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Silenzio-rifiuto trasferimento legge 104/92

Sentenza

sul ricorso n. 10522 del 2007, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giovanni Carlo Parente e Donatella Parente ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei difensori, situato in Roma, via Emilia n. 81;

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t.;

il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in persona del Capo Dipartimento p.t.;

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

del silenzio-rifiuto formatosi a seguito del mancato adempimento all’atto di diffida e costituzione in mora notificato in data 21 settembre 2007, con cui il ricorrente ha invitato la resistente Amministrazione a trasferirlo presso la sede richiesta, nonché di ogni eventuale provvedimento, ancorché non conosciuto, connesso o conseguente;

e per la declaratoria

del diritto del ricorrente ad ottenere un provvedimento esplicito;

Visto il ricorso con la relativa documentazione;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti le memorie ed i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 17 dicembre 2007 il Primo Referendario Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori della parte come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

Fatto e Diritto

  1. Espone il ricorrente:

– di essere agente del Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio presso la sede di Milano San Vittore;

– che, in seguito all’ “interpello nazionale trasferimenti anno 2004”, presentava domanda di trasferimento presso la sede di Sant’Angelo dei Lombardi;

– che veniva disposto il trasferimento presso detta sede di 61 unità di personale, di cui 50 nel ruolo agenti ed assistenti;

– di essersi posizionato al 58° posto nella graduatoria;

– che, ritenendo di poter pretendere il trasferimento in esito a intervenute rinunce e promozioni, con atto di diffida notificato all’Amministrazione in data 21 settembre 2007 “chiedeva che venisse disposto il richiesto trasferimento o che fossero comunicate le ragioni impeditive all’accoglimento della domanda”;

– che, nonostante le descritte premesse, l’Amministrazione non adottava alcun provvedimento.

Dato atto del perdurare dell’inadempimento, il ricorrente lamenta l’illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione, deducendo i seguenti motivi:

Violazione dell’art. 2 della legge n. 241/90 – Violazione dell’art. 17, comma 1, della legge n. 59/1997 – Violazione delle norme sul procedimento amministrativo; Violazione dei principi di correttezza dell’azione amministrativa; Eccesso di potere per carenza ed illogicità della motivazione; Ingiustizia manifesta.

In conclusione, il ricorrente afferma il proprio diritto ad una pronuncia esplicita dell’Amministrazione, il cui contenuto deve avere carattere positivo.

Con atto depositato in data 12 dicembre 2007 si è costituito il Ministero della Giustizia, il quale – nel prosieguo e precisamente in data 14 dicembre 2007 – ha, tra l’altro, depositato una memoria, i cui contenuti possono essere così sintetizzati:  – la collocazione iniziale del ricorrente nella graduatoria definitiva per l’anno 2004, peraltro scaduta il 30 giugno 2006, è al posto n. 65 e non al posto n. 58; – l’Amministrazione non è rimasta inerte in quanto in data 15 ottobre 2007 ha emesso altri due decreti di trasferimento per Sant’Angelo dei Lombardi, relativi ad altro personale che riveste posizioni più alte nella graduatoria interpello 2005 rispetto a quella rivestita dal ricorrente.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla camera di consiglio del 17 dicembre 2007.

  1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto nei limiti di ragione di cui appresso si dirà.

2.1. Rileva il Tribunale che gli elementi tradizionalmente ritenuti necessari per la formazione del silenzio-rifiuto (altrimenti definito silenzio-inadempimento o silenzio non tipizzato) sono i seguenti: 1) esistenza di un obbligo di provvedere per l’Amministrazione; 2) atto di diffida giudizialmente notificato ad avvenuta decorrenza del termine prescritto per provvedere; 4) perdurante inerzia dell’Amministrazione successivamente al decorso di trenta giorni dalla notificazione della diffida.

Con riferimento alla necessità della diffida, occorre rilevare che sulla materia ha inciso la legge n. 15/2005, la quale ha introdotto il comma 4 bis dell’art. 2 della legge n. 241/1990 (divenuto “comma 5”, in seguito alle modifiche introdotte dal d.l. n. 35/05, conv. L. n. 80/05).

Tale norma così dispone: “Decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3 , il ricorso avverso il silenzio, ai sensi dell’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’Amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3. E’ fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”.

Quanto all’obbligo di provvedere, va in primo luogo tenuto presente il disposto dell’articolo 2 della legge n. 241/1990, secondo il quale la p.a. deve concludere il procedimento con provvedimento espresso; tale obbligo sussiste nei casi di procedimento ad iniziativa privata tipizzata (“ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza”) e di procedimento ad iniziativa di ufficio (quando esso “debba essere iniziato di ufficio”).

Va, poi, evidenziato che l’originario orientamento restrittivo della giurisprudenza, in base al quale il silenzio può formarsi solo ove un obbligo giuridico di provvedere derivi da una norma di legge, da un regolamento o da un atto amministrativo (cfr. Cons. Stato, A.P., 10-3-1978, n. 10; VI, 27-3-1984, n. 180), è stato sottoposto a rivisitazione critica da parte di pronunce più recenti, le quali hanno affermato che tale obbligo non deve necessariamente derivare da una disposizione puntuale e specifica, ma può desumersi anche da prescrizioni di carattere generico e dai principi generali regolatori dell’azione amministrativa.

Sicché esso può originare dal rispetto del principio di imparzialità, quando, ad esempio, si chieda il riesame di un atto inoppugnabile (situazione che ordinariamente non determina l’esistenza di un obbligo di provvedere), nel caso in cui, in ragione di un mutato orientamento dell’Amministrazione, sia stata modificata in melius la posizione di altri soggetti che si trovino in situazioni analoghe (cfr. Cons. Stato, IV, 14-11-1986, n.730).

Può, ancora, trovare fondamento nel principio di buon andamento dell’azione amministrativa, nel caso in cui l’Amministrazione, con il suo comportamento, abbia ingenerato un qualche affidamento in capo al privato, sia che il procedimento amministrativo non sia stato ancora avviato, sia che lo stesso abbia avuto inizio a seguito della istanza dell’interessato (cfr. TAR Abruzzo, 16-7-1990, n.360; TAR Lazio, 26-1-1991, n.83).

Una ulteriore fonte dell’obbligo di provvedere è stata, infine, individuata nel principio di legalità dell’azione amministrativa.

In conclusione, può affermarsi che oggi, a prescindere dall’esistenza di uno specifica disposizione normativa impositiva dell’obbligo, la giurisprudenza ritiene il medesimo sussistente in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento (cfr. Cons. Stato, V, 15-3-1991, n.250); quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) di quest’ultima (cfr. Cons.Stato, V, 22-11-1991, n.1331).

Quanto all’oggetto del procedimento giurisdizionale sul silenzio, ritiene il Collegio che questo, nella configurazione acceleratoria stabilita dall’articolo 21 bis della legge n. 1034/1971 (introdotto dall’art. 2 della legge n.205/2000), sia, in via generale, la verificazione dell’esistenza o meno di un obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione e non anche l’esame della fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente (che, come di seguito si vedrà, costituisce ipotesi eccezionale).

Depongono in favore di tale soluzione interpretativa la fissazione di termini brevi per la definizione del ricorso (trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito ovvero dalla data fissata per gli adempimenti istruttori eventualmente disposti) e la peculiarità degli ulteriori incombenti procedurali (decisione in camera di consiglio, sentenza succintamente motivata); elementi tutti che conducono univocamente a ritenere che la finalità perseguita dal legislatore sia stata essenzialmente quella di ottenere nel più breve tempo possibile una determinazione espressa dell’Amministrazione conclusiva del procedimento (a prescindere dal suo contenuto), sulla quale, poi, eventualmente innestare un’azione finalizzata alla tutela giurisdizionale dell’interesse sostanziale di titolarità.

Ed, invero, lo stesso articolo 21 bis prevede, al comma 2, che il giudice, in caso di totale o parziale accoglimento del ricorso, ordini all’Amministrazione di “provvedere”, utilizzando volutamente un termine generico, riferito all’attività dovuta e non anche allo specifico contenuto di essa.

Non costituisce, invece, regola generale il potere del giudice di conoscere della fondatezza dell’istanza, atteso che l’esercizio del medesimo è da ritenere normativamente rimesso alla discrezionalità dell’organo giudicante (il comma 5 dell’articolo 2 della legge n. 241/1990, come risultante dalle modifiche normative introdotte dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005, prevede, infatti che “ il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza”).

La possibilità di verificare nel merito la fondatezza della pretesa attorea è, dunque, demandata al prudente apprezzamento del giudice. Non potendosi, al riguardo, ipotizzare scelte meramente arbitrarie, possono costituire criteri guida per la corretta attività dell’organo giurisdizionale i principi elaborati dalla giurisprudenza.

Sicché, può in conclusione affermarsi che oggetto della decisione debba essere unicamente l’acclaramento dell’esistenza di un obbligo di provvedere e che il giudice può spingersi fino all’accertamento della pretesa sostanziale non semplicemente quando l’amministrazione debba porre in essere un’attività vincolata (si veda, nel previgente regime, Cons. Stato, V, 15-3-1991, n.250), ma unicamente nel caso in cui, in presenza di attività vincolata, la fondatezza della pretesa appaia ictu oculi e di immediata evidenza, risultando solo in tale ipotesi, anche con riferimento alla ratio ed alle caratteristiche del nuovo istituto processuale previsto dall’articolo 21 bis, irragionevole e contrario a principi di economia processuale rimettere ad un successivo giudizio la definizione di una controversia allo stato già risolvibile (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, n. 2293 del 3 aprile 2006).

2.2. Venendo ora all’esame della fattispecie concreta oggetto di causa e facendo applicazione dei principi sopra illustrati, risulta la fondatezza del ricorso, nei limiti di seguito precisati.

Sussiste certamente un obbligo di provvedere sulla richiesta del ricorrente, la quale palesa l’interesse ad ottenere la definizione della procedura di mobilità nei modi e nei termini reputati corretti ovvero l’esposizione delle ragioni che l’Amministrazione ritiene “ostative al trasferimento”.

In altri termini, in presenza di istanze del tipo di quelle in esame, così come formalmente rappresentate nell’atto di diffida e messa in mora, idonee a configurare una situazione soggettiva qualifica e differenziata, l’Amministrazione deve ritenersi chiamata ad attivarsi attraverso l’adozione di un provvedimento di trasferimento ovvero – nell’eventualità non ravvisi gli estremi per la disposizione del trasferimento richiesto – deve ritenersi tenuta a spiegarne esplicitamente le ragioni per mezzo di un motivato diniego, per insussistenza e/o diversa configurazione dei fatti e delle circostanze segnalati.

Del resto, non può dubitarsi che l’individuazione di un tale obbligo risponde a sicure esigenze di giustizia sostanziale, le quali impongono l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione, “in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia” (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 2318 del 2007).

In definitiva, va ravvisato l’obbligo di concludere il procedimento con atto espresso e motivato (a prescindere dal contenuto del medesimo).

Attesi i rilievi formulati dall’Amministrazione, preme, ancora, precisare che nessun pregio giuridico può essere riconosciuto alla circostanza che “la graduatoria per la sede di Sant’Angelo dei Lombardi elaborata per l’interpello nazionale” anno 2004 “sia scaduta”, in quanto va, comunque, riscontrata la conservazione da parte del ricorrente di un interesse alla decisione del ricorso, quanto meno ai fini della dichiarazione dell’esistenza o meno di un obbligo di provvedere sull’istanza da lui presentata (cfr. C.d.S., sentenza già citata).

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto con conseguente declaratoria della illegittimità del silenzio serbato dal Ministero della Giustizia e conseguente emanazione dell’ordine di provvedere.

Trattandosi, peraltro, di attività amministrativa che richiede la valutazione di elementi istruttori peculiari, che nella presente sede non è possibile né opportuno vagliare, l’ordine di questo Tribunale, conseguente all’accoglimento del ricorso, va limitato al mero esercizio dell’attività provvedimentale, non essendovi spazio in questa sede per la definizione della pretesa sostanziale vantata; quest’ultima è, invero, rimessa al momento successivo (ed eventuale) della impugnativa del provvedimento espresso, ove non satisfattorio degli interessi di cui il ricorrente è titolare.

  1. In conclusione, il ricorso è fondato con esclusivo riferimento all’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione e va accolto nei limiti di quanto evidenziato.

Di talché, deve ordinarsi al Ministero della Giustizia di adottare un provvedimento espresso in esito alle istanze del ricorrente entro un termine non superiore a trenta (30) giorni dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione, se anteriore, della presente sentenza.

In caso di perdurante inerzia, il Tribunale si riserva di nominare, su richiesta dell’interessato, un Commissario ad acta che provveda in luogo dell’Amministrazione.

Per quanto attiene alle spese di lite, il Collegio ritiene che le stesse debbano seguire la soccombenza ed essere liquidate a favore del ricorrente in Euro 500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I quater, pronunciando ai sensi dell’art. 21 bis della legge n. 1034/1971, aggiunto dall’art. 2 della legge n. 205/2000, accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione il ricorso n. 10522/2007 e, per l’effetto:

  • dichiara illegittimo il silenzio serbato dal Ministero della Giustizia sulla diffida notificata in data 21 settembre 2007;
  • ordina al Ministero della Giustizia di provvedere, con atto espresso e motivato, nel termine di trenta (30) giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione, se anteriore, della presente sentenza.

Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del ricorrente in Euro 500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.