SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4195 del 2000, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Erennio Parente e Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso Erennio Parente in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 8489 del 2001, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Erennio Parente e Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso Erennio Parente in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 8794 del 2001, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Erennio Parente e Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso Erennio Parente in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 3119 del 2002, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Erennio Parente e Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso Erennio Parente in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 6172 del 2003, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Erennio Parente e Giovanni Carlo Parente, con domicilio eletto presso Erennio Parente in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12
per l’annullamento:
quanto al ricorso n. 4195/2000:
– del provvedimento del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – Ufficio Centrale del Personale – Div. III – sez. C – prot. n. 46/DIF, datato 31.1.2000, e notificato al ricorrente in data 3.2.2000, con cui veniva comunicata l’esclusione del ricorrente dalla graduatoria per superato limite di età;
– di tutti gli atti a tale deliberazione comunque connessi, coordinati e conseguenti, e segnatamente del Decreto Interministeriale datato 12.11966, (G.U. serie speciale n. 96 del 3.12.1996), regolante le modalità per l’accertamento dei requisiti per l’assunzione nel Corpo della Polizia penitenziaria;
quanto al ricorso n. 8489 del 2001:
– per la condanna dell’amministrazione convenuta al risarcimento dei danni di natura patrimoniale, morale e biologica subiti dal ricorrente a causa della sua illegittima esclusione dall’arruolamento nel Corpo di polizia penitenziaria;
quanto al ricorso n. 8794 del 2001:
– per l’annullamento dell’atto di inquadramento nel Corpo di Polizia Penitenziaria quale agente, di cui al provvedimento adottato dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, di cui non si conoscono gli estremi, e mai notificato al ricorrente, ed in particolare nella parte in cui è stata determinata la decorrenza giuridica a far data dal 12.5.2001;
quanto al ricorso n. 3119 del 2002:
– per l’annullamento del decreto 7.1.2002, notificato al ricorrente in pari data, a firma del Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – Ministero della Giustizia – di esclusione del ricorrente dal Corpo di P.P. “per mancanza dei requisiti previsti di cui all’art. 1, comma 1, e articolo 2, comma 1, del D.I. 12.11.1996 in quanto “prosciolto volontario” e non congedato al termine della ferma contratta”;
– di ogni altro atto ad esso connesso, conseguenziale e presupposto, e segnatamente del D.I. 12.11.1996, recante le modalità per l’accertamento dei requisiti per l’assunzione nel Corpo di P.P. in parte qua;
quanto al ricorso n. 6172 del 2003:
– per il riconoscimento del diritto alla “restitutio in integrum” sia agli effetti giuridici, sia agli effetti economici, per il periodo 8 gennaio 2002 – 15 maggio 2002, durante il quale -OMISSIS- non ha prestato servizio nel Corpo di P.P. a seguito dell’illegittima esclusione dall’arruolamento disposta dall’amministrazione allorquando il predetto era già stato assunto quale Agente di P.P..
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 26 ottobre 2011 la d.ssa Silvia Martino;
Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. Con il primo dei ricorsi in epigrafe, -OMISSIS- impugna l’esclusione dall’arruolamento del Corpo di Polizia Penitenziaria, disposta dall’intimata amministrazione in attuazione del Decreto interministeriale del 12.11.1996, pubblicato in G.U., IV^ Serie speciale, n. 96 del 3.12.1996.
Deduce:
1) Violazione della l. 27.1.1989, n. 25;
2) Violazione della norma di cui all’art. 2, comma 1, n. 2, lett. d) del d.P.R. 9.5.1994, n.487;
3) Violazione degli artt. 3, 51, comma 1, e 97 della Costituzione.
4) Violazione ed errata applicazione dell’art. 3, comma 6, l. 15.5.1997, n. 127.
Si costituiva, per resistere, l’amministrazione intimata.
Con ordinanza n. 2787 del 5.4.2000, l’istanza cautelare veniva accolta, per l’effetto disponendosi l’ammissione con riserva del ricorrente al prosieguo delle prove concorsuali, nonché l’inserimento, pure con riserva, nella graduatoria, impugnata “in parte qua”.
Con il ricorso iscritto al n. 8489/2001, parte ricorrente ha poi rappresentato che, successivamente alle vicende appena sintetizzate, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha proceduto, in autotutela, a reinserire in graduatoria tutti i concorrenti in precedenza esclusi per superamento del limite di età, ivi compresi quelli che non avevano interposto gravame in sede giurisdizionale.
In esito al superamento degli accertamenti psico – fisici, -OMISSIS- è stato quindi finalmente inserito nel ruolo del Corpo degli agenti di Polizia penitenziaria, con decorrenza dal 12 maggio 2001.
Con il presente ricorso, egli chiede l’accertamento dei danni subiti, in primo luogo per essere stato privato, per circa tre anni, del reddito spettantegli.
L’esclusione dal concorso decretata dall’amministrazione costituisce il risultato di una palese violazione delle norme che disciplinano i requisiti di accesso ai pubblici uffici.
L’istante aveva infatti diritto all’assunzione dovendo essergli riconosciuto il beneficio dell’elevazione del limite di età pari al tempo trascorso in servizio alle armi.
Inoltre, trattandosi di assunzione diretta, se non fosse stato illegittimamente escluso, nulla si sarebbe frapposto alla sua immediata assunzione, già nel 1998.
Oltre al danno patrimoniale, domanda altresì il risarcimento del danno non patrimoniale, in particolare derivante dalla perdita di conoscenze e di esperienze che avrebbero potuto scaturire dall’immediata assunzione, dalla privazione della chance di acquisire una più elevata professionalità, nonché, infine, dalla mancata acquisizione di un maggior prestigio e decoro nell’ambito del contesto sociale.
Anche in questo caso si è costituita, per resistere, con atto di mera forma, l’intimata amministrazione.
Con il ricorso iscritto al n.8794/2011, -OMISSIS- ha impugnato l’atto di inquadramento nel Corpo della Polizia penitenziaria, nella parte in cui la decorrenza giuridica è stata fissata a far data dal 12.5.2001, e non già dalla medesima data (1998), nella quale sono stati, presumibilmente, inquadrati, tutti gli altri vincitori tempestivamente assunti.
Resiste, anche al presente gravame, il Ministero della Giustizia.
Con il ricorso iscritto al n. 3119/2002, parte ricorrente espone che, dopo il superamento del Corso di formazione, è stato ammesso al giuramento ed assegnato in servizio alla C.R. di Saluzzo, dove, unitamente alla propria famiglia, si è trasferito definitivamente , sostenendo gli ingenti e relativi costi.
Con il provvedimento gravato in questa sede, gli è stata tuttavia notificata l’esclusione dal concorso per l’assunzione nel Corpo di P.P., sulla base dell’assenza (mai in precedenza rilevata), dei requisiti di cui all’art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, del D.I. 12.11.1996, in quanto “prosciolto volontario” dalla ferma contratta.
Deduce, in primo luogo, l’erroneità dell’interpretazione sostenuta dall’amministrazione, ove si consideri che i periodi di effettivo servizio militare di leva, di richiamo alle armi, di servizio volontario e di rafferma, devono essere valutati nei pubblici concorsi con lo stesso punteggio, senza creare disparità e differenziazioni tra militari che hanno tutti encomiabilmente servito la patria (Cons. St., sez. V, 6 giugno 1996, n. 662).
Il D.I. fa riferimento ai volontari delle FF.AA., congedati senza demerito al termine della ferma contratta. Nel caso di specie, parte ricorrente si è congedata, esattamente come richiesto, dopo oltre venti mesi, al termine della ferma.
Sottolinea, inoltre, che l’amministrazione si è determinata all’esclusione ben cinque anni dopo l’avvio delle procedure concorsuali, nonché dopo avere inserito il ricorrente nelle dotazioni organiche e averlo assegnato in servizio. Evidenzia, al riguardo, che l’amministrazione medesima si era comunque vincolata ad effettuare d’ufficio gli accertamenti circa la sussistenza, o meno, dei requisiti previsti per l’assunzione, sino alla frequenza del corso di formazione, e non oltre.
Ciò, senza considerare che avendo avuto sin da subito a disposizione il foglio matricolare e caratteristico del -OMISSIS-, la pretesa carenza dei requisiti richiesti, avrebbe potuto essere rilevata immediatamente, senza ingenerare, come avvenuto nel caso di specie, un ampio e ormai consolidato affidamento nella legittimità dell’attività amministrativa da cui è scaturito il proprio inquadramento nel Corpo degli Agenti di Polizia Penitenziaria.
Lamenta, infine, l’omissione delle prescritte garanzie di partecipazione al procedimento.
Resiste, anche al presente gravame, il Ministero della Giustizia.
Con ordinanza n. 2056 del 17.4.2002, l’istanza cautelare è stata accolta.
Infine, con il ricorso iscritto al n. 6172/2003, -OMISSIS- ha domandato il riconoscimento della piena restituto in integrum, agli effetti giuridici ed economici, per il periodo in cui il rapporto di servizio è stato illegittimamente interrotto.
Anche in questo caso si è costituito in giudizio, per resistere, il Ministero della Giustizia, con articolata memoria dell’Avvocatura dello Stato.
I ricorsi, sono stati trattenuti per la decisione, alla pubblica udienza del 26 ottobre 2010.
DIRITTO
1. In via preliminare, occorre procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe, per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva.
2. Venendo poi il ricorso iscritto al n. 4195/2000, esso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
E’ infatti il ricorrente stesso ad evidenziare che l’amministrazione penitenziaria, con determinazione autonoma e quindi non già al mero fine di dare esecuzione alla pronuncia cautelare resa nell’ambito di siffatto processo, ebbe a procedere all’annullamento d’ufficio dell’esclusione in precedenza disposta, al suo inserimento in graduatoria, nonché al definitivo inquadramento nel Corpo di Polizia Penitenziaria, con decorrenza giuridica dal 12.5.2001.
3. I ricorsi iscritti ai nn. 8489/2001 e 8794/2001, devono essere invece accolti in parte.
In relazione alla vicenda, meglio esposta in fatto, si rende infatti applicabile l’orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, secondo cui, in caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego, conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all’interessato il riconoscimento della medesima decorrenza giuridica attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente (cfr. TAR Lazio, sez. I^, sentenze nn. 25003/2010 e 25004/2010).
Spetta, inoltre, l’attribuzione di ogni beneficio legato a detta decorrenza, derivante da meri automatismi di carriera.
Secondo la stessa giurisprudenza, non può viceversa riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione, atteso che tale diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio.
Relativamente a detto periodo, va invece liquidato il risarcimento del danno.
Al riguardo è anzitutto da osservare non essere dubbio che la situazione pregiudizievole lamentata dal ricorrente sia conseguita alla riconosciuta illegittimità del provvedimento di esclusione dalla procedura di assunzione e che, pertanto, la sua cognizione rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, comma terzo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 7, comma 4, della legge 21 luglio 2000, n. 205, disposizione all’epoca vigente e oggi trasfusa nell’art. 30, comma 2, del Codice del processo amministrativo.
Nel caso di specie, la rimozione in via di autotutela da parte della stessa amministrazione di un atto tempestivamente impugnato dal ricorrente, toglie poi ogni ostacolo all’esame della domanda di risarcimento del danno (cfr. Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 219).
Sotto distinto, concorrente profilo, non può esservi nemmeno dubbio che l’operato dell’amministrazione sia, oltre che legato da sicuro nesso di causalità con il pregiudizio sofferto dal ricorrente, anche connotato dall’elemento della colpa; ciò in quanto già all’epoca del ricorso era consolidata l’interpretazione ivi sostenuta circa l’applicazione della normativa di riferimento.
In particolare, con parere n. 433 del 15.3.1999, espresso (ai fini della decisione del ricorso straordinario n.371/98) dall’Adunanza della Commissione Speciale del Pubblico Impiego insediata presso il Consiglio di Stato, era già stato chiaramente affermato che il limite massimo di età per la partecipazione a concorsi per l’arruolamento (in quel caso, di ufficiali) va elevato in misura corrispondente al periodo di servizio militare già svolto.
Infatti, la disposizione speciale di cui all’art.5 del d.lgs. 30.10.1992 n.443 (in tema di età per l’arruolamento nel Corpo di Polizia Penitenziaria) non è incompatibile con la normativa di carattere sopravvenuta (artt.2 D.P.R. n.467/94 e 2 D.P.R. n.693/1996), posto che mentre la prima fissa il limite ordinario di età per l’arruolamento, quest’ultima ha (successivamente) introdotto una regola derogatoria generale.
Circa il quantum del risarcimento, esso va determinato in misura pari: a) alle retribuzioni perse, ivi comprese le quote di trattamento di fine rapporto a carico dell’amministrazione, con detrazione in via equitativa di una percentuale pari al 50 per cento, tenuto conto che in concreto l’interessato nel periodo considerato, privo degli impegni derivanti dal lavoro de quo, ha fruito della possibilità di un positivo diverso utilizzo delle proprie energie per la cura di interessi personali e familiari (in questo senso Cons. di Stato, sez. V, 25 luglio 2006, n. 4639; sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5174); b) al valore delle corrispondenti contribuzioni previdenziali che in relazione agli importi sub a) l’amministrazione sarebbe stata tenuta a versare all’Ente di previdenza obbligatoria; c) alla rivalutazione monetaria sulla base degli indici ISTAT ed agli interessi nella misura legale dalle singole scadenze e fino al soddisfo.
In ordine a quest’ultima voce va rimarcato come ad essa non sia applicabile il divieto di cumulo degli interessi legali e della rivalutazione sancito dall’art. 22, comma 36, della l. 23 dicembre 1994, n. 724 e dall’art. 16, comma 6, della l. 30 dicembre 1991, n. 412, atteso che la somma capitale spettante ha natura non retributiva né previdenziale ma risarcitoria.
Non possono viceversa liquidarsi gli ulteriori danni prospettati dal ricorrente, stante la mancanza di alcuna prova circa la loro effettiva sussistenza (sul punto v. Cons. di Stato, sez. V, 28 maggio 2010, n. 3397).
4. I ricorsi iscritti ai nn. 3119/2002 e 6172/2003, sono fondati e debbono essere accolti.
4.1. Al riguardo non può, in primo luogo, condividersi l’affermazione dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui il caso in esame atterrebbe, come la fattispecie in precedenza delineata, ad un diniego di costituzione del rapporto di lavoro (con tutte le conseguenze da ciò derivanti in punto di valutazione dell’affidamento del ricorrente, da un lato, e dell’interesse pubblico dall’altro, nonché, ancora, di c.d. “restitutio in integrum”).
Decisivo, al riguardo, appare il tenore dello stesso provvedimento impugnato con il ricorso n. 3119/2002, nel quale si decreta che “l’agente di polizia penitenziaria -OMISSIS- […] è dimesso dal corpo di polizia penitenziaria con decorrenza giuridica ed economica dalla data del presente decreto”.
4.1.1. Nel merito, la Sezione non intende poi discostarsi dalla propria consolidata giurisprudenza, compendiata, in particolare, nelle pronunce n. 5554 e 5555 del 17 giugno 2002, ove si afferma che “l’esclusione da un concorso può essere disposta in qualsiasi momento della procedura concorsuale e anche dopo l’approvazione della sua graduatoria, ma non oltre l’assunzione in servizio del vincitore, dopo di ciò potendo unicamente porsi la diversa questione di una possibile invalidità di tale ultimo atto e di un suo conseguente, ma solo eventuale, annullamento discrezionale in autotutela, qualora suggerito da congrue e precise ragioni di interesse pubblico”, vieppiù osservandosi che il decreto interministeriale del 12 novembre 1996 recepisce tale principio laddove prevede la possibilità di accertamento dei requisiti generali di cui all’art. 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (art. 3, ultimo comma, d.i.), fino all’estremo limite dell’immissione in ruolo. Pertanto, il potere di controllo ai fini dell’accertamento della sussistenza dei requisiti asseritamente mancanti in capo all’odierno ricorrente non potrebbe comunque estendersi oltre i confini del potere – dovere di verifica dell’esistenza dei suddetti requisiti, il quale trova il suo limite finale nell’immissione in ruolo.
Per completezza, va ancora soggiunto che il caso di specie appare emblematico della bontà di tale impostazione, ove si consideri che l’amministrazione aveva già condotto una prima verifica della sussistenza dei requisiti di ammissione (incorrendo nell’errore in precedenza descritto) e ha poi individuato, con estremo ritardo rispetto al completamento delle procedure concorsuali, una ulteriore, ed invero opinabile, ragione di esclusione.
4.1.2. L’annullamento in sede giurisdizionale dell’atto con il quale l’amministrazione abbia illegittimamente interrotto o risolto il rapporto di impiego, comporta l’integrale restitutio inintegrum del dipendente nel rapporto medesimo, ai fini sia giuridici che economici, e quindi anche la corresponsione delle competenze retributive relative ai periodi di illegittima interruzione del rapporto (cfr., tra le tante Cons. St., sentenza 27 gennaio 2011, n. 611, ed i precedenti ivi richiamati).
Anche in questo caso, l’Avvocatura dello Stato ha sollevato una eccezione preliminare che non può essere condivisa.
La difesa erariale ha infatti ravvisato una ragione di irricevibilità del ricorso n. 6172/2003 nella circostanza che -OMISSIS- non si sia espressamente gravato avverso il provvedimento del 10 maggio 2002 del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria con cui il ricorrente “è stato reintegrato con riserva di giudicato amministrativo con la qualifica di agente in ruolo del Corpo di Polizia penitenziaria con decorrenza giuridica dalla data del presente decreto ed economica dalla data di presentazione presso la Casa circondariale di Saluzzo”
E’ agevole tuttavia osservare che non vi era alcuna necessità, da parte del ricorrente, di gravarsi avverso un atto che non ha valenza provvedimentale autonoma, bensì è stato espressamente adottato dall’amministrazione “con riserva di giudicato amministrativo”, e quindi al mero fine di dare esecuzione all’ordinanza cautelare che aveva sospeso il decreto di dimissione dal servizio.
Ciò, senza considerare che l’effetto giuridico di ripristino del rapporto di pubblico impiego discende (per così dire, naturalmente) dalla statuizione che abbia annullato l’atto espulsivo, mentre l’attività amministrativa conseguente comporta soltanto l’adozione degli atti concreti necessari per il reinserimento materiale del dipendente nella struttura in cui operava e per la ricostruzione della carriera, sia ai fini giuridici che economici.
Nel caso di specie, trattandosi, come più volte chiarito, di un rapporto già in atto, non può che trovare piena applicazione il principio della restitutio in integrum della posizione originaria, lesa dal provvedimento riconosciuto illegittimo, con la relativa ricostruzione della carriera dell’interessato sia ai fini giuridici che economici.
E’ bene precisare, al riguardo, che è del tutto irrilevante la mancata prestazione del servizio per il periodo in cui il ricorrente ne è stato illegittimamente allontanato, atteso che il normale principio di sinallagmaticità delle prestazioni non opera nei casi in cui la prestazione lavorativa non è stata resa per fatto imputabile all’amministrazione.
Ovviamente, dall’importo della somma da liquidare a titolo di restitutio in integrum vanno detratti eventuali proventi di attività lavorative svolte dal dipendente nel periodo di sospensione (di cui, però, l’amministrazione non ha allegato, nel caso di specie, prova alcuna – cfr. Cass. civ., 2 settembre 2003, n. 12798).
Ciò, sia in considerazione del fatto che le norme sul pubblico impiego vietano il cumulo del servizio alle dipendenze della p.a. con qualsiasi altra attività, anche di carattere privatistico, sicché le prestazioni ed attività svolte in costanza di sospensione del rapporto hanno carattere sostitutivo e sono rese possibili unicamente dall’interruzione del rapporto stesso, sia in considerazione dell’esigenza di evitare indebite locupletazioni della parte vittoriosa.
Alla sorte capitale dovuta a titolo di “restitutio” vanno poi aggiunti interessi e rivalutazione. Trattandosi infatti, di somme aventi natura retributiva, trova in questo caso applicazione il divieto di cumulo degli interessi legali e della rivalutazione sancito dall’art. 22, comma 36, della l. 23 dicembre 1994, n. 724 e dall’art. 16, comma 6, della l. 30 dicembre 1991, n. 412.
5. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso 4195/2000 deve essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse, i ricorsi nn. 8489/2001 e 8794/2001 debbono essere accolti in parte, mentre i ricorsi iscritti ai nn..3119/2002 e 6172/2003, debbono essere integralmente accolti.
Le spese, seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti di cui in premessa, così provvede:
1) dichiara improcedibile il ricorso n. 4195/2000;
2) accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione, i ricorsi nn. 8489/2001 e 8794/2001;
3) accoglie il ricorso iscritto al n. 3119/2002, e, per l’effetto, annulla il decreto di dimissione dal servizio impugnato;
4) accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso iscritto al n. 6172/2003.
Condanna il Ministero della Giustizia alla rifusione delle spese di giudizio che si liquidano, complessivamente, in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.