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Cessazione servizio permanente per scarso rendimento (convalescenza motivi di salute)

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2414 del 2006, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Carlo Parente Zamparelli e Piergiorgio Mazzuoccolo, con domicilio eletto presso lo studio legale Parente Zamparelli in Roma, via Emilia, 81;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

– del decreto n. DGPM/II/6/1^/115/2005, del Ministero della Difesa, recante la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 novembre 2017 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

L’odierno ricorrente, arruolatosi come volontario in ferma breve nel 1999, dopo essere rientrato in servizio in seguito ad una lunga convalescenza per gravi problemi di salute, veniva dispensato per scarso rendimento.

Avverso il provvedimento di cessazione dal servizio permanente, meglio specificato in epigrafe, l’interessato proponeva dunque il presente ricorso, deducendo vizi di eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà della motivazione, violazione di legge e dei principi di trasparenza, correttezza, buona fede e imparzialità e buon andamento.

Secondo il ricorrente, la motivazione del provvedimento sarebbe stata invero lacunosa e generica, laddove rinviava alla documentazione caratteristica e matricolare senza, tuttavia, un puntuale riferimento a fatti o condotte, oltre a rivelarsi contraddittoria con i precedenti giudizi ottenuti, sempre positivi.

Inoltre, non sarebbe stata garantita un’effettiva partecipazione al procedimento, in ragione della mancata indicazione dei fatti addebitati nella comunicazione di avvio e dell’allontanamento dal servizio, avvenuto immediatamente dopo, per inidoneità temporanea dell’interessato.

Chiedeva pertanto l’annullamento dell’atto, previa sospensione dell’efficacia.

Per resistere al gravame, si costituiva formalmente in giudizio il Ministero della Difesa.

Con ordinanza collegiale n. 472/2006, veniva disposta l’acquisizione di tutta la documentazione posta a fondamento del gravato provvedimento, ivi compresa la documentazione caratteristica del ricorrente, nonché la proposta e i pareri inerenti al procedimento in questione.

A seguito del deposito di quanto giudizialmente richiesto, il ricorrente formulava ulteriori doglianze, con atto di motivi aggiunti ritualmente notificato e depositato.

Evidenziava, in particolare, la parte come la condotta tenuta dall’Amministrazione non fosse stata, nella specie, conforme a quanto previsto dalla circolare DGPM/II/5/300001C42, relativamente alle condizioni e prescrizioni per l’adozione del provvedimento di dispensa (punto 13), laddove era richiesta la qualifica di “insufficiente” riferita ad un periodo di servizio di almeno un anno, presupposto non realizzatosi nel caso in esame, avendo invece il ricorrente riportato nell’anno 2003 una valutazione di “inferiore alla media” e nel 2004, una valutazione contraddittoria e comunque riferita ad un periodo di soli 4 mesi.

All’esito della camera di consiglio del 18 ottobre 2006, l’istanza cautelare veniva accolta ai fini di un riesame (ord. n. 5719/2006), in considerazione del positivo apprezzamento circa la censura, da ultimo formulata con motivi aggiunti, relativa all’assenza dei presupposti esplicitati nella circolare del 20 maggio 2000.

Alla pubblica udienza del 15 novembre 2017, fissata a seguito di revoca del decreto di perenzione (giusta decreti nn. 1283/2015 e 6498/2015), la causa è quindi passata in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene di confermare quanto già rilevato in sede cautelare.

L’Amministrazione ha invero adottato l’atto impugnato in spregio a quanto dalla stessa prescritto con la circolare sopra detta, essendo mancato un precedente (necessario) giudizio di “insufficiente”, in capo all’interessato, riferito ad un intero anno di servizio.

D’altronde, la difesa ricorrente ha da ultimo evidenziato come l’Amministrazione, seppur dopo diversi anni, abbia ritenuto di non dare seguito ad un nuovo procedimento di cessazione dal servizio, disponendo, seppur “in esecuzione dell’ordinanza” la riammissione in servizio del militare, (poi avvenuta a giugno 2015, dopo la notifica del ricorso di esecuzione dell’ordinanza cautelare).

Ha inoltre dichiarato che, da allora, il ricorrente presta encomiabile servizio, conseguendo ottimi risultati, come da rapporto informativo prodotto.

Alla luce delle considerazioni sopra fatte e della circostanza da ultimo riportata, il ricorso merita quindi accoglimento con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese di lite seguono la soccombenza, da liquidarsi in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente che liquida in euro 2000,00 (duemila/00), oltre accessori per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte.