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Negazione passaggio in ruolo agente Polizia Penitenziaria e collocazione in congedo; non attribuzione anzianità assoluta e decorrenza assegni

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7539 del 1998, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Carlo Parente, presso lo studio del quale elettivamente domicilia in Roma, via Emilia, n. 81;

contro

Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

per l’annullamento:

– del decreto ministeriale notificato il 3 aprile 1998, con il quale al ricorrente è stato negato il passaggio nel ruolo degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria, collocandolo, per l’effetto, in congedo (ricorso);

– dell’atto di inquadramento nei ruoli degli agenti in servizio permanente della polizia penitenziaria, laddove riconosce al ricorrente anzianità assoluta e decorrenza assegni dalla data del passaggio nei suddetti ruoli del s.p. e, in ogni caso, nella parte in cui non gli attribuisce anzianità assoluta e decorrenza assegni dalla data di inquadramento quale agente ausiliario di leva, con domanda di riconoscimento del diritto alla restitutio in integrum, ai fini giuridici ed economici, dalla data dell’illegittima esclusione dal passaggio in servizio permanente nel ruolo, nonché, in via subordinata, del diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’illegittimo comportamento della resistente amministrazione (motivi aggiunti);

 

Visto il ricorso:

Visto l’atto di proposizione di motivi aggiunti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 23 marzo 2011 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 2 giugno 1988, depositato il successivo 12 giugno, l’istante ha esposto di essersi arruolato, in sostituzione del servizio di leva, quale ausiliario nel Corpo degli agenti di polizia penitenziaria il 25 marzo 1996, venendo ammesso, al termine del servizio obbligatorio, all’ulteriore ferma di un anno, ex art.5, comma 7, del d. lgs. 30 ottobre 1992, n. 443. Avendo conseguito il giudizio di “buono” nell’anno 1996, otteneva la rafferma annuale, ma si vedeva respingere, al termine dell’anno successivo, la domanda di immissione nel ruolo degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria, nonostante anche per il 1997 avesse conservato il medesimo giudizio di “buono”.

Il ricorrente ha indi domandato l’annullamento del predetto provvedimento di diniego, notificato il 3 aprile 1998, avverso il quale ha formulato le doglianze di seguito illustrate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto:

1) eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà – inesistenza dei presupposti – difetto di istruttoria e totale travisamento dei fatti – carenza assoluta di motivazione ed incongruità della stessa – sviamento – ingiustizia manifesta. A fronte dei favorevoli giudizi ottenuti nel corso della carriera, il diniego ha tenuto conto del solo parere contrario del 6 marzo 1998 espresso dalla Direzione della Casa Circondariale di Cuneo, sede di servizio del ricorrente, che, peraltro, solo poco prima (10 gennaio 1998), aveva confermato il giudizio positivo. Tale parere e incoerente ed illogico, poiché adduce “negligenze compiute in servizio”senza la sussistenza di sanzioni disciplinari. Richiesta di fornire ulteriori motivazioni, la C.C. di Cuneo faceva riferimento ad episodi lievi e risalenti (rinvenuto addormentato in servizio, dicembre 1996; essere stato sorpreso in atteggiamento assente, agosto 1997), che, alla data del parere, non solo non avevano dato luogo ad alcuna sanzione disciplinare (poi adottata oltre la data di cessazione dal servizio), ma non avevano neanche influito sul giudizio di “buono” ottenuto per gli anni 1996 e 1997;

2) violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241. Il ricorrente non è stato posto nelle condizioni di partecipare al procedimento amministrativo conclusosi con la impugnata determinazione.

L’intimata amministrazione si è costituita in resistenza senza formulare specifiche difese.

Con ordinanza n. 8 luglio 1998, n. 1966, la Sezione ha accolto la domanda cautelare formulata in uno al ricorso.

Con atto di motivi aggiunti, notificati il 19 marzo 2010 e depositati il 29 marzo successivo, parte ricorrente ha domandato l’annullamento dell’ignoto atto di inquadramento nei ruoli degli agenti in servizio permanente della polizia penitenziaria, laddove riconosce al ricorrente anzianità assoluta e decorrenza assegni dalla data del passaggio nei suddetti ruoli del s.p. e, in ogni caso, nella parte in cui non gli attribuisce anzianità assoluta e decorrenza assegni dalla data di inquadramento quale agente ausiliario di leva.

Al riguardo, parte ricorrente ha rappresentato che, in esecuzione dell’ordinanza cautelare sopra citata, l’amministrazione lo ha immesso in ruolo con atto non cognito, con decorrenza giuridica ed economica 21 settembre 1998, ovvero sei mesi dopo la cessazione dal servizio (25 marzo 1998).

Ciò posto, il ricorrente ha rappresentato che la mancata ammissione al passaggio in s.p. è frutto di un disegno vessatorio posto in essere nei suoi confronti dal direttore della C.C. di Cuneo, come ritiene attestato: dalla circostanza che la sanzione irrogata per le infrazioni menzionate nell’atto introduttivo del giudizio, dopo la cessazione dal servizio, è stata annullata con sentenza del Tar Piemonte n. 550 del 2004, che ha accertato l’intervenuta estinzione del procedimento disciplinare prima della sua conclusione; dal parere personale 24 aprile 1998 espresso dal Comandante di reparto, che collocava le predette “…piccole infrazioni…” in un processo di maturazione della professionalità che lo avrebbe portato ad essere “…un buon agente…”; dal progressivo incremento del suo rendimento, giunto sino al giudizio di “ottimo” dal 2004, anche in connessione al trasferimento di sede (dalla C.C. di Cuneo a quella di Alessandria).

Alla predetta domanda demolitoria il ricorrente ha unito domanda di accertamento del proprio diritto alla retrodatazione della carriera alla data dell’illegittima esclusione, e, per essa, alla data di arruolamento quale agente ausiliario di leva, nonché di riconoscimento del diritto alla restitutio in integrum, ai fini giuridici ed ai fini economici, relativamente ai mesi (aprile-settembre 1998) durante i quali non ha potuto proseguire nel servizio per effetto della determinazione impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio.

In via subordinata, il ricorrente ha domandato il risarcimento dei danni patrimoniali derivanti dalla ingiusta privazione della retribuzione, comprensiva di indennità ed accessori, a far data dall’illegittima esclusione e fino al giorno dell’effettivo reintegro nei ruoli, commisurato alle retribuzioni non percepite, nonché del danno non patrimoniale, biologico ed esistenziale.

In punto di diritto, parte ricorrente ha dedotto violazione delle norme sul processo amministrativo, degli artt. 1175, 1375, 1218, 2909 c.c., anche con riferimento agli artt. 2, 3, 4, 36 e 97 Cost., dell’art. 5, comma 8, del d.lgs. 443/92, violazione del principio di retroattività del giudicato, nullità per carenza di potere, violazione dell’art. 14 della l. n. 15 del 2005, dell’art. 2908 c.c., eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed, in particolare, illogicità, contraddittorietà, sviamento, difetto e insufficienza di istruttoria, ingiustizia manifesta, violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, eccesso di potere per disparità di trattamento.

L’amministrazione ha eccepito la tardività dei motivi aggiunti, rappresentando che l’atto di reintegro in servizio, con riserva e sino all’esito del giudizio amministrativo, ivi fatto oggetto di impugnazione, è il decreto 9 settembre 1998, notificato al ricorrente in data 11 settembre 1998. L’amministrazione ha inoltre eccepito la inammissibilità della proposta domanda di accertamento, sia perché attinente ad una posizione di interesse legittimo, sia perché tale posizione non è stata tempestivamente azionata in giudizio dopo la riammissione. Ha infine sostenuto la infondatezza nel merito del gravame, e segnatamente la insussistenza dei presupposti del danno ingiusto, domandandone il rigetto.

Il ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive.

Il gravame è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 23 marzo 2011.

DIRITTO

1. Il ricorrente presentava istanza, ai sensi del comma 7 dell’art. 5 del d. lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, per poter prestare il servizio militare di leva come ausiliario nel Corpo di polizia penitenziaria, con vincolo corrispondente alla normale durata della ferma di leva, nell’anno 1996/1997. Terminato il periodo di leva, presentava istanza, ai sensi della stessa disposizione, per essere trattenuto in servizio per un altro anno. La richiesta veniva assentita dall’amministrazione. Al termine del secondo anno di servizio, sempre ai sensi della ridetta disposizione, il ricorrente presentava istanza per essere definitivamente immesso nel ruolo degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria, previa frequenza del corso di cui al comma 2 dell’articolo 6 del d. lgs. 443/92.

Con decreto del Ministero della giustizia, notificato il 3 aprile 1998, detta ultima istanza non veniva accolta, rilevandosi da parte dell’amministrazione la carenza del requisito essenziale del “lodevole servizio”, cui la norma subordina la richiesta immissione.

Mediante l’atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente lamenta, tra altro, l’illogicità, la contraddittorietà e la carenza di motivazione di tale decreto, fondato integralmente sul parere contrario del 6 marzo 1998 espresso dalla Direzione della Casa Circondariale di Cuneo, sede di servizio del militare, che solo poco prima (10 gennaio 1998), aveva confermato nei riguardi del ricorrente, per il 1997, il giudizio di “buono”, già conseguito anche per il 1996.

2. La doglianza è fondata.

Il gravato decreto perviene al rigetto dell’istanza del ricorrente tenendo conto esclusivamente del parere sfavorevole per l’immissione in servizio formulato dalla Direzione della Casa Circondariale di Cuneo.

Tale parere, però, anche tenendo conto della circostanza che, in sede di rapporti informativi relativi agli anni 1996 e 1997, versati in atti, il ricorrente aveva riportato i giudizi di “buono” – neanche menzionati in decreto – risulta del tutto insufficiente ad integrare compiuta motivazione della negativa determinazione adottata, non esponendo adeguatamente l’iter logico in forza del quale l’amministrazione è pervenuta alla contestata determinazione.

In particolare, tale non è il primo segmento del parere, formulato, secondo quanto risulta dal gravato decreto, nei seguenti termini: “In passato -OMISSIS- è stato più volte accusato di negligenze compiute in servizio, ma la considerazione della sua giovane età e la sua inesperienza avevano giustificato forme di indulgenza nei suoi confronti consistenti nel non dar seguito, con l’applicazione di sanzioni, ai procedimenti disciplinari. Tuttavia spiace constatare che, nonostante l’immissione al trattenimento in servizio per altro anno, durante il corso dello stesso egli ha compiuto infrazioni ben più gravi di quelle contestategli in precedenza deludendo l’aspettativa dello scrivente di miglioramenti comportamentali”.

Infatti, dette affermazioni risultano sommamente generiche sia nella esposizione delle negligenze asseritamente contestate al militare nel passato, sia in relazione a quelle relative all’ultimo anno di servizio, laddove, invece, soprattutto queste ultime avrebbero dovuto formare oggetto di specifica considerazione, tenuto conto, in particolare, del fatto che il rapporto informativo per l’anno 2007, recante come già precisato il giudizio di “buono”, era di poco antecedente (10 gennaio 1998) alla data di resa del parere (6 marzo 1998), di talchè non è dato comprendere perché in quest’ultimo siano confluiti elementi di valutazione rimasti totalmente estranei al primo.

Tant’è che la stessa amministrazione centrale richiedeva al Direttore della C.C. di Cuneo di motivare adeguatamente il parere sfavorevole, indicando espressamente le infrazioni commesse dal ricorrente per le quali erano in corso i procedimenti disciplinari.

A tale richiesta, la Direzione della C.C. di Cuneo rispondeva nei seguenti termini, sempre secondo quanto riporta l’atto impugnato: “l’agente ausiliario, durante il primo anno, è stato stimolato ed incoraggiato ad una maggior applicazione, sia dallo scrivente che dall’Ispettore Comandante di Reparto. A tali sollecitazioni, -OMISSIS-, lungi dal rispondere positivamente, poneva in essere per ben due volte gravi negligenze sul servizio, consistenti nell’essere stato prima rinvenuto addormentato mentre era di servizio, ed in seguito, espletante servizio di sentinella, sorpreso in atteggiamento assente”.

Ma neanche tale integrazione può ritenersi idonea a sorreggere l’adottato diniego, essendo evidente che le riferite negligenze, non risultanti allo stato fatte constare mediante provvedimento disciplinare, non solo non assumono la consistenza di rilievi idonei ad oscurare i giudizi favorevoli, ancorchè non ottimali, già resi con carattere di continuità sull’operato del ricorrente, e, pertanto, a sorreggere il giudizio di non lodevole servizio necessario ai fini dell’ammissione in s.p.,ma si pongono, anzi, con essi in palese contraddittorietà.

Di talche, non trova adeguata conferma, ovvero risulta contraddittoria con altri atti provenienti dalla stessa amministrazione, la conclusione assunta dal gravato decreto che, dai soli elementi recati dal citato parere 6 marzo 1998, desume che il ricorrente non sia in possesso del requisito di “lodevole servizio” ai fini dell’immissione definitiva nei ruoli dell’amministrazione penitenziaria.

Non appare, comunque, superfluo rilevare che la sanzione della censura nel prosieguo irrogata al ricorrente con atto del 17 aprile 1998, ovvero successivamente alla disposta cessazione dal servizio, in relazione ad una infrazione commessa il 26 dicembre 1996 (consistente nel rimanere seduto al cambio di guardia), con contestazione dell’addebito avvenuto in data 6 giugno 1997, è stata annullata con sentenza del Tar Piemonte n. 550 del 2004, per superamento del termine di 90 giorni di cui all’art. 120 del t.u. 3/1957 tra un atto e l’altro del procedimento.

Non può neanche non rilevarsi che, nelle more del giudizio, il ricorrente risulta essere stato immesso provvisoriamente nei ruoli dell’amministrazione, in esecuzione dell’ordinanza della Sezione 8 luglio 1998, n. 1966, che ha accolto la domanda cautelare formulata in uno al ricorso, ed ha visto un progressivo incremento della valutazione del suo rendimento, giunto sino al giudizio di “ottimo” dall’anno 2004, come attestato dagli atti versati dall’interessato al fascicolo di causa.

Indi, in accoglimento della predetta doglianza, di carattere assorbente, va disposto l’annullamento del gravato decreto di diniego di ammissione del ricorrente nei ruoli dell’amministrazione penitenziaria.

3. Con motivi aggiunti interposti con atto notificato nel marzo 2010 parte ricorrente ha domandato l’annullamento del già sopra menzionato atto che, in esecuzione dell’ordinanza cautelare della Sezione a lui favorevole, lo ha inquadrato nei ruoli degli agenti in s.p. della Polizia penitenziaria, con decorrenza giuridica ed economica 21 settembre 1998, ovvero sei mesi dopo la cessazione dal servizio (25 marzo 1998).

In relazione a tale atto, parte ricorrente lamenta il mancato riconoscimento dell’anzianità assoluta e la mancata decorrenza degli assegni dalla data di inquadramento quale agente ausiliario di leva.

Alla detta domanda demolitoria il ricorrente ha inoltre fatto seguire domanda di accertamento del proprio diritto alla retrodatazione della carriera alla data dell’illegittima esclusione, e, per essa, alla data di arruolamento quale agente ausiliario di leva, nonché di riconoscimento del diritto alla restitutio in integrum, ai fini giuridici ed ai fini economici, relativamente ai mesi (aprile-settembre 1998) durante i quali non ha potuto proseguire nel servizio per effetto della determinazione impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio.

In via subordinata, il ricorrente ha domandato il risarcimento dei danni patrimoniali derivanti dalla ingiusta privazione della retribuzione, comprensiva di indennità ed accessori, a far data dall’illegittima esclusione e fino al giorno dell’effettivo reintegro nei ruoli, commisurato alle retribuzioni non percepite, nonché del danno non patrimoniale patito (biologico ed esistenziale).

Al riguardo, osserva il Collegio che parte ricorrente, da un lato, si duole dello specifico contenuto dell’atto di inquadramento in parola, che, alla luce delle censure dedotte, mostra di ben conoscere nei suoi aspetti lesivi, dall’altro espone che tale atto non gli è cognito, tant’è che non provvede, nei motivi aggiunti, né ad individuarlo nei suoi estremi formali né a versarlo in atti di causa.

Va anche osservato che l’amministrazione resistente ha eccepito, tra altro, la tardività dei motivi aggiunti, rappresentando che l’atto di reintegro in servizio, con riserva e sino all’esito del giudizio amministrativo, è il decreto 9 settembre 1998, notificato al ricorrente in data 11 settembre 1998 e rimasto inoppugnato sino alla scadenza del termine decadenziale per la sua impugnazione.

Tanto considerato, ritiene il Collegio che le questioni poste con i mezzi aggiunti non possano trovare favorevole considerazione.

In particolare, per un verso, deve osservarsi le censure dedotte avverso l’atto di inquadramento intervenuto nelle more del giudizio si palesano tardive, secondo quanto rappresentato dall’amministrazione resistente.

Infatti, il provvedimento di inquadramento di pubblici dipendenti è atto autoritativo e, come tale, soggetto a termine decadenziale di impugnazione, con la conseguenza che non è ammissibile un’azione volta all’ottenimento di un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta avverso il provvedimento di attribuzione della qualifica né è ammesso un autonomo giudizio di accertamento in funzione di disapplicazione di provvedimenti dell’amministrazione, atteso che l’azione di accertamento è esperibile a tutela di un diritto soggettivo, laddove la posizione del pubblico dipendente a fronte della potestà organizzatoria della pubblica amministrazione è quella di titolare di un mero interesse legittimo (giurisprudenza consolidata; da ultimo, C. Stato, V, 28 febbraio 2011, n. 1251). In altre parole, in considerazione del fatto che la materia dell’inquadramento nel pubblico impiego si connota per la presenza di atti autoritativi, ogni pretesa al riguardo, ivi comprese quelle di natura economica, in quanto radicata su posizioni di interesse legittimo, può essere azionata solo mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti che si assumono illegittimamente incidenti su tali posizioni (Tar Lazio, Roma, I, 13 gennaio 2011, n. 187).

Per altro verso, va anche osservato che il provvedimento di reintegro, che l’amministrazione riferisce essere stato adottato con riserva, ovvero sino all’esito del giudizio amministrativo, non avendo carattere di stabilità, perché destinato, nella dinamica di attuazione del deliberato cautelare prescelta dall’amministrazione, ad essere sostituito da altro atto all’esito del giudizio, in scioglimento della predetta riserva, non appare neanche suscettibile di arrecare quella lesione definitiva della posizione giuridica del ricorrente, che si assume avvenuta nei mezzi aggiunti.

4. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla domanda demolitoria introdotta con l’atto introduttivo del giudizio, disponendosi, per l’effetto, l’annullamento del decreto di diniego di ammissione del ricorrente nei ruoli dell’amministrazione penitenziaria indicato in epigrafe.

La reciproca soccombenza rende equa la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie parzialmente, nei sensi di cui in motivazione, disponendo, per l’effetto, l’annullamento del decreto di diniego di ammissione del ricorrente nei ruoli dell’amministrazione penitenziaria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.