caso in esame, l’esclusione della ricorrente è stata infatti motivata dall’Amministrazione in considerazione, appunto, di “esiti incompleta rimozione tatuaggio esimenti per sede art. 123, co. 1, lett. c)” dlgs 30 ottobre 1992, n. 443”, senza che tuttavia l’amministrazione abbia rilevato le qualità o caratteristiche della cicatrice come indicate nel predetto art. 123, comma 1, lett. c), che richiede a tali fini che le cicatrici siano “infossate ed aderenti, alteranti l’estetica o la funzione”.
Ne deriva che, come rilevato da parte ricorrente, l’atto gravato risulta carente di motivazione, sotto il profilo della mancata adesione della fattispecie esaminata ai parametri normativi, che della motivazione sono uno degli elementi obbligati ai sensi dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in specie per gli atti espressione di discrezionalità tecnica, come è quello impugnato (cfr. Tar Lazio, sez. I quater, 4 giugno 2010, n. 15341; idem, 5 febbraio 2018, n. 1449; idem, 27 luglio 2018, n.8499).
Tra l’altro va rilevato che la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che la non immediata percepibilità visiva della presenza di un tatuaggio non consente di ritenere che la sua presenza risulti in contrasto con il prototipo di figura istituzionale, il che rende irragionevole e sproporzionata, rispetto alle finalità presidiate dalla disciplina di riferimento, l’esclusione della ricorrente dal concorso (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I Bis, 21 agosto 2017, n. 9346).
Per mera completezza, deve aggiungersi che la ricorrente ha documentato di essere stata successivamente ammessa, con riserva, a partecipare al 174° Corso di formazione.
Il ricorso va pertanto accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti in epigrafe gravati, nella parte in cui escludono la ricorrente.
Le spese di lite possono essere compensate, tenuto conto dell’andamento e della natura della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento in epigrafe.
Compensa spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.