SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3069 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Monti e Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
-OMISSIS-, e i destinatari della notifica per pubblici proclami, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione
del decreto di esclusione dalla procedura assunzionale per allievi agenti della Polizia di Stato, avviata ai sensi dell’art. 260 bis, del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020; dell’elenco degli idonei alla procedura; del D.P.R. n. 335/1982; del bando di concorso e per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a) del D.lgs. n. 53/2001 che ha introdotto il comma 4 bis all’art. 1 del d.lgs. n. 197/1995 e dell’art. 3, comma 1, lettera b), punto 2, del d.lgs. 27 dicembre 2019, n. 172, che hanno entrambi modificato l’art. 6, comma 2, del d.p.r. n. 335/1982;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2021 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato al Ministero dell’Interno e ad alcuni controinteressati il 9 marzo 2021 e depositato il 18 marzo 2021, il ricorrente impugna il provvedimento, notificato il 9 gennaio 2021, con cui è stato escluso dalle assunzioni per allievi agenti della polizia di Stato avviate ai sensi dell’articolo 260 bis del decreto-legge numero 34 del 2020, convertito in legge numero 77 del 2020.
Con lo stesso ricorso impugna anche l’elenco degli idonei pubblicato il 15 gennaio 2021 nonché l’articolo 6, comma 1, lettera E, e comma 2 del d.p.r. numero 335 del 1982, nella parte in cui prevedono quali requisiti di partecipazione le qualità di condotta previste dall’articolo 26 della legge numero 53 del 1989 e non ammettono a concorso coloro che siano stati espulsi dalle forze armate, dai corpi militarmente organizzati o destituiti dai pubblici uffici, che hanno riportato condanna a pena detentiva per delitti non colposi o sono stati sottoposti a misura di prevenzione.
Chiede che sia dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), del D.lgs. 28 febbraio 2001, n. 53, che ha introdotto il comma 4 bis all’art. 1 del d.lgs. n. 197/1995 e dell’art. 3, comma 1, lettera b), punto 2, del d.lgs. 27 dicembre 2019, n. 172, che hanno entrambi modificato l’art. 6, comma 2, del d.p.r. n. 335/1982, per contrasto con gli artt. 1, 3, 4, 27, 35 e 97 della Costituzione.
Il Ministero dell’Interno si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
In fase cautelare il Tribunale amministrativo regionale, con ordinanza numero 2199 del 14 aprile 2021, accoglie l’istanza cautelare, richiamando l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato per cui una condanna penale può essere causa di esclusione dal concorso solo se accompagnata da una specifica e autonoma valutazione dell’amministrazione sulla gravità del reato commesso, nel caso di specie non ravvisata dal giudice. Pertanto il Tribunale amministrativo regionale sospende l’efficacia del provvedimento di esclusione dal concorso e ordina al ricorrente l’integrazione del contraddittorio, mediante pubblici proclami, nei confronti di tutti i vincitori del concorso da cui è stato escluso.
Il ricorrente esegue l’integrazione del contraddittorio, nelle modalità e nei termini stabiliti dal Tribunale amministrativo regionale, ma nessun controinteressato si costituisce in giudizio.
L’ordinanza cautelare del Tar viene riformata, in appello, dal Consiglio di Stato che, con ordinanza numero-OMISSIS- respinge l’istanza cautelare proposta in primo grado, richiamando la norma di cui all’art. 6, comma 1, lettera e) e comma 2, del d.P.R. 335/1982, recepito dall’art. 4, comma 2, del bando di concorso e applicato nel provvedimento impugnato, che non si presterebbe ad una lettura correttiva la quale nemmeno si giustificherebbe considerate le esigenze connesse all’arruolamento di nuovo personale destinato a svolgere compiti di polizia giudiziaria.
Il ricorso è trattato nel merito, all’udienza del 14 dicembre 2021, passando in decisione.
DIRITTO
Con il provvedimento impugnato il Direttore centrale per le risorse umane del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno ha escluso il ricorrente dalla procedura di assunzione di allievi agenti della polizia di Stato disciplinata dall’articolo 260 bis del decreto-legge numero 34 del 2020, convertito in legge numero 77 del 2020.
La motivazione dell’esclusione risiede nella condanna, riportata dal ricorrente, a 4 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per il reato di lesioni personali, come da sentenza del Tribunale di Oristano, passata in giudicato il 12 dicembre 2015. Richiamato l’articolo 6, comma 1, lettera e, e comma 2 del decreto del presidente della Repubblica numero 335 del 1982, nonché l’articolo 26 della legge numero 53 del 1989 che, per l’accesso ai ruoli della polizia di Stato, richiede il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissione ai concorsi nella magistratura ordinaria, l’interessato è stato escluso dalla procedura di assunzione a causa della suddetta condanna definitiva per un delitto non colposo, nonché per mancanza delle qualità morali e di condotta equivalenti a quelle stabilite per i magistrati ordinari.
Con il 1° motivo di impugnazione il ricorrente deduce eccesso di potere e violazione di legge.
La condanna penale cui si fa riferimento è quella a 4 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per il reato di lesioni personali, punito dall’articolo 582 del codice penale, sentenza del Tribunale di Oristano divenuta irrevocabile il 12 dicembre 2015.
Espone il ricorrente che i fatti si sarebbero svolti 11 anni fa, durante una partita di calcio della categoria juniores nel corso della quale, durante un’azione di gioco, avrebbe colpito al volto un difensore avversario, procurandogli la frattura del setto nasale. L’episodio, sebbene non sanzionato dall’arbitro, avrebbe provocato una denuncia penale da parte del padre del giovane infortunato.
Pertanto si sarebbe trattato di un episodio di gioco, certamente non riconducibile a contesti delinquenziali o a cattive frequentazioni, che non sarebbe stato valutato adeguatamente dall’amministrazione resistente.
La discrezionalità della valutazione amministrativa sul possesso delle qualità morali non potrebbe essere estesa arbitrariamente, dovendo essere sempre consentito il controllo giurisdizionale sull’eccesso di potere.
Il motivo è infondato.
Pur condividendosi le considerazioni della difesa del ricorrente sui limiti delle valutazioni discrezionali relative al possesso delle qualità morali dei candidati ai concorsi nelle forze di polizia, che potrebbero consentire il sindacato giurisdizionale sulla validità di una valutazione che esclude il possesso di tali qualità morali a causa di un episodio accaduto durante una partita di calcio giovanile, si deve riconoscere che il provvedimento di esclusione, al di là di ogni riferimento alle qualità morali, presenta una autonoma causa di esclusione, espressamente stabilita dall’articolo 6, comma 2, del D.P.R. 24/04/1982, n. 335, Ordinamento del personale della Polizia di Stato.
La disposizione normativa appena richiamata esclude dalle procedure di assunzione nelle forze di polizia i candidati che abbiano riportato una condanna, anche non definitiva, per un delitto non colposo.
Si tratta di una causa di esclusione automatica che non prevede alcuna valutazione discrezionale da parte del Ministero dell’Interno.
Il ricorrente ha riportato una condanna penale irrevocabile per il reato di lesioni personali, delitto doloso, per cui incorre automaticamente nella causa di esclusione prevista dalla legge.
Con il 2º motivo di impugnazione il ricorrente chiede che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale di tutte le norme, articolo 6 comma 2 del d.p.r. numero 335 del 1982, articolo 1 comma 1 del decreto legislativo numero 53 del 2001, articolo 3 comma 1 del decreto legislativo numero 172 del 2019, che hanno introdotto una disciplina speciale, quanto ai requisiti morali e di condotta, per l’assunzione nella polizia di Stato, impedendo la costituzione del rapporto di lavoro per qualsiasi condanna penale, indipendentemente dalla gravità dei fatti commessi. Tale disciplina sarebbe in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento con gli altri impiegati civili, con l’articolo 24 della Costituzione, in quanto l’automatismo della esclusione impedirebbe qualsiasi difesa in giudizio, con gli articoli 1, 4 e 35 della Costituzione, in quanto impedirebbe l’accesso al lavoro, con l’articolo 27 della Costituzione, ostacolando il reinserimento del condannato nel mondo del lavoro, con l’articolo 97 della Costituzione, pregiudicando l’interesse della pubblica amministrazione a scegliere i candidati migliori.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono manifestamente infondate, a giudizio del Collegio.
Tutte le disposizioni normative, di rango legislativo o regolamentare, che hanno valorizzato l’interesse pubblico a non reclutare nelle forze di polizia persone con precedenti penali per delitti dolosi rispondono all’esigenza di garantire la massima affidabilità del personale di polizia, chiamato ad esercitare la forza pubblica anche con l’uso delle armi.
Di conseguenza la causa di esclusione censurata dal ricorrente non può essere ritenuta irragionevolmente discriminatoria, né preclusiva del diritto al lavoro, essendo limitata ad una particolare categoria di dipendenti pubblici. Essa pertanto non si pone in contrasto con il principio costituzionale del reinserimento dei condannati nel mondo del lavoro e risulta coerente con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere respinto per infondatezza.
Le spese processuali tenuto conto della complessità delle questioni dibattute, devono essere interamente compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona del ricorrente.