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Annullamento riconoscimento anzianità assoluta e decorrenza assegni; risarcimento danni

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3838 del 2011, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Erennio Parente e Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Carlo Parente Zamparelli in Roma, via Emilia, 81;

contro

Ministero della Giustizia – Dap, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

riconoscimento anzianità assoluta e decorrenza assegni alla data dell’effettivo incorporamento nei ruoli degli agenti di polizia penitenziaria – risarcimento danni

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia – Dap;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2020 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe, depositato in data 5.09.2011, parte ricorrente chiede l’annullamento dell’atto di inquadramento nei ruoli degli agenti ed assistenti di Polizia Penitenziaria, nella parte in cui non gli attribuisce anzianità assoluta e decorrenza assegni pari a quella degli agenti di Polizia Penitenziaria non esclusi dalla graduatoria formata ai sensi del decreto legge 5.7.1995, n.269 come successivamente convertito in L. n. 579/1996 e del decreto interministeriale 12 11.1996 e pertanto ammessi all’avviamento al primo corso utile.

Chiede, inoltre, il risarcimento del danno – anche biologico – subìto per effetto del ritardato arruolamento cagionato dall’illegittima esclusione dalla suddetta graduatoria per l’arruolamento in Polizia Penitenziaria, secondo quanto accertato dapprima con sentenza del TAR Lazio n. 7096 del 14 settembre 2000 e quindi con sentenza definitiva del Consiglio di Stato n. 1373/2011.

Ed invero, malgrado parte ricorrente avesse già in data 19.10.1999 diffidato l’Amministrazione Penitenziaria a dare esecuzione all’ordinanza cautelare del T.A.R. Lazio n. 382/1999, reiterando la diffida in data 14.4.2000, con nota del 19 ottobre 2000 il D.A.P., solo all’esito della definizione del giudizio di primo grado preannunciava l’avviamento del ricorrente, genericamente, “alla prossima iniziativa formativa” e, quindi, solo nel mese di febbraio 2001 il ricorrente diveniva agente di Polizia Penitenziaria.

I motivi di censura sono affidati a: violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alle norme sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/90 nonchè per violazione degli artt. 1175, 1375, 1218, 2909 codice civile, anche con riferimento agli artt. 2,3, 4, 36, 97 Cost.; violazione del principio di retroattività del giudicato; nullità per carenza di potere; violazione dell’art. 14 della l. n. 15/2005, che ha introdotto l’art. 21-septies della l. n. 241/1990; violazione dell’art. 2908 c. civ.; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, e in particolare per illogicità, contraddittorietà, sviamento, difetto ed insufficienza di istruttoria, ingiustizia manifesta; violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento; eccesso di potere per disparità di trattamento.

Parte ricorrente, alla luce del comportamento illegittimo dell’amministrazione, propone altresì domanda di risarcimento tanto del danno patrimoniale quanto di quello non patrimoniale, ritenendo sussistenti tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art.2043 c.c.

In particolare, quanto al danno patrimoniale, ritiene che la quantificazione possa essere effettuata, come da giurisprudenza citata in ricorso (ad es.TAR Lazio, sez.I quater, n.2525/2008), avuto riguardo “a una somma corrispondente alla retribuzione, comprensiva della quota di trattamento fine rapporto nonché delle trattenute previdenziali, che lo stesso avrebbe dovuto percepire se fosse stato ammesso al primo corso utile successivo alla pubblicazione della sentenza di primo grado, con esclusione delle indennità e dei compensi per servizi, e frizioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario. Dall’importo così ottenuto vanno decurtati gli emolumenti eventualmente percepiti nel medesimo periodo per prestazioni lavorative svolte aliunde ed altresì va operato un ulteriore abbattimento, nella misura del 30%, calcolata in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., per non aver il Sig. (…) in concreto impegnato le proprie energie a favore dell’Amministrazione. Sul dovuto a titolo di risarcimento del danno, che è debito di valore, spettano inoltre la rivalutazione monetaria e gli interessi nella misura leale, dalle singole scadenze fino al soddisfo”.

Quanto al danno non patrimoniale, biologico ed esistenziale, parte ricorrente argomenta che l’illegittimo comportamento della P.A. è stato fonte di ulteriori e considerevoli danni, posto che la privazione per oltre tre anni di un’occupazione e dei redditi da lavoro ha causato una seria compromissione del suo stile di vita, delle sue aspettative, della sua immagine nei confronti dei familiari e dell’ambiente esterno. Chiede pertanto il risarcimento, sotto il profilo del danno alla vita di relazione, all’immagine, professionale, per perdita di chances non solo di natura biologica, ma soprattutto esistenziale, da liquidarsi nella misura ritenuta opportuna, sulla base degli atti di causa e C.T.U. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio, da distrarsi in favore dei procuratori antistatari.

L’amministrazione si è costituita in giudizio con atto di mera forma e nell’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare, il Collegio rileva, ai sensi dell’art.73 c.p.a., la tardiva impugnazione del provvedimento di inquadramento, sottoposta agli ordinari termini di decadenza di cui al codice del processo amministrativo, atteso che il provvedimento di inquadramento risulta emanato in data 10.02.2001. Più in particolare, il Collegio osserva sul punto che la materia dell’inquadramento nel pubblico impiego si connota per la presenza di atti autoritativi: pertanto, ogni pretesa al riguardo, in quanto radicata su posizioni di interesse legittimo, può essere azionata soltanto mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti che si assumono illegittimamente incidenti su tali posizioni.

Segue, da ciò, che il pubblico impiegato che contesti il proprio inquadramento in una data qualifica o con determinate modalità, ha l’onere di impugnare il relativo provvedimento entro il termine perentorio di decadenza, anche quando egli assume che gli spetta un determinato inquadramento (cfr.ex multis, Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2013, n. 919; III, 18 gennaio 2013, n. 195 e 20 novembre 2012, n. 5881).

In parte qua, il ricorso è pertanto irricevibile.

Va invece accolta in parte, nei limiti di seguito precisati, la domanda di risarcimento del danno, soggetta all’ordinario termine di prescrizione quinquennale dal verificarsi del fatto illecito (senza che l’amministrazione abbia eccepito nulla in proposito).

Al riguardo, va precisato che non può essere accolta, per mancato assolvimento dell’onere della prova con riferimento alla sussistenza del danno- conseguenza, la parte della domanda attinente alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, sotto il profilo del danno esistenziale, del danno all’immagine e del danno da perdita di chances.

Più in particolare, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno esistenziale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore l’onere della prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 27/06/2019, n. 8361). Analogamente è a dirsi per il danno da perdita di chance (cfr., di recente, in materia di rapporto di lavoro privatizzato Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 28/02/2020, n. 5546) e per il danno all’immagine (v. Tribunale Vicenza Sent., 25/07/2018) che, in quanto voci inerenti al danno-conseguenza, non costituiscono profili di danno “in re ipsa” ma vanno allegati e provati.

Per quanto attiene, invece, alla voce di danno patrimoniale da “ritardata assunzione in servizio”, anche di recente la giurisprudenza ha rammentato che nel caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, non può riconoscersi all’interessato il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione. Ciò in quanto detto diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio, con l’effetto che non sono dovute le spettanze economiche facendo leva sul necessario parallelismo fra la decorrenza ai fini giuridici dell’assunzione e la decorrenza ai fini economici.

Relativamente a detto periodo l’interessato può chiedere, ove sussistano gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., il risarcimento del danno ingiusto patito in conseguenza delle illegittimità risalenti agli atti o ai comportamenti dell’amministrazione (T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 05/03/2020, n. 2966). Nel caso in esame, il Collegio ritiene, ai sensi dell’art.64 comma 4 c.p.a.., di attribuire valenza significativa circa la sussistenza di detti elementi – in particolare, quanto all’elemento soggettivo della colpa, essendo per il resto pacifica la sussistenza di condotta, evento, nesso di causalità e danno- dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione con mero atto di forma.

In materia di impiego pubblico, infatti, in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., come nel caso di specie, non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, tale voce, difatti, presuppone “l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e la relativa azione ha natura contrattuale; il lavoratore può, invece, agire o a titolo di responsabilità extracontrattuale, allegando quale danno ingiusto tutti i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all’assunzione tempestiva” (Cass. civ., Sez. Lav., n. 13940/2017).

In altri termini, il danno non può identificarsi direttamente nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione al dipendente, perché queste comunque presuppongono l’avvenuto espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di emolumento che, sinallagmaticamente, presuppone l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio (Cons. Stato Sez. IV, 12/09/2018, n. 5350; Cons. Stato, sez. V, 30 gennaio 2017, n. 370; sez. III, 28 dicembre 2016, n. 5514).

Ai fini della quantificazione del danno risarcibile, quindi, l’entità della mancata percezione erogazione della retribuzione in capo al ricorrente costituirà solo uno, per quanto il principale, dei criteri di determinazione. Si rende, infatti, necessario operare un passaggio ulteriore ed individuare l’ammontare del danno sofferto mediante parametri aggiuntivi di natura equitativa, che la giurisprudenza ha indicato al fine di aggiustare la cifra di importi capaci di cogliere la gravità della condotta della P.A. o le modalità con cui il richiedente ha speso il proprio tempo nel periodo in cui non ha prestato servizio. Il relativo risarcimento non può corrispondere integralmente con le retribuzioni perse nel corrispondente periodo, per la semplice ragione che – non avendo espletato attività lavorativa a favore dell’ente – il ricorrente non può vedersi riconosciuta l’intera retribuzione.

Per consolidato orientamento della giustizia amministrativa, il danno maturato in fattispecie analoghe di ritardata costituzione del rapporto di impiego (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 08 ottobre 2018, n. 5762; Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5350; sez. VI, 17 febbraio 2017, n. 730; sez. V, 27 marzo 2013, n. 1773; sez. IV, 11 novembre 2010, n. 8020; sez. III, 4 giugno 2013, n. 3049) va liquidato in via equitativa e tenendo, altresì, conto del fatto che l’interessato, nel periodo in questione, non ha comunque svolto attività lavorativa in favore dell’amministrazione che avrebbe dovuto assumerlo.

La base di calcolo di detta quantificazione è rappresentata dall’ammontare del trattamento economico netto non goduto (ossia con esclusione di ogni voce retributiva diversa e ulteriore allo stipendio tabellare, in quanto tali voci sono comunque correlate, direttamente o almeno indirettamente, allo svolgimento di quell’attività lavorativa che in effetti non c’è stata), ma tale importo deve essere sottoposto ad una percentuale di abbattimento, la quale non può che essere quantificata equitativamente ai sensi dell’art. 1226, cod. civ. (Cons. Stato Sez. III, 22/02/2019, n. 1230).

A parere del Collegio, dunque, il danno va stimato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., e può essere quantificato nel 60% della retribuzione (al netto di oneri fiscali e previdenziali) che la parte avrebbe potuto percepire ove fosse stata tempestivamente assunta ed immessa in servizio. Il periodo di riferimento va dalla data in cui il ricorrente avrebbe dovuto prendere servizio fino a quella di effettiva presa di servizio. Alla somma così determinata dovranno essere aggiunti gli interessi, da calcolarsi sulla somma via via rivalutata.

All’importo risarcitorio va comunque sottratto l’eventuale aliunde perceptum derivante da altra attività lavorativa svolta dal ricorrente nel periodo in esame e, a tal fine, il ricorrente è onerato di produrre al Ministero dell’Interno, che peraltro potrà autonomamente acquisirla dall’Amministrazione finanziaria, la dichiarazione dei redditi del periodo in questione, salvo che non dichiari di non aver percepito alcun reddito, o altra idonea documentazione.

Per quello che riguarda le modalità di liquidazione dell’obbligazione risarcitoria, la Sezione ritiene di poter far ricorso, in mancanza di opposizione delle parti, al meccanismo previsto dall’art. 34, 4 comma c.p.a.: il Ministero dell’Interno dovrà pertanto proporre al ricorrente, a titolo di risarcimento del danno ed entro 30 (trenta) giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri indicati in sentenza.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e devono essere liquidate, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara irricevibile e in parte lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, ordina ex art. 34, comma 4, c.p.a. al Ministero dell’Interno di proporre al ricorrente, a titolo di risarcimento del danno ed entro 30 (trenta) giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri indicati in sentenza.

Condanna il Ministero dell’Interno alla corresponsione al ricorrente delle spese di giudizio quantificate nella somma di Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.