SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3616 del 2000, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avv. Erennio Parente e dall’Avv. Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Giovanni Carlo Parente sito in Roma, Via Emilia, 81;
contro
– il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 8476 del 2001, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avv. Erennio Parente e dall’Avv. Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Giovanni Carlo Parente sito in Roma, Via Emilia, 81;
contro
– il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 8778 del 2001, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avv. Erennio Parente e dall’Avv. Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Giovanni Carlo Parente sito in Roma, Via Emilia, 81;
contro
il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
quanto al ricorso n. 3616 del 2000 r.g.:
PER L’ANNULLAMENTO
– del provvedimento del Ministero della Giustizia – Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, prot. n. 10 del 15 dicembre 1999, recante l’esclusione del ricorrente dalla graduatoria per l’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria ai sensi del decreto legge n. 479 del 1996, per superamento dei limiti di eta’;
– di tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti, in particolare del Decreto Interministeriale del 12 novembre 1996 recante le modalità per l’accertamento dei requisiti per l’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria;
quanto al ricorso n. 8476 del 2001:
PER OTTENERE
– il risarcimento dei danni di natura patrimoniale, morale e biologica discendenti dall’illegittima esclusione del ricorrente dall’arruolamento nel Corpo di Polizia Penitenziaria, con conseguente condanna dell’Amministrazione al relativo pagamento;
quanto al ricorso n. 8778 del 2001:
PER L’ANNULLAMENTO
– del provvedimento del Dipartimento della Polizia Penitenziaria, di estremi non conosciuti, con cui è stato disposto l’inquadramento del ricorrente nel Corpo di Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001;
– di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2011 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Quanto al ricorso N. 3616/2000 R.G.
Espone in fatto l’odierno ricorrente di aver presentato domanda di arruolamento quale Agente di Polizia Penitenziaria, in qualità di Caporal Maggiore dell’Esercito Italiano in congedo senza demerito, ai sensi del decreto legge n. 479 del 1996, che prevede la copertura di parte dei posti mediante l’assunzione degli ausiliari in congedo dell’Arma dei Carabinieri e delle altre Forze di Polizia congedati senza demerito ed in possesso dei requisiti previsti per l’assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria, tra cui l’età non superiore a 28 anni.
Con nota del 15 dicembre 1999 l’Amministrazione ha comunicato il mancato inserimento del ricorrente nella graduatoria per aver superato il limite di età.
Avverso tale determinazione deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:
I – Violazione della legge n. 25 del 1989.
II – Violazione della norma di cui all’art. 2, comma 1 n. 2, lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994.
Invoca parte ricorrente come l’art. 2, comma 1 n. 2, lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994, ai sensi del quale il limite massimo per la partecipazione ai pubblici concorsi è elevato di un periodo pari all’effettivo servizio prestato per i cittadini che hanno prestato servizio militare volontario di leva e di leva volontaria.
III – Violazione degli artt. 3, 51 comma 3, e 97 della Costituzione.
Afferma parte ricorrente come il Decreto Interministeriale 12 novembre 1996, art. 1, comma 2, lettera c), che rappresenta il fondamento della gravata esclusione, costituisca errata applicazione delle norme di settore e generali, ricordando come il T.U. sul pubblico impiego preveda un’età non superiore a 32 anni per l’accesso al pubblico impiego, elevata a 42 anni con la legge n. 25 del 1989, senza possibilità per i singoli ordinamenti di settore di ridurre tale limite, con conseguente incompatibilità con tale norma della previsione recata dall’art. 5, lettera b) del D.Lgs. n. 443 del 1992 e del Decreto Interministeriale 12 novembre 1996.
Inoltre, avendo perso il Corpo della Polizia Penitenziaria il carattere di struttura militare, non potrebbe trovare giustificazione una deroga al limite di età previsto in via generale, con conseguente illegittimità sia del gravato provvedimento che del Decreto Interministeriale 12 novembre 1996 per mancata applicazione dell’art. 2, comma 1 n. 2, lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994, che richiama l’art. 22 della legge n. 958 del 1986 – che dispone l’elevazione del limite massimo per la partecipazione ai pubblici concorsi per un periodo pari all’effettivo servizio prestato per i cittadini che hanno prestato servizio militare volontario di leva e di leva volontaria – che trova applicazione in quanto viene in rilievo una procedura di assunzione riservata al personale volontario delle Forze Armate e agli Ausiliari dell’Arma dei Carabinieri, con conseguente innalzamento del limite di età previsto in 28 anni per l’assunzione nel Corpo degli Agenti della Polizia Penitenziaria dall’art. 5, lettera b) del D.Lgs. n. 443 del 1992.
Al ricorrente dovrebbe, pertanto, essere riconosciuto l’innalzamento del limite di età per un periodo pari al tempo trascorso in servizio nelle Armi.
In via subordinata, deduce parte ricorrente l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, lettera b), del D.Lgs. n. 443 del 1992 che, nel prevedere il limite di età di 28 anni, sarebbe irragionevole ed ingiustificato nell’ambito di un mutato quadro normativo in cui, con la legge n. 127 del 1997, è stato eliminato il limite massimo di età per l’accesso a tutti gli impieghi pubblici, con conseguente violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
IV – Violazione ed errata applicazione dell’art. 3, comma 6, della legge n. 127 del 1997.
Deduce parte ricorrente l’illegittimità della gravata esclusione stante l’intervenuta abrogazione, per effetto dell’art. 3, comma 6, della legge n. 127 del 1997, dei limiti di età per la partecipazione a pubblici concorsi, con conseguente abrogazione delle discipline previgenti e necessità che eventuali deroghe siano introdotte da norme successivamente adottate.
Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione con formula di rito.
Con ordinanza n. 2751/2000 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione degli effetti del gravato provvedimento.
Con memorie successivamente depositate parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.
Quanto al ricorso N. 8476/2001 R.G.
Nell’affermare parte ricorrente di essere stato ammesso alle successive fasi concorsuali, precisa che l’Amministrazione, a distanza di circa tre anni, ha provveduto in autotutela all’inserimento in graduatoria di tutti i candidati esclusi ancorché non ricorrenti.
All’esito delle prescritte visite mediche il ricorrente, essendo risultato idoneo, è stato avviato al corso di formazione ed inserito nel ruolo del Corpo degli Agenti di Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001.
Avanza, quindi, parte ricorrente, domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, morale e biologico discendente dall’illegittima sua esclusione dall’arruolamento nel Corpo della Polizia Penitenziaria, articolando a sostegno della sostenuta responsabilità dell’Amministrazione i seguenti motivi di censura:
I – Violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alle norme sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 nonché agli artt. 1175, 1375, 1218 del codice civile, anche con riferimento agli artt. 2, 3, 4, 36 e 97 della Costituzione.
Illogicità, contraddittorietà, sviamento, difetto ed insufficienza di istruttoria, ingiustizia manifesta.
Violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento. Violazione del diritto alla dovuta retribuzione. Eccesso di potere per disparità di trattamento.
Afferma parte ricorrente che, per effetto dell’illegittima esclusione dal concorso, in quanto basata sulla colpevole violazione della norma dettata dall’art. 22 della legge n. 958 del 1986, sarebbe stato privato per tre anni del reddito pur avendo egli diritto alla elevazione del limite di età, invocando la spettanza del risarcimento del danno conseguente alla ritardata sua assunzione in quanto, in assenza del provvedimento di esclusione, egli sarebbe stato asseritamente assunto sin dal 1998, determinando il superamento degli accertamenti medici il diritto all’arruolamento.
Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione con formula di rito.
Con memorie successivamente depositate parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.
Quanto al ricorso N. 8778/2001 R.G.
Nel richiamare parte ricorrente le vicende che hanno preceduto la propria assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria con decorrenza 12 maggio 2001, afferma la sussistenza del proprio diritto alla ricostruzione della carriera per essere stato assunto con ritardo rispetto agli altri colleghi e tale ritardo sarebbe imputabile all’adozione del provvedimento di esclusione dalla graduatoria.
A sostegno della proposta azione deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:
I – Violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alle norme sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 nonché agli artt. 1175, 1375, 1218 del codice civile, anche con riferimento agli artt. 2, 3, 4, 36 e 97 della Costituzione.
Illogicità, contraddittorietà, sviamento, difetto ed insufficienza di istruttoria, ingiustizia manifesta.
Violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento. Violazione del diritto alla dovuta retribuzione. Eccesso di potere per disparità di trattamento.
Ribadisce sostanzialmente, parte ricorrente, le argomentazioni già articolate con il ricorso N. 8476/2001, imputando alla disposta esclusione dalla graduatoria il ritardo nel suo arruolamento, con conseguente affermazione del proprio diritto alla ricostruzione della carriera mediante retrodatazione dell’immissione nei ruoli dell’organico del Corpo della Polizia Penitenziaria, inquadramento e nomina dal giorno dell’avvenuta esclusione, riconoscimento dell’anzianità di qualifica e di servizio maturate a decorrere dal 1998, con tutti i conseguenti benefici.
La resistente Amministrazione si è costituita in giudizio con formula di rito.
Alla Pubblica Udienza dell’11 maggio 2011, le cause sono state chiamate e, sentiti i difensori delle parti, trattenute per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
In via preliminare il Collegio dispone la riunione dei ricorsi stante la loro connessione soggettiva ed oggettiva.
Quanto al ricorso N. 3616/2000 R.G.
Con il ricorso in esame l’odierno ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento – meglio descritto in epigrafe – con cui gli è stata comunicata la sua esclusione dalla graduatoria per l’assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria, nonché il Decreto Interministeriale del 12 novembre 1996, regolante le modalità di accertamento del possesso dei requisiti per l’assunzione nel predetto Corpo.
Ai fini della migliore comprensione dei termini della vicenda sottoposta all’esame di questo Collegio, giova precisare che con decreto legge 5 luglio 1995 n. 269 – reiterato da successivi decreti legge tra cui, da ultimo, il decreto legge 13 settembre 1996 n. 479, convertito in legge con legge 15 novembre 1996 n. 579, recante, tra gli altri, provvedimenti urgenti per il personale dell’Amministrazione penitenziaria e per il servizio di traduzione dei detenuti – si è proceduto all’aumento dell’organico del Corpo della Polizia penitenziaria, stabilendosi che ai fini della copertura del 50% dei posti portati in aumento nella dotazione organica si sarebbe provveduto mediante assunzione su domanda degli ausiliari in congedo dell’Arma dei Carabinieri, delle Forze Armate e delle altre Forze di Polizia, congedati senza demerito ed in possesso dei requisiti richiesti per l’assunzione nel Corpo della Polizia penitenziaria.
Secondo quanto disposto dalla predetta normativa, con apposito decreto interministeriale si sarebbe provveduto a stabilire le modalità ed i termini per la presentazione delle domande di assunzione.
Tale decreto è stato adottato in data 12 novembre 1996 e forma anch’esso oggetto di impugnativa nella parte in cui fissa il limite massimo di età in 28 anni.
Il ricorrente ha presentato domanda di assunzione in qualità di Caporal Maggiore dell’Esercito Italiano in congedo senza demerito dopo aver prestato servizio dal 3 febbraio 1988 all’1 febbraio 1990.
In applicazione dell’art. 1, comma 2, lettera c), del Decreto Interministeriale 12 novembre 1996, il ricorrente, come comunicato con il gravato provvedimento, è stato escluso dalla graduatoria degli idonei per aver superato il previsto limite di età fissato in 28 anni.
Avverso la disposta esclusione parte ricorrente, da un lato, invoca il proprio diritto all’innalzamento del previsto limite di età per un periodo di tempo pari al tempo trascorso in servizio alle armi, fondando la propria pretesa sul disposto di cui all’art. 2, comma 1, punto 2, lett. d), del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, dall’altro, contesta la legittimità della previsione del limite massimo di età, fissato in 28 anni sia dal gravato Decreto Interministeriale del 12 novembre 1996 sia dall’art. 5 del D. Lgs. n. 443 del 1992, sostenendone il contrasto con il quadro normativo generale nella parte in cui stabilisce i limiti di età per la partecipazione ai pubblici concorsi.
Sotto tale ultimo profilo, richiama parte ricorrente l’art. 2 della legge 27 gennaio 1989 n. 25 – recante norme sui limiti di età per la partecipazione ai pubblici concorsi – che ha sostituito l’art. 2 del T.U. sul pubblico impiego del 1957, innalzando il limite massimo di età a 40 anni ed eliminando la prevista possibilità per gli ordinamenti delle singole Amministrazioni dello Stato di prevedere la riduzione di tale limite.
Ancora, la denunciata illegittimità della prevista fissazione del limite massimo di età in 28 anni, viene ricondotta da parte ricorrente all’art. 3, comma 6, della legge 15 maggio 1997, n. 127 – recante misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo – ai sensi del quale la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione.
Dalle sopra richiamate normative, secondo parte ricorrente, deriverebbe l’illegittimità dell’art. 5 del D.Lgs. n. 443 del 1992 e del Decreto Interministeriale del 12 novembre 1996 (limitatamente alla fissazione del limite di età) per contrasto con la normativa di cui alla legge n. 25 del 1989 – di cui il ricorrente assume la portata generale – e per intervenuta abrogazione da parte della legge n. 127 del 1997, deducendo altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D.Lgs. n. 443 del 1992 per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Così ricostruito l’oggetto del presente giudizio, osserva il Collegio che il D. Lgs. 30 ottobre 1992, n. 443 – concernente l’ordinamento del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (recante norme sull’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria) – contiene un’espressa deroga alla previsione di cui all’art. 2 della legge n. 25 del 1989, stabilendo, all’art. 5, il limite massimo di età di 28 anni per gli agenti di custodia.
Né, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, può riconoscersi alla citata legge n. 25 del 1989 portata tale da escludere, per le singole Amministrazioni, la possibilità di introdurre deroghe al previsto limite massimo di età in relazione alle peculiarità dei relativi ordinamenti, così riportando la questione dei rapporti tra diverse ed equiordinate normative nell’ambito delle ordinarie regole di prevalenza secondo i criteri cronologico e di specialità.
Deve inoltre rilevarsi che, a mente dell’art. 1, comma 4, della legge 15 dicembre 1990, n. 395, l’applicabilità delle norme relative agli impiegati civili dello Stato è subordinata alla condizione che non vi sia un’espressa disciplina nella stessa legge e nei limiti in cui ne risulti la compatibilità.
In relazione a tale aspetto, il D. Lgs. n. 443 del 1992, in ottemperanza ai criteri indicati nella legge n. 395 del 1990, ha dettato una nuova e diversa disciplina per gli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria, tenendo conto delle caratteristiche di tale ordinamento che, pur essendo stato smilitarizzato, fa pur sempre parte delle Forze di Polizia, e ciò conformemente alla predetta regola secondo cui le norme relative agli impiegati civili dello Stato sono suscettive di applicazione nella misura in cui risultino compatibili e per gli aspetti non espressamente disciplinati.
Inoltre, non può ritenersi intervenuta l’abrogazione della citata norma di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 443 per effetto dell’art. 2 del D.P.R. n. 487 del 9 maggio 1994 – recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e sulle modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi – nella parte in cui dispone che per l’accesso agli impieghi civili delle Pubbliche Amministrazioni è necessario il possesso di un’età non inferiore a 18 e non superiore a 40 anni.
In disparte la ricordata applicabilità della normativa statale nell’ambito settoriale del Corpo della Polizia Penitenziaria nei limiti della prevista clausola di compatibilità, trattasi, difatti, di disposizione di natura regolamentare che non può, quindi, prevalere su di una norma legislativa.
Se nelle considerazioni sin qui esposte risiedono le ragioni dell’infondatezza delle censure ricorsuali sin qui esaminate, va invece dichiarata la fondatezza del profilo di doglianza inerente la mancata applicazione al ricorrente della disposizione di cui all’art. 22 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, con conseguente riconoscimento, a favore dello stesso, dell’elevazione del previsto limite di età per un periodo corrispondente a quello dell’effettivo servizio prestato nell’Esercito Italiano.
La citata norma della legge n. 958 – recante norme sul servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata – sostituendo la disposizione di cui al comma 6 dell’art. 77 del D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237,concernente la leva ed il reclutamento obbligatorio nelle Forze Armate, stabilisce che “per la partecipazione ai pubblici concorsi il limite massimo di età richiesto è elevato di un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, per i cittadini che hanno prestato servizio militare volontario, di leva e di leva prolungata”.
Tale disposizione è stata sostanzialmente riprodotta dall’art. 2, comma 1, punto 2, lett. d) del più volte citato D.P.R. n. 487 del 1994 come modificato dall’art. 2 del D.P.R. 30 ottobre 1996 n. 693, il quale fa espresso richiamo alla predetta legge n. 958 del 1986.
La normativa sopra richiamata va coniugata con la considerazione che la procedura di assunzione su cui si innesta la controversia in esame, come correttamente rilevato dalla difesa di parte ricorrente, non è indirizzata alla generalità dei cittadini, ma è riservata a particolari soggetti che hanno prestato servizio come volontari delle Forze armate, congedati senza demerito ed in possesso dei requisiti per l’assunzione nel Corpo, nonché agli ausiliari in congedo dell’Arma dei Carabinieri e delle altre Forze di Polizia, che non siano cessati dal servizio per motivi disciplinari o per infermità.
Ne discende che, in relazione alle peculiarità di tale concorso e nella considerazione della piena compatibilità della richiamata disciplina con la natura del concorso stesso, avrebbe dovuto prevedersi l’applicabilità del beneficio di cui all’art. 77 della legge n. 237 del 1964 (e reintrodotto in via generale dall’art. 2, lett. d), del D.P.R. n. 693 del 30 ottobre 1996) consistente nell’elevazione del limite di età previsto per un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, a favore dei cittadini cha hanno prestato servizio militare di leva e di leva prolungata (in senso conforme: Cons. Stato – parere 15 marzo 1999, n. 433; TAR Lazio – Roma – Sez. I – 10 ottobre 2003, n. 8195; 17 febbraio 2003, n. 1096; 11 aprile 2000, 2977).
In considerazione del fatto che l’affermato titolo del ricorrente all’inserimento in graduatoria per avere prestato servizio senza demerito nell’Esercito Italiano incontrerebbe lo sbarramento frapposto dal gravato Decreto Interministeriale del 12 novembre 1996, va rilevato che con sentenza di questo Tribunale n. 2977 del 2000 è stato disposto l’annullamento parziale di tale decreto per la dichiarata illegittimità dello stesso nella parte in cui fissa il limite massimo di età per l’assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria in 28 anni, senza prevedere l’applicabilità del beneficio di cui all’art. 77 della legge n. 237 del 1964 – reintrodotto in via generale dall’art. 2, lett. d), del D.P.R. n. 693 del 30 ottobre 1996 – dell’elevazione del previsto limite di età per un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, a favore dei cittadini cha hanno prestato servizio militare di leva e di leva prolungata.
Inoltre, essendo pacifico, in punto di fatto, che il ricorrente rientra tra i destinatari del decreto legge sopra citato, per avere lo stesso prestato servizio nell’Esercito Italiano dal 3 febbraio 1988 all’1 febbraio 1990 e per essere stato congedato senza demerito, appare irragionevole la sottoposizione dello stesso al limite di età previsto a regime dall’art. 5 del D. Lgs. n. 443 del 1992, mentre la contestazione di tale decreto appare sufficiente, stante la pendenza del giudizio, per far ritenere non applicabile al ricorrente il decreto interministeriale che tale limite impone, stante l’intervenuto annullamento giurisdizionale del medesimo, con effetti erga omnes.
In conclusione, deve riconoscersi al ricorrente – anche alla luce del contenuto conformativo discendente dalla citata sentenza n. 2977 del 2000 – il beneficio dell’elevazione del limite di età per un periodo corrispondente a quello del servizio prestato, con conseguente illegittimità della disposta esclusione di cui al gravato provvedimento, che si fonda sul decreto interministeriale dichiarato illegittimo in sede giurisdizionale, che pertanto va annullata.
Quanto al ricorso N. 8476/2001 R.G.
Con il ricorso in esame, nel precisare parte ricorrente di essere risultato idoneo all’esito delle prescritte visite mediche ed avviato al corso di formazione, con inserimento nel ruolo del Corpo degli Agenti di Polizia Penitenziaria con decorrenza 13 maggio 2001, propone azione volta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, morale e biologico discendente dall’illegittimità del provvedimento con cui è stata disposta la sua esclusione dall’arruolamento nel Corpo della Polizia Penitenziaria per superamento dei limiti di età, sostenendo che, in assenza del provvedimento di esclusione, egli sarebbe stato assunto sin dal 1998, determinando il superamento degli accertamenti medici il diritto all’arruolamento, invocando pertanto la spettanza del richiesto risarcimento in ragione della ritardata assunzione.
Il ricorso non merita favorevole esame.
Il provvedimento di esclusione dalla graduatoria per l’assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria, gravato con il ricorso n: 3616/2000 R.G., è stato sospeso con ordinanza n. 2751/2000 del 5 aprile 2000, con la quale è stata altresì disposta l’ammissione con riserva del ricorrente al prosieguo delle prove concorsuali e suo collocamento nella relativa graduatoria.
In virtù di tale provvedimento sono, quindi, venuti meno gli effetti della gravata esclusione.
Né parte ricorrente offre alcun elemento idoneo a far ritenere che l’avvenuta sua assunzione con decorrenza 12 maggio 2001 sia in qualche modo riconducibile alla intervenuta adozione del gravato provvedimento di esclusione dalla graduatoria e non al fisiologico svolgimento della relativa procedura – seppur di durata significativa – con riferimento alla quale, come affermato dallo stesso ricorrente, l’Amministrazione ha successivamente proceduto in autotutela all’inserimento in graduatoria di tutti i candidati esclusi ancorché non ricorrenti.
Apodittica e priva di idonei riscontri risulta, inoltre, l’affermazione di parte ricorrente secondo cui, se non fosse stato adottato il provvedimento di esclusione dalla graduatoria, egli sarebbe stato assunto sin dal 1998, trattandosi di affermazione che non viene in alcun modo contestualizzata e comprovata alla luce delle circostanze che caratterizzano l’intera fattispecie.
Non essendo, quindi, stato fornito alcun principio di prova in ordine agli invocati presupposti integranti l’affermata responsabilità dell’Amministrazione per ritardata assunzione del ricorrente nel Corpo della Polizia Penitenziaria – che non appare riconducibile al provvedimento di esclusione del ricorrente dalla graduatoria, essendo esso stato sospeso in sede cautelare, e non risultando come lo stesso abbia inciso sulla decorrenza dell’assunzione – il ricorso va rigettato.
Quanto al ricorso N. 8476/2001 R.G.
Propone parte ricorrente azione volta ad ottenere l’accertamento del proprio diritto alla ricostruzione della carriera – mediante retrodatazione dell’immissione nei ruoli dell’organico del Corpo della Polizia Penitenziaria, inquadramento e nomina dal giorno dell’avvenuta esclusione, riconoscimento dell’anzianità di qualifica e di servizio maturate a decorrere dal 1998, con tutti i conseguenti benefici – per essere stato assunto con ritardo, rispetto agli altri colleghi tempestivamente assunti, asseritamente imputabile all’adozione del provvedimento di esclusione dalla graduatoria gravato con il primo dei ricorsi esaminati.
Il ricorso non può trovare favorevole esame.
A fondamento della pretesa deduce genericamente parte ricorrente l’imputabilità del ritardo della propria immissione in ruolo, avvenuta con decorrenza 12 maggio 2001, all’intervenuta adozione del provvedimento di sua esclusione dalla graduatoria, affermando – altrettanto genericamente – che altri colleghi sono stati assunti tempestivamente.
Incomprensibile risulta, inoltre, l’avanzata richiesta di decorrenza dal 1998 della invocata ricostruzione delle propria carriera, trattandosi di data addirittura anteriore al gravato provvedimento di esclusione, datato 15 dicembre 1999, risultando tale pretesa del tutto disancorata da qualsiasi plausibile riferimento che abbia attinenza con la fattispecie in esame.
Quanto alla indicata diversa decorrenza della richiesta ricostruzione della carriera dalla data di adozione del gravato provvedimento, la stessa trova le ragioni della propria infondatezza nella considerazione che l’inserimento nella graduatoria non determina automaticamente il diritto alla immissione in ruolo, essendo la stessa subordinata all’espletamento di ulteriori adempimenti, tra cui la verifica del possesso dei richiesti requisiti di idoneità.
Posto quindi che l’invocata ricostruzione della carriera non può ancorarsi alla data di redazione della graduatoria degli ammessi – da cui il ricorrente è stato inizialmente illegittimamente escluso – va altresì ricordato che con ordinanza n. 2571/2000 è stata disposta l’ammissione del ricorrente al proseguo della procedura, con conseguenti effetti ripristinatori, seppur provvisori, del pregiudizio che avrebbe potuto discendere dalla disposta esclusione.
Né parte ricorrente, come avrebbe dovuto, fornisce alcuna precisazione in merito alla data in cui ha effettuato i prescritti accertamenti medici ed alla data di inizio e di conclusione del corso di formazione cui è stato ammesso a partecipare, solo a conclusione del quale e fermi gli ulteriori eventuali adempimenti dell’Amministrazione, l’Amministrazione avrebbe potuto procedere alla immissione in ruolo.
Va ulteriormente ribadito che il mero inserimento di un soggetto in una graduatoria finalizzata all’assunzione in ruolo – graduatoria redatta da apposite commissioni – non fa sorgere il diritto all’assunzione stessa, essendo la relativa procedura scandita da ulteriori fasi tra cui l’approvazione della graduatoria stessa da parte dell’organo competente e la successiva nomina.
Ancora, pur affermando parte ricorrente che altri soggetti sono stati assunti in data anteriore, non fornisce alcun principio di prova in ordine a tale circostanza.
Né, a giudizio del Collegio, a tale carenza potrebbe sopperirsi ordinando incombenti istruttori a carico delle parti, vertendosi in fattispecie in cui non è stato assolto da parte ricorrente l’onere di fornire un principio di prova in relazione a fatti e circostanze che sono nella sua disponibilità.
Nel processo amministrativo la regola generale dell’onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui si fonda la pretesa avanzata, trova integrale applicazione in tutti i casi nei quali siano nella piena disponibilità della parte gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale azionata e lo stesso principio risulta mitigato, in tale processo, unicamente nell’ipotesi in cui il ricorrente non abbia la disponibilità delle prove, per essere queste nell’esclusivo possesso dell’amministrazione, dovendo comunque il ricorrente fornire almeno un principio di prova, trovando nel processo amministrativo piena applicazione le norme del c.c. (art. 2697 ) e del c.p.c. (art. 116), a fronte della disposizione di cui all’art. 64 c.p.a., che sottolinea il principio secondo cui spetta alle parti l’onere di fornire la prova dei fatti che sono nella loro disponibilità e che vengono posti a fondamento della pretesa o delle eccezioni.
Ed infatti, nel processo amministrativo, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice approvato con D.Lg. 2 luglio 2010 n. 104 (art. 64, comma 3, codice del processo amministrativo), il sistema probatorio è fondamentalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, il quale comporta l’onere per il ricorrente di presentare almeno un indizio di prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori (ex plurimis: Consiglio Stato, Sez. IV, 11 febbraio 2011 , n. 924).
Ferme le suesposte considerazioni, non avendo parte ricorrente fornito alcuna ricostruzione delle vicende intervenute successivamente alla adozione della citata ordinanza cautelare ed avendo egli solo genericamente affermato che altri colleghi siano stati assunti tempestivamente, il Collegio non ritiene quindi di dover disporre incombenti istruttori volti a colmare tali carenze, che si risolverebbero in una attività di supplenza del Collegio a precisi oneri ricadenti sulla parte ricorrente, nella specie non adempiuti.
Alla luce di tali considerazioni il ricorso va quindi rigettato.
Quanto alle spese dei giudizi introdotti con gli esaminati ricorsi, come sopra riuniti, ritiene il Collegio, in relazione alla natura della controversia e della parziale reciproca soccombenza, di disporne l’integrale compensazione tra le parti
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, così statuisce:
– dispone la riunione dei ricorsi;
– accoglie il ricorso N. 3616/2000 R.G. e, per l’effetto, annulla il gravato provvedimento;
– rigetta il ricorso N. 8576/2001 R.G.;
– rigetta il ricorso N. 8779/2001 R.G.;
– compensa tra le parti le spese dei giudizi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.