SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8846 del 2011, proposto da
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 8847 del 2011, proposto da
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Carlo Parente Zamparelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
quanto al ricorso n. 8846 del 2011:
dell’atto di inquadramento nei ruoli degli agenti della polizia penitenziaria, allo stato non conosciuto, nella parte in cui non riconoscerebbe all’interessato l’anzianità della decorrenza degli assegni dalla data in cui sarebbe stato assunto nei suddetti ruoli qualora non fosse stato ingiustamente escluso dall’arruolamento nel mese di agosto 1998;
quanto al ricorso n. 8847 del 2011:
per la condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento del danno ingiusto causato dall’illegittima esclusione dal concorso per l’arruolamento nella polizia penitenziaria;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2019 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso numero r.g. 8846 del 2011, notificato al Ministero della giustizia il 21 ottobre 2011, il ricorrente impugna l’atto di inquadramento nei ruoli degli agenti della polizia penitenziaria, allo stato non conosciuto, nella parte in cui non riconoscerebbe all’interessato l’anzianità della decorrenza degli assegni dalla data in cui sarebbe stato assunto nei suddetti ruoli qualora non fosse stato ingiustamente escluso dall’arruolamento nel mese di agosto 1998; chiede, pertanto, il riconoscimento del diritto alla ricostruzione della carriera ai fini giuridici ed economici.
Con altro ricorso, numero di registro generale 8847 del 2011, notificato al Ministero della giustizia il 21 ottobre 2011, l’interessato chiede la condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento del danno ingiusto causato dall’illegittima esclusione dal concorso per l’arruolamento nella polizia penitenziaria.
Il Ministero della giustizia si costituisce in giudizio per resistere ad entrambi i ricorsi e, in relazione al secondo di essi, deposita documentazione.
I ricorsi sono trattati congiuntamente all’udienza pubblica del 18 giugno 2019, per essere decisi
DIRITTO
Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi, oggettivamente e soggettivamente connessi.
L’interessato, partecipante al concorso per l’arruolamento di agenti della polizia penitenziaria, pur essendosi collocato in posizione utile nella graduatoria di merito, era stato escluso dal concorso per mancanza dei requisiti psicofisici di idoneità, con provvedimento del 25 giugno 1998.
Avendo impugnato con distinto ricorso al Tar Lazio il provvedimento di esclusione, in seguito a una verificazione disposta nella fase cautelare, si vedeva accogliere dal Tribunale amministrativo regionale la domanda di sospensione del provvedimento di esclusione impugnato, con ordinanza numero 805 del 10 marzo 1999.
Nelle more della definizione del ricorso avverso il provvedimento di esclusione l’interessato, con il primo ricorso che viene in decisione, chiede il riconoscimento del diritto alla ricostruzione della carriera a decorrere dalla data di illegittima l’esclusione, anno 1998, essendo stato effettivamente assunto con un anno di ritardo, nel 1999, a causa del provvedimento sospeso in fase cautelare.
Con il secondo ricorso in decisione, numero di registro generale 8847 del 2011, notificato al Ministero della giustizia il 21 ottobre 2011, l’interessato chiede la condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento del danno ingiusto causato dall’illegittima esclusione dal concorso per l’arruolamento nella polizia penitenziaria.
L’errore diagnostico in cui sarebbe incorsa la commissione concorsuale, escludendo illegittimamente il ricorrente dall’arruolamento nel corpo di polizia penitenziaria nel giugno 1998, avrebbe determinato un ritardo annuale nell’assunzione, avvenuta nel 1999.
Per l’elemento soggettivo della responsabilità, il ricorrente fa riferimento al criterio di ripartizione dell’onere della prova proprio della responsabilità contrattuale; peraltro, qualora la responsabilità amministrativa fosse da ricondurre alla categoria della responsabilità da fatto illecito, si dovrebbe presumere la colpevolezza dell’amministrazione per la accertata illegittimità dell’atto lesivo.
Il danno patrimoniale consisterebbe nelle retribuzioni non percepite nel periodo compreso tra la illegittima esclusione dal concorso e l’effettiva ammissione in servizio.
Il danno non patrimoniale coinciderebbe con il danno esistenziale, per la compromissione dello stile di vita, dell’immagine del ricorrente, delle relazioni familiari e con l’ambiente esterno causate dalla illegittima esclusione.
Dalla documentazione depositata dal Ministero della giustizia risulta che l’interessato, in esecuzione della richiamata ordinanza cautelare del Tar Lazio, è stato assunto con riserva nel corpo di polizia penitenziaria, venendo chiamato a frequentare il corso di formazione in data 27 aprile 1999.
Si deve considerare che, nelle more della trattazione dei ricorsi per l’accertamento del diritto alla ricostruzione di carriera e per il risarcimento del danno, il Tribunale amministrativo regionale, con sentenza numero 8343 del 2013, ha definito il ricorso precedentemente proposto dall’interessato (NRG 15407/1998) avverso il provvedimento di esclusione dal concorso.
Con la sentenza, pubblicata il 3 aprile 2013, il ricorso è stato accolto, con l’annullamento definitivo del provvedimento di esclusione.
Alla luce della sentenza di annullamento del provvedimento di esclusione, il ricorso numero 8846 del 2011 deve essere ritenuto fondato.
È pacifico che il ricorrente è stato chiamato a frequentare il corso di formazione solo in data 27 aprile 1999, in esecuzione dell’ordinanza cautelare che aveva sospeso provvisoriamente il provvedimento di esclusione dal concorso.
Per effetto della illegittima esclusione, l’interessato non ha potuto partecipare al corso di formazione fino a che il Tribunale amministrativo regionale non ha sospeso il provvedimento di esclusione.
Di conseguenza, l’arruolamento nel corpo di polizia penitenziaria ha risentito del ritardo inevitabilmente connesso ai tempi della verificazione, in sede cautelare, della illegittimità del provvedimento di esclusione.
Accertata definitivamente tale illegittimità, il Ministero avrebbe dovuto inquadrare, con efficacia retroattiva, il ricorrente nel ruolo degli agenti di polizia penitenziaria, attribuendogli la stessa anzianità giuridica riconosciuta ai vincitori del concorso cui egli aveva partecipato.
Non avendo provveduto in tal senso, ha adottato un provvedimento di inquadramento illegittimo, in quanto non retroattivo nei termini sopra indicati.
Pertanto, in accoglimento del ricorso numero 8846 del 2011, deve essere annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui non riconosce all’interessato la ricostruzione di carriera mediante la retrodatazione dell’assunzione.
Con il ricorso numero 8847 del 2011 il ricorrente chiede il risarcimento del danno ingiusto, patrimoniale e non patrimoniale, determinato dalla condotta illecita dell’amministrazione resistente che, adottando un provvedimento di esclusione illegittimo, avrebbe ritardato l’arruolamento dell’interessato.
Il ricorso è fondato nei sensi che seguono.
In linea di principio, la possibilità di pervenire al risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo sussiste solo se l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo effettivamente si collega e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento.
Rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno, del quale l’art. 30 del D.lgs 104/2010 prevede il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché, nella sistematica dei rapporti di diritto pubblico, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’amministrazione pubblica, l’interesse materiale al quale il soggetto aspira.
Infatti, è la lesione al bene della vita che qualifica in termini di “ingiustizia” il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’Amministrazione, così da consentire di configurare l’illecito risarcibile ai sensi del citato art. 30. Invero, la pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell’interesse legittimo si fonda su una lettura di tale fondamentale norma del codice del processo amministrativo che riferisce il carattere dell’ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità – oltre a una condotta rimproverabile – è l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento ed, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del legittimo agire dell’Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell’interesse (Cons. Stato, Sez. II, 20/05/2019, n. 3217).
Nel caso di specie l’elemento oggettivo dell’ingiustizia del danno sussiste, essendo stato dimostrato dal ricorrente che, qualora non fosse stato adottato l’illegittimo provvedimento di esclusione, egli sarebbe stato chiamato a frequentare il corso di formazione per il reclutamento nel corpo di polizia contestualmente agli altri vincitori del concorso.
Il ritardo nella chiamata a frequentare il corso, quindi, è stato determinato dalla illegittima esclusione dal concorso, per cui sussiste il nesso causale tra il provvedimento illegittimo e il danno da ritardo.
Sull’elemento soggettivo della responsabilità è sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza per cui il privato che agisca in giudizio per ottenere il risarcimento del danno derivante da un provvedimento amministrativo illegittimo può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile (Cons. Stato, Sez. VI, 19/03/2019, n. 1814; Cons. giust. amm. Sicilia, 08/05/2019, n. 385; Cons. Stato, Sez. VI, 19/03/2019, n. 1809; Cons. Stato Sez. III, 22/02/2019, n. 1230).
Nel caso di specie, l’amministrazione resistente non ha fornito alcun elemento di esclusione della propria responsabilità.
Accertato, quindi, che il ricorrente ha subito un danno ingiusto, è necessario determinare l’importo del danno risarcibile.
Secondo la definizione offerta dall’art. 1223 c.c. il danno risarcibile si compone del danno emergente e del lucro cessante e cioè della diminuzione reale del patrimonio del danneggiato e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo;
Escluso qualsiasi elemento di danno emergente, il ricorrente ha chiesto il risarcimento del lucro cessante, corrispondente alla mancata percezione degli emolumenti corrisposti ai colleghi dalla data dell’ammissione al corso fino alla data di effettiva immissione anche dell’interessato.
Al riguardo, si deve richiamare il condivisibile orientamento della giurisprudenza per cui, in caso di tardivo adempimento, da parte della pubblica amministrazione, dell’obbligo di assunzione del candidato vincitore di concorso, è dovuto a quest’ultimo il risarcimento del danno patrimoniale da ritardata assunzione, da liquidarsi in misura corrispondente alle retribuzioni spettanti per il periodo di mancato svolgimento dell’attività lavorativa, detratto l’aliunde perceptum (Cass. civ. Sez. lavoro, Ord. 29/12/2017, n. 31175).
Nel caso controverso, il ricorrente non ha indicato le eventuali attività lavorative svolte nelle more dell’ammissione al corso di formazione.
La retribuzione collegata a tali eventuali attività avrebbe dovuto essere sottratta a quella che gli sarebbe spettata nel caso di immediata ammissione al corso di formazione.
In mancanza di qualsiasi allegazione al riguardo, non è possibile liquidare con precisione il danno patrimoniale sofferto e di conseguenza si deve ricorrere, per la liquidazione dello stesso, al criterio equitativo.
Pertanto, in via equitativa, si deve riconoscere al ricorrente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale nella misura del 50% delle retribuzioni percepite dai colleghi vincitori dello stesso concorso nel periodo compreso tra l’inizio del corso e l’ammissione al corso stesso anche del ricorrente.
Oltre al danno patrimoniale, peraltro, il ricorrente chiede il risarcimento anche del danno non patrimoniale, qualificato come danno esistenziale, riconducibile alla compromissione dello stile di vita, delle aspettative, delle relazioni familiari.
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da provvedimenti illegittimi di inquadramento nel pubblico impiego, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno esistenziale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore l’onere della prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I bis, 01/04/2019, n. 4245).
Mancando qualsiasi prova al riguardo, il danno patrimoniale non è risarcibile.
In conclusione, il ricorso numero 8846 del 2011 deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento di inquadramento impugnato nella parte in cui non riconosce al ricorrente l’anzianità giuridica dalla data in cui sarebbe stato assunto nel ruolo della polizia penitenziaria qualora non fosse stato ingiustamente escluso dall’arruolamento nell’agosto del 1998.
Il ricorso numero 8847 del 2011 deve essere accolto, in parte, e, per l’effetto, l’amministrazione resistente deve essere condannata al risarcimento del danno patrimoniale cagionato al ricorrente, liquidato in misura corrispondente al 50% delle retribuzioni percepite dai colleghi, vincitori dello stesso concorso, nel periodo compreso tra l’inizio del corso e l’ammissione al corso stesso anche del ricorrente.
Le spese processuali sostenute dal ricorrente per la difesa in entrambi i ricorsi devono essere poste a carico dell’amministrazione resistente, in applicazione del criterio della soccombenza e nella misura liquidata in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:
Riunisce il ricorso numero di registro generale 8847 del 2011 al ricorso numero di registro generale 8846 del 2011.
Accoglie il ricorso numero 8846 del 2011 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, nei sensi in motivazione.
Accoglie, in parte, il ricorso numero 8847 del 2011 e, per l’effetto, condanna l’amministrazione resistente al risarcimento del danno, nella misura liquidata in motivazione.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali sostenute dal ricorrente per entrambi i ricorsi, liquidate complessivamente in euro 2000,00 (duemila) oltre accessori dovuti per legge, da corrispondere al difensore del ricorrente dichiaratosi antistatario.27